DUBBI SUL CONFLITTO LIBICO. COMMESSI TROPPI SBAGLI PER UN ONIETTIVO FORSE GIUSTO
Pubblicato il 21 marzo, 2011 in Politica estera | Nessun commento »
Non so se dopo Gheddafi verrà fuori una Libia somalizzata e non so se tra i ribelli prevarranno gli amanti della libertà o del fanatismo islamico. Non so come la prenderà il mondo arabo con le sue frange più estreme; temo che la leggeranno come un’ingerenza e un’arroganza israeliano-occidentale e reagiranno di conseguenza. Fa pensare la neutralità della Russia, non sappiamo cosa faranno l’Iran e la Cina. Non so come finirà per noi col petrolio, il gas e le torme d i immigrati e non so se riprenderà vigore il terrorismo. Temo un altro Irak, se non un altro Afghanistan. E ancora. Non so perché le repressioni sanguinose in Libia debbano far scattare l’attacco e quelle nello Yemen o in Siria no, per dire solo dei Paesi più vicini. Non so se il movente principale dell’attacco sia davvero la tutela dei diritti umani violati o alcun i interessi politico-elettorali interni più interessi d’affari. Realisticamente penso ambedue.
Non so, infine, se per noi italiani che siamo così vicini alla Libia sia un bene entrare in una guerra nel condominio mediterraneo. Intendiamoci. Detesto Gheddafi e – pazziando mi piacerebbe che il sarcofago di cemento progettato per blindare la centrale nucleare giapponese servisse per chiuderci dentro il bunker di Gheddafi, colonnello incluso. Se un mimo volesse simulare un Dittatore cattivo, le sue smorfie, la sua bocca che tende al disprezzo e al disgusto, il suo aspetto tipico e la sua risata satanica, non riuscirebb e a far meglio di lui. Gheddafi non è solo un tiranno, ma recita convinto quella parte. Detesto Gheddafi da quando conquistò il poter e con il golpe, spodestò un sovrano di buon senso e cacciò gli italiani, derubandoli del frutto del loro lavoro che aveva giovato anche alla Libia.
Contestai da ragazzo l’Italia di Moro e di Andreotti, che fu per anni il suo cammello di Troia; l’Italietta che non reagiva alle minacce, le offese e le azioni del colonnello ma trescava con lui. Mi vergognavo di quell’Italia che con la scusa del complesso coloniale, si inginocchiava al cospetto di questo pagliaccio. Perfino la Fiat finì in ginocchio da lui e Patty Pravo cantò Tripoli ’69 . Ho detestato nel tempo Gheddafi per le sue spacconate, i missili a Lampedusa, le sue fabbriche di armi chimiche, i suoi aiuti al terrorismo. Voleva papparsi la Sicilia e le Isole Tremiti. Per fortuna, ha mezzi scassati e missili low cost, ed è solo un guappo ’e cartone ; ma se avesse potuto, avrebbe invaso l’Italia, devastato l’America e distrutto Israele. Non condivisi però le bombe di Reagan che colpirono la Libia ma lasciarono in piedi il dittatore. Ho il triste privilegio d i averle viste dal vivo quelle bombe, mentre volavo su quella rotta una sera di aprile dell’ 86: si vedevano i bagliori all’orizzonte. Non condivis i poi i salamelecchi d i Prodi a Gheddafi, che come lui stesso dice, lo sdoganò in Europa, e gli elogi d i D’Alema al Colonnello. Per la stessa ragione, pur condividendo le nostre ragioni – petrolio, sicurezza e immigrati – mi irritò l’amicizia di Berlusconi con Gheddafi, il suo baciamani e la visita a Roma, con le foto antitaliane attaccate sul petto, le amazzoni, il carosello e la tenda, come un circo Orfei diventato Stato. Certo, Gheddafi nel frattempo era diventato collaborativo con l’Occidente e utile per noi. Del colonialismo Gheddafi ha ereditato i lati peggiori: la prepotenza, gli stivaloni, il militarismo, i bombardamenti sui civili, perfino il gas nervino. Criticò il Ventennio nero m a lui lo ha raddoppiato, è dittatore da oltre un Quarantennio.
Avrei auspicato che il Colonnello fosse finalmente promosso Generale e andasse in pensione col massimo. Ora la strada intrapresa dall’Occidente non mi sembra la migliore, se il tiranno non sarà piegato in un lampo. Forse sarebbe stato meglio accettare la sua proposta di mandare emissari dell’Onu per controllare il rispetto degli oppositori e l’avvio delle riform e d i libertà promesse, negoziare e garantire i ribelli e le zone insorte, senza arrivare alle bombe. E solo davanti alla provata impossibilità di garantire tutto questo, decidersi all’azione di guerra. Ancor più dell’intervento militare, mi preoccupa il suo uso. Queste azioni o si fanno subito, si portano fino in fondo e si ripetono in altre situazioni analoghe, fino a stabilire il principio che si interviene sempre, laddove la vita dei popoli è messa in pericolo, o è meglio evitarle. Comunque se l’Italia interviene, a torto o a ragione, sto col mio Paese. Marcello Veneziani, 21 marzo 2011