Il barile pieno e i profughi lontani, è l’umanitarismo anglo-francese

La rivolta dei senza patria maghrebini ammassati a Lampedusa, senza acqua né cibo bastevoli per considerarsi decentemente accolti, non rappresenta affatto una macchia nella capacità di gestione italiana di un’emergenza bellica dai risvolti calamitosi. E’ prima di ogni altra cosa un marchio della vergogna per l’Unione europea che ha messo in testa l’elmetto anglo-francese. La Francia di Sarkozy, nella sua improvvida avanzata neocoloniale sul mare e sotto il cielo di Libia, agita come salvacondotto morale l’urgenza di difendere i diritti dell’uomo, ma lo fa abbandonando gli uomini in carne e ossa a distanza di sicurezza dai propri confini. L’Eliseo li respinge tutti a Ventimiglia, gioca all’umanitarismo a costo zero stando bene attento a non ritrovarsi profughi indesiderati nell’arrondissement in cui abita il consigliere Bernard-Henri Lévy.

Londra non fa di meglio,
come notava giorni fa la corrispondente di al Jazeera in Gran Bretagna rivolgendosi a noi italiani. L’essenza del discorso era questa: mentre preparate la missione di guerra, non sottovalutate la callida indifferenza degli inglesi in fatto d’immigrazione nordafricana, lasceranno a voi il contraccolpo umano dell’Odissea libica. E così è stato. L’Italia, che aveva già allarmato per tempo l’Europa attraverso il ministro Maroni, oggi guida le operazioni marittime della Nato alternando i pattugliamenti militari e l’accoglienza severa delle navi stipate di migranti. Al momento le nostre ragioni trovano più ascolto a Tunisi che a Bruxelles e Strasburgo, dove prima o poi qualcuno dovrà pagare il conto dei danni collaterali provocati dall’unilateralismo anglo-francese. IL FOGLIO, 26 marzo 2011