L’ITALIA NON HA NULLA DA GUADAGNARE DALLA CADUTA DI GHEDDAFY: intervista ad Anna Bono, studiosa delle problematiche africane.
Pubblicato il 20 marzo, 2011 in Politica estera | Nessun commento »
Anna Bono è una studiosa della Storia e delle istituzioni dell’Africa, attenta a mettere in relazione le diverse crisi che attraversano i paesi del continente. Come nel caso della Libia, un conflitto su base tribale che l’Occidente non ha compreso fino in fondo e che rischia di avere un esito drammatico come in Somalia. Se Gheddafi cadrà come sembra, quali saranno le mosse dei Paesi occidentali e cosa resta all’Italia del suo rapporto privilegiato con la Libia?
I caccia francesi colpiscono l’esercito libico. Stavolta per Gheddafi è finita?
«Con un intervento esterno della portata di quello che si sta delineando, e con l’appoggio degli Stati Uniti, direi di sì, Gheddafi ha perso».
Gli Usa e la Nato vanno al traino dei “volenterosi”, Francia e Gran Bretagna
«Senza dubbio è un’evoluzione rispetto al passato, ma l’iniziativa anglo-francese mi lascia perplessa. Gheddafi può fuggire o resistere fino alla morte. E dopo? Qualcuno ci ha pensato?».
Che cosa accadrà?
«Siamo davanti a uno scenario di cui non possiamo prevedere le conseguenze. La verità è che scontiamo dei gravi difetti di conoscenza sulla natura della crisi libica. Questo è un conflitto fra clan, uno scontro tribale, dove assetti ed alleanze di definiscono e ridefiniscono continuamente, com’è avvenuto in Somalia».
Della Somalia ha parlato la Clinton
«Già, ma poi gli Usa hanno seguito una strada diversa. Dopo Gheddafi, in base a quale criterio dovremmo privilegiare il Consiglio nazionale di Bengasi piuttosto che altre entità politiche?».
Cosa può ottenere l’Italia?
«Per noi la partita in Libia si riapre e presto avremo nuovi concorrenti. Il rapporto privilegiato che avevamo costruito con Tripoli va ripensato. Peccato perché il trattato di amicizia ci garantiva un po’ di sicurezza economica ed energetica in più, e un certo controllo sui flussi dei clandestini».
Francia e Gran Bretagna sperano di sostituirci
«Anche loro perseguono i propri interessi. Ma non so cosa ne venga al nostro Paese dalla caduta di Gheddafi salvo la soddisfazione di aver abbattuto un’altra dittatura. Nel mondo ci sono molte dittature e tutte le tirannie sono deprecabili, ma allora dovremmo affrontare quelle che rappresentano davvero una minaccia, com’erano l’Iraq o l’Afghanistan, oppure l’Iran».
Pechino si è astenuta in Consiglio di Sicurezza. Quali sono gli obiettivi della Cina?
«Con o senza Gheddafi, la Cina è pronta a fare quello che fa già in tutta l’Africa, e ci riesce bene, offrendo contratti vantaggiosissimi ai vari governi. Ma ci sono anche la Russia, l’India, i Paesi arabi che non hanno mai amato il Colonnello».
Nella sua assurda lettera a Obama, Gheddafi ha evocato lo spettro di Al Qaeda
«Addossando la colpa dell’accaduto a delle forze esterne, Gheddafi ha cercato di offrire una via di uscita ai rivoltosi. In uno dei suoi discorsi ha detto “siete tutti miei figli”…».
Non c’è spazio per il fondamentalismo islamico sulle ceneri della Jamaria?
«Se il territorio libico si disgrega ogni scenario diventa possibile. Il Paese potrebbe diventare un “paradiso” di Al Qaeda. Gheddafi, Mubarak, Ben Ali, hanno arginato l’islamismo ma ora questo scudo si sta sgretolando, e noi, con il nostro intervento, rischiamo di infliggere il colpo di grazia».
Usare la forza come stiamo facendo in Libia favorisce i processi democratici?
«Imporre dei cambiamenti dall’esterno è sempre pericoloso. Credere e sentirsi parte di una democrazia è qualcosa di più profondo che avere il diritto al voto. L’Occidente non se ne rende conto. Da qui le crisi come quella in Costa d’Avorio, di cui si parla poco ma è grave quanto la Libia». Il Tempo, 20 marzo 2011