BERLUSCONI? E’ UN DILETTANTE CHE PARLA CHIARO
Pubblicato il 27 marzo, 2011 in Costume, Politica | Nessun commento »
Che Berlusconi sia intelligente è difficile contestarlo. È anche un bizzarro incidente della storia, un’anomalia, e insieme l’autobiografia della nazione in molti aspetti non propriamente commendevoli, ma le sue doti di penetrazione intellettuale nella realtà, la sua esperienza in umanità e il talento di governare i rapporti di forza, sono doti personali e politiche da nessuno negate (sorvolo sui cretini che lo odiano, sulla gentuccia malata di pregiudizio da frustrazione, e sono molti). Se questo è vero, siamo in presenza di un apparente mistero. Perché ha detto che non voleva disturbare il colonnello Gheddafi, mentre divampava la crisi libica? Perché ha detto di essere addolorato per lui, a missione no-fly zone in pieno corso, con i bombardamenti del suo quartier generale ingaggiati da una coalizione di cui un’Italia riluttante fa parte? Su un altro piano: perché ha detto che la nomina di Saverio Romano a ministro dell’Agricoltura è stata necessaria per scansare il rischio di una crisi di governo, avallando i sospetti su un baratto? Un politico professionale, un D’Alema, un Prodi, un Fini, un Casini, e perfino il Bossi che condivide con il Cav il «talento dell’amicizia» e dell’inimicizia, e il «parlar chiaro», non lo avrebbero mai fatto. Si usano circonlocuzioni, in questi casi. Si mente con sottigliezza e ipocrisia. Si dice che «con il Colonnello il governo stabilirà eventuali contatti al momento opportuno». Si dice che «nessuno può essere lieto di un bombardamento, malgrado sia urgente la difesa umanitaria dei civili in Libia». E sulla nomina che ha impensierito il Quirinale, un politico professionale direbbe che «il piccolo rimpasto ha intanto arricchito di nuove forze e competenze la maggioranza, è un atto di stabilità e di gestione politica responsabile di poteri propri della presidenza del Consiglio». Le parole per dirlo non mancano, in politica. Ma Berlusconi non le trova, e ormai, dopo tanti anni in cui sono stato del parere che avrebbe dovuto trovarle dentro di sé e dentro la sua esperienza politica, sono certo del fatto che nemmeno le cerca. La debolezza del professionista è la forza del dilettante. Amateur , nella lingua dei nostri carissimi cugini francesi, amici-nemici come sempre: il dilettante è energia pura, philìa , amore o desiderio, volontà e piacere. Berlusconi sa che non avrebbe dovuto dire quelle cose, stando ai codici di comportamento della classe dirigente di cui è parte influente, ma la sua volontà, il suo desiderio di dirla come gli viene, di essere umanamente diretto anche quando tesse la trama obliqua dell’arabesco politico,fa premio sul professionismo, evoluzione dal latino profitèri : dichiarare pubblicamente, insegnare. Con Berlusconi è sempre il privato che parla,la narrazione decisiva è quella dell’esempio personale, del mito vivente o dell’autoironia domestica, del piacere di comunicare senza insegnare, senza mai salire in cattedra. La libertà che si prende e che dà a tutti e a ciascuno, nel suo metodo di business prima e di governo poi, è tutta qui. L’outsider è tutto qui. Il fenomeno sarà studiato per anni. Si conoscono casi di persone private divenute persona pubblica, maschera professionale, e anche con successo. Ma di persona privata che diciassette anni dopo l’irruzione sulla scena pubblica di una delle nazioni più industrializzate del pianeta, privata resta, e applica cocciutamente il suo metodo non professionale, antiprofessionale, anche alla politica estera in tempo di guerra, anche alla dialettica amico- nemico, e con efficacia malgrado gli ovvii elementi di fragilità che ogni storia amatoriale riveste, non si era mai sentito parlare. È un caso unico e misterioso, appunto, e lo studiarlo, l’osservarlo implica un sottile piacere, una delectatio filosofica che oggi l’Italia tutta condivide, lo sappia o no, se lo confessi o no.
Non è un caso qualsiasi di cronaca giudiziaria il fatto che l’ultimo assalto inquisitoriale contro Berlusconi abbia travalicato ogni rapporto con le sue proprietà quotate e il suo comportamento pubblico, e che il tentativo di colpirlo si sia incuneato senza pudore tra le sue cene, le sue frequentazioni, le sue feste e fin sotto le sue lenzuola. Ilda Boccassini è stregata, soggiogata da Berlusconi quanto il pubblico che va in tribunale a fargli la claque; i suoi nemici sono ipnotizzati dal suo metodo, che dannano, quanto noi, suoi amici e difensori dell’aria di libertà che quel linguaggio del corpo e della psiche personale ha portato nel sistema italiano ammalato di burocratite e professionite.
Fino al crollo della Repubblica costituzionale nata nel 1946, le ideologie di ferro del Novecento e il cattolicesimo nutrivano di significato la politica. Dopo, nel vecchio ceto dirigente è rimasto un insignificante mestiere, un guscio vuoto, una prassi senz’arte né parte, senza anima, senza riscontri vitali. Il mistero del privato che si fece statista è infatti controbilanciato dal mistero dell’impotenza dei suoi avversari professionisti, idonei all’insegnamento, docenti di metodo politico, ma incapaci di sottrarsi all’ipnosi dell’uomo della folla che dice quello che non si dovrebbe mai dire, e per questo si fa stranamente, ellitticamente, fatalmente capire. Il Giornale, 27 marzo 2011