I magistrati si sono molto arrabbiati do­po aver letto sul no­stro quotidiano di ie­ri le loro email nelle qua­li sparlano di Silvio Ber­lusconi e degli elettori del centrodestra. Ci cre­do, al loro posto avrei avuto la stessa reazione. Vedere pubblicato sui giornali cose che uno pensa debbano restare riservate fa girare i san­tissimi. Se poi queste co­se, come nel caso in que­stione, smascherano un progetto politico che do­veva restare segreto in quanto incompatibile con la loro professione e presunta indipendenza, be’ allora la rabbia di­venta ira.

Al punto che hanno riunito d’urgen­za i loro vertici e chiesto l’intervento del Garante della privacy per blocca­re il Giornale . Troppo onore. Abbiamo sempli­cemente fatto il nostro lavoro, cioè pubblicato una notizia. Soltanto che in questo Paese, per non finire nei guai, si possono pubblicare esclusivamente le noti­zie gradite ai magistrati politicizzati, cioè funzio­nali al processo mediati­co contro Berlusconi e il suo governo. In quel ca­so non c’è privacy, anzi è tutto un bunga bunga dell’informazione dove chi più ne ha più ne met­ta, senza che nessuno lo disturbi. È poi paradossale che chi dello spiare e dell’en­trare nelle vite private senza regole e rispetto ne ha fatto una norma, oggi si atteggi a verginel­la di fronte alla pubblica­zione dei propri deliri af­fidati a una rete inter­net, che sarà anche riser­vata ai magistrati ma non certo segreta per­ché costituirebbe reato.

Riservata sì, ma come le migliaia di telefonate che ogni giorno vengo­n­o intercettate e non get­tate anche se il contenu­to nulla ha a che fare con un reato. Riservata co­me riservata dovrebbe essere la casa e il corpo di giornalisti di questa te­stata che sono stati per­quisiti, direi violentati psicologicamente, in cerca di fantomatici dos­sier che ovviamente non esistevano. Questi magistrati che chiedono di censurare il Giornale hanno la coda di paglia. Dopo aver af­fossato la giustizia e az­zoppato la politica, ora vorrebbero intervenire sull’informazione per decidere che cosa si può e si deve pubblicare. In­vece di scrivere procla­mi politici e tramare con­tro il governo pensino a fare il loro lavoro. Che al nostro ci pensiamo noi. Il Giornale, 10 marzo 2011