All’inizio fu Luciano Violante, che a me­tà degli anni-Settan­ta fece arrestare Ed­gardo Sogno, ex comandan­te dei partigiani anticomu­nisti con l’accusa di tentato golpe. Lo scandalo si con­cl­use con la piena assoluzio­ne dell’imputato, il colpo di Stato era una bufala. L’an­no dopo Violante fu eletto deputato del Pci e fece una carriera politica che lo por­tò fino alla presidenza della Camera. Poi venne Anto­nio Di Pietro. Nel 1992 gui­dò i pm milanesi nell’opera di distruzione di tutta la clas­se politica, esclusa quella di sinistra. Nel 1997 Massimo D’Alema gli offre un seggio da senatore e da allora cer­ca di condizionare dall’in­terno la politica italiana. Più di recente è stato il turno di Luigi De Magistris, che da pm mise sotto inchiesta, a metà degli anni Duemila, mezza classe politica italia­na senza cavare un ragno dal buco se non il suo ingres­so in politica, nel 2009, co­me eurodeputato dell’Italia dei Valori.

Altro che nascondersi die­t­ro galantuomini come Fal­cone e Borsellino. I tre pm che, insieme ad altri, hanno o hanno tentato di cambia­re il corso della politica con e senza toga hanno un mini­mo comune denominato­re: l’antiberlusconismo mi­litante. Questo è stato possi­bile perch­é la politica è suc­cube della magistratura, ca­s­ta di intoccabili che è di fat­to riuscita, alleandosi con la sinistra e più di recente con il Fli di Gianfranco Fini, a ste­rilizzare il risultato elettora­le fino a sostituirsi di fatto al potere legislativo.

Dopo diciotto anni di pro­messe non mantenute, ieri finalmente Pdl e Lega han­no rotto il tabù, iniziando un percorso che libererà il Paese dalla dittatura delle toghe. È questo il senso prin­cip­ale della riforma costitu­zionale della giustizia ap­provata ieri dal governo. Non importa quanto ci vor­rà, senza la prima pietra non si può arrivare mai al tetto. Sdoppiamento delle carriere per evitare che ac­cusa e giudici facciano alle­anza contro la difesa, re­sponsabilità personale, me­no discrezionalità nelle priorità delle inchieste so­no i capisaldi della riforma. In realtà in questo non c’è nulla di rivoluzionario, si tratta di norme e regole già in vigore con successo in tut­ti i Paesi democratici. E co­munque nulla che possa an­che lontanamente avvan­t­aggiare il presidente Berlu­sconi nelle sue note vicen­de giudiziarie. Le opposizio­ni non hanno più alibi. Il ri­t­ornello delle leggi ad perso­nam qui non funziona. Ber­sani e soci dovranno decide­re se stare dalla parte della gente o continuare a tenere bordone alla casta degli in­toccabili.

I magistrati hanno annun­ciato una dura resistenza e bisogna aspettarsi colpi di coda. Gli scommettitori di­cono che arriverà da Napo­li, dove il pm Henry John Woodcock, sta lavorando a tempo pieno a un’inchiesta delle sue, quei polveroni po­li­tico mediatici che nove vol­te su dieci finiscono in nul­la, come quelli di Violante e De Magistris. Di questo pa­re ne sappia molto, non si capisce a che titolo visto che l’indagine dovrebbe essere segreta, Italo Bocchino. I due hanno una cosa in co­mune, l’antipatia per noi del Giornale . Il primo ci ha messo già sotto inchiesta, il secondo ha denunciato 36 di noi, caso senza preceden­ti, per stalking (non vuole che si parli di lui, degli appal­ti Rai di sua moglie e dei fi­nanziamenti pubblici ai suoi giornali). Sarà un caso ma gira la voce che nel Fli non vedrebbero l’ora di ar­ruolare nel partito proprio Woodcock come responsa­bile della giustizia. Vuoi ve­dere che sta per nascere un’ altra strana coppia del gran­de affare politica-magistra­tura? Il Giornale, 11 marzo 2011