ECCO PERCHE’ IL POPOLO DI DESTRA ORA E’ CONTRO LA GUERRA
Pubblicato il 22 marzo, 2011 in Politica | Nessun commento »
Impossibile negarlo: al popolo di destra questa guerra non piace. E non è necessario attendere i sondaggi per averne conferme, è sufficiente leggere i commenti lasciati dai nostri lettori su ilgiornale.it o i tanti blog di area: è un diluvio di opinioni contrarie. Ma anche a sinistra le cose non vanno come al solito. Sono tutti allineati: il Pd, Repubblica, l’Unità, persino Di Pietro. Ma a favore della guerra, nonostante anche sui blog progressisti emergano molti dissensi. Gli eroi pacifisti di altre guerre – come Gino Strada – questa volta faticano a trovare spazio. D’altronde non sono annunciate le consuete manifestazioni del popolo Arcobaleno, che lascia le bandiere ripiegate nell’armadio e che difficilmente, nei prossimi giorni, le srotolerà.
Sorpresa, noi giornalisti ci interroghiamo: forse non sappiamo più capire l’Italia? Lo sconcerto è comprensibile eppure questo ribaltamento di ruoli è tutt’altro che inspiegabile. A condizione di conoscere i meccanismi che regolano l’opinione pubblica e inducono la gente a maturare giudizi su fatti di attualità. È tutta una questione di frame, ovvero di un parametro incorniciato nella coscienza collettiva, che funziona come un filtro mentale. Le notizie che confortano e riaffermano il giudizio già maturato nella nostra mente vengono accettate e enfatizzate, quelle discordanti minimizzate o scartate.
Il frame vale per ogni evento, ma è fondamentale in occasione delle guerre che, per essere accettate, e soprattutto spiegate in termini. A lungo, insistentemente. La prima guerra e la seconda guerra in Irak, persino quella in Afghanistan – sebbene fosse stata decisa sull’onda impetuosa dell’11 settembre – sono state preparate per settimane, durante le quali i governi occidentali hanno convinto la maggioranza della popolazione a sostenere l’intervento. In nome della sicurezza, della libertà, per difendersi da una minaccia suprema. In questi casi l’opinione pubblica di destra appoggia convinta, quella di sinistra rifiuta ma resta minoritaria. È il tempo la variabile decisiva.
Ma il tempo in Libia è mancato. Per colpa di Sarkozy, che ha forzato la mano a tutti. Fino a giovedì faceva notizia solo l’incubo nucleare giapponese. Poi in serata, improvvisamente, l’Onu ha dato il via libera all’intervento, sabato si è svolto il summit a Parigi e subito dopo sono iniziati i bombardamenti. Nessun governo ha avuto il tempo di riflettere, di spiegare, di motivare né con il cuore, né con la mente.
E allora è prevalso un altro frame ovvero il giudizio che la gente ha maturato sulla Libia negli ultimi mesi.
Al pubblico di destra, Gheddafi non piace, ma, temendo il fondamentalismo islamico, vede in lui il minore dei mali e, soprattutto, gli riconosce il merito di aver fermato i clandestini. L’intellighenzia di sinistra, invece, è poco sensibile all’immigrazione, ma permeata da una cultura internazionalista, che la porta da sempre a solidarizzare con i popoli oppressi o che considera tali. Ricordate il Vietnam o il Nicaragua? «El pueblo unido…». Il mondo è cambiato, il contesto in Libia è diverso, ma il riflesso implacabile.
E ancora: l’uomo di destra è pragmatico, diffida dell’instabilità e preferisce Gheddafi, per quanto matto, a una Libia che rischia di finire in mano agli integralisti o dilaniata da una guerra tra clan, come avvenuto nell’Irak post-Saddam. Gli elettori conservatori intuiscono che l’attivismo di Sarkozy non è solo umanitario, nè idealista, ma dettato da interessi economici, politici e geostrategici, in contrasto con quelli dell’Italia che rischia di perdere i benefici costruiti con la Libia. Ovvero gas, petrolio, appalti, sicurezza. Il loro no, per quanto istintivo, è motivato.Il sì della sinistra, invece, segue l’onda e, come sempre è conformista. Guardate come si sono comportati al governo D’Alema, Prodi e Amato: quando c’era da scegliere tra gli interessi italiani e certe pressioni straniere, sono sempre caduti da quella parte. Anche oggi, nella speranza, nemmeno inconfessata, che la crisi possa far vacillare il Cav. Insomma, a ben vedere, la solita sinistra… Marcello Foa, Il Giornale, 22 marzo 2011