Un deputato del Pdl, Luigi Vitali, ha presentato un disegno di legge che prevede la prescrizione veloce dei processi per gli imputati che abbiano più di 65 anni e nessun precedente penale. A naso la norma toglierebbe Berlusconi dalle grinfie della magistratura. L’opposizione ha gridato subito allo scandalo senza prima accertarsi di come stavano le cose. E cioè che i vertici del Pdl, Cavaliere in testa, avevano già bocciato senza appello l’iniziativa personale del collega Vitali. A sinistra ci sono rimasti male perché già assaporavano il piacere di scatenare i Travaglio e l’opinione pubblica contro l’ennesimo tentativo di fare approvare una legge ad personam cucita su misura per il premier. Noi invece ci siamo rimasti bene perché vuol dire che si abbandona definitivamente l’ipotesi di rompere l’accerchiamento giudiziario cui è sottoposto Berlusconi non attraverso provvedimenti di emergenza che lasciano il tempo che trovano (come dimostrano i tentativi del passato) ma affrontando il problema alla sua radice. Il che accadrà la prossima settimana, quando in Consiglio dei ministri entrerà la riforma della giustizia. Da quel momento si misurerà, fuori da ogni equivoco e sospetto, la reale intenzione di tutta la classe politica a risolvere una delle grandi emergenze del Paese, quella appunto della giustizia.

I nodi da risolvere sono due. Il primo è quello di ridare alla politica quella autonomia rispetto al potere giudiziario, disgraziatamente buttata via 18 anni fa sull’onda dello choc di tangentopoli. È urgente che ministri, deputati e senatori si riapproprino del diritto all’immunità che era sancito nella costituzione.

Il secondo nodo riguarda invece tutti noi, comuni cittadini prigionieri di una casta, quella dei magistrati, che rifiuta di autoriformarsi per conservare privilegi, potere e una immunità che non ha pari al mondo. Quando un chirurgo sbaglia ad amputare una gamba viene cacciato sui sue piedi. Se un pm o un giudice sbaglia, clamorosamente ed evidentemente, nulla accade. Le loro incapacità e lentezze causano drammi personali e danni ingenti alla nostra economia, tenendo lontano dal mercato investitori stranieri e scoraggiando i nostrani. Negli ultimi sette anni, su 1.010 magistrati finiti sotto processo disciplinare, 812 sono stati assolti, 126 sono stati ammoniti, 38 censurati, 22 multati e soltanto 6 rimossi. Nessun ordine professionale ha una casistica di autointervento sui propri iscritti così blanda.

Che un magistrato sia infallibile, sempre in buona fede e comunque in sé, è una leggenda da sfatare. Sono uomini come tutti, con i loro limiti e convinzioni. Da oggi pubblichiamo una serie di storie raccolte dal collega Stefano Zurlo che i giornali gazzette delle Procure si guardano bene dal raccontare. Partiamo con tre casi: quello del giudice che non paga il conto al ristorante e in risposta alle proteste del gestore manda i carabinieri, quello del pm che chiede l’elemosina sotto il tribunale e che pur giudicata incapace di intendere e volere resta al suo posto, e quello del pm che fa ipnotizzare un imputato per saperne di più.
Siamo d’accordo: nessuna legge ad personam, ma per favore una legge sì, e subito. Il Giornale, 5 marzo 2011