Berlusconi e Frattini sarebbero dei conigli che scappano davanti al Parlamento. Parole di Antonio Di Pietro pronunciate ieri alla Came­ra durante il dibattito sulla crisi libica. Fini lo ha timidamente ripreso ma poi ha an­nuito divertito. E dire che Fini di fughe se ne intende. Fughe dai partiti, fughe in avanti, fughe dalle proprie responsabilità e dai giuramenti fatti. Una, clamorosa, fu la fuga dalla campagna elettorale per le Regionali della scorsa primavera. Non partecipò neppure al comizio finale di Ro­ma per sostenere la Polverini, data per spacciata dai sondaggi.

Si giustificò dicen­do che il presidente della Camera non può scendere in campo in una competi­zione politica perché tradirebbe il suo ruo­lo di arbitro. Nobile gesto, che ora si ri­mangia, come si rimangiò la parola di di­mettersi sul caso Montecarlo. Domani in­­fatti, Fini sarà a Milano ad aprire la campa­gna elettorale del suo candidato Fli alle elezioni comunali di maggio. Altro che arbitro. Fini disertò le elezioni regionali perché sperava che il Pdl le per­desse. Sarebbe stata la scusa per partire all’assalto di Berlusconi e dei vertici del partito. Come sempre aveva sbagliato conti e previsioni. Dovette ingoiare il ro­spo della vittoria, ma ormai il suo piano era stato smascherato. Il seguito lo cono­sciamo. Anzi,da ieri anche un po’ meglio. Perché dalle anticipazioni del libro-bio­grafia di Italo Bocchino si evince chiara­mente che Fini e i suoi non aspettavano altro che un incidente per giustificare il lo­ro blitz. Si sono attaccati all’inchiesta del Giornale sulla casa di Montecarlo, scusa debole e ridicola.

Il presidente super partes domani avrà al fianco i suoi due soci, Casini e Rutelli. Lanceranno il candidato Manfredi Palme­ri, un altro miracolato del Pdl. Come il suo padrino è anche lui presidente, del Consi­glio comunale, eletto con i voti sui quali oggi sputa. Una bella compagnia di perso­ne coerenti e leali. Come andrà a finire lo vedremo nelle urne. Per ora ci acconten­tiamo di registrare come da quando Fini e Bocchino hanno traslocato nell’opposi­zione, la maggioranza ha ripreso a lavora­re a pieno ritmo. Ieri hanno mosso i primi passi in commissione sia la legge per il fe­deralismo regionale sia quella sulla re­sponsabilità dei giudici per i loro errori. Cose impensabili se il presidente della Ca­mera fosse stato ancora nella compagine governativa. Quindi meglio così. Più il co­niglio Fini si allontana meglio è per tutti. Il Giornale, 25 marzo 2011

.….Ieri, durante il dibattito alla Camera sulla questione libica, il solito Di Pietro, incontinente in tutto, ha insultato il presidente del Consiglio prima e po il Ministro degli Esteri, Frattini, chiamandoli “conigli”. Linguaggio suqallido al quale peraltro Di Pietro ci ha abituati, anche perchè è l’unico che conosce, essendo del tutto inconistenti le argomentazioni. Linguaggio, comunque, non consono alla solennità dell’Aula di Montecitorio e qualsiasi Presidente, nel passato, avrebbe interrotto Di Pietro e gli avrebbe impedito di continuare. Non Fini, però. Tutte le TV che riporendevano il dibattito hanno fatto ascoltare il signor Fini “richiamare”  Di Pietro ma precisare che non si riferiva alla parola “coniglio”. Per questo signore, mister Tulliani, insultare due componenti della Camera in quel modo si può fare. Evidentemente, come sostiene Sallusti nell’editoriale che sopra pubblichiamo, Fini ha pensato a se stesso e a quante volte si è comportato da coniglio nella sua vita politica, lasciando gli amici, anzi i camerati, nel guado, pensando solo a stesso e ai fatti suoi. Ma anche se così è, rimane il fatto che Fini non può presiedere la Camera dei Deputati,  essendo egli non più terzo, ma parte, per di più parte con l’acqua alla gola in vista del suo definitivo affodamento nelle acque melmose in cui si è avventurato.  Speriamo che avvenga al più presto. g.