Era il 4 marzo. Poche ore dopo l’elezione dell’italianissimo Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro, a presidente del Comitato economico e finanziario dell’Unione Europea (un organismo strategico fondamentale perché istruisce, concretamente, i lavori dell’Ecofin, cioè del consiglio che «governa» l’economia europea), Giulio Tremonti chiamò il suo omologo francese. Gli spifferi raccontano che il nostro ministro commentò con spirito cavalleresco l’elezione di Grilli che aveva avuto la meglio sul candidato d’Oltralpe Ramon Fernandez. Prima di congedarsi, Tremonti tuttavia non resistette a una delle sue battute, eleganti quanto perfide e sagaci: «Insomma, vi abbiamo battuto nel vostro sport preferito: occupare posti».Nella battuta attribuita a Tremonti c’è molta verità. Non scopriamo oggi la cosiddetta grandeur francese, la storia è lastricata di fughe in avanti, ancorché molto avventurose, dei «cugini» in ogni segmento della vita politica ed economica. Per una sorta di autoproclamazione i francesi hanno sempre pensato e creduto di essere una spanna sopra chiunque e in tutti i campi: da quello commerciale a quello militare. Il caso ha voluto che, nel 2011, siano venuti a galla nello stesso momento questi due aspetti della loro baldanza. Nella questione libica tutto è da ricondurre a una frettolosa iniziativa militare. Si tratta di una forma di interventismo che affonda le radici, ancora una volta, in una presunta superiorità che non ha alcun riscontro.

Questo sfrenato e irresistibile bisogno di mostrare i muscoli, di cui Nicolas Sarkozy rappresenta l’icona tangibile, ha portato la Francia a incassare nel breve volgere di qualche giorno un ridimensionamento che ovviamente non sarà mai ammesso dall’Eliseo. Esasperare con i missili e i raid aerei la polveriera libica ha infatti prodotto un velocissimo ricompattamento intorno alla Nato. La decisione unilaterale francese di attaccare (con il determinante appoggio della Gran Bretagna e degli Stati Uniti) ha ancora una volta svuotato di ruolo le Nazioni Unite di cui la Francia si è fatta scudo con un’interpretazione «estensiva» e pericolosa della risoluzione 1973, approvata a maggioranza dal Consiglio di sicurezza e nella quale non si autorizza in alcun modo l’intervento dei caccia ma si parla unicamente di protezione dei civili e delle aree popolate da civili.      L’esperienza dell’Iraq, con la moltitudine di ispettori che accertò le violazioni commesse dal regime di Saddam Hussein e precedette la decisione di intervenire militarmente, non è servita: in Libia sono bastati i commenti di Al Jazeera per stabilire che bisognava attaccare senza indugio. Solo un’iniziativa congiunta e condivisa dell’Alleanza atlantica, con la forza che ne deriva, può invece produrre effetti reali: senza strappi, senza un’inutile esposizione di muscoli utile alla tradizionale arrogance francese ma deleteria per gli equilibri internazionali. C’è poi l’altra guerra, quella commerciale deflagrata con il tentativo della Lactalis di rilevare la Parmalat. Bene ha fatto il governo a varare il decreto legge antiscalate su alcuni settori strategici, compreso quello agroalimentare. Non si tratta qui di una difesa antistorica dell’italianità, ma di un argine necessario che rende giustizia a un mal interpretato concetto di liberalismo. Con la Francia, infatti, il liberalismo è sempre stato a senso unico con buona pace della reciprocità: le nostre imprese sono state sempre respinte con perdite ogni volta che hanno tentato di acquisire aziende transalpine (basta ricordare i casi dell’energia, delle autostrade, delle ferrovie) grazie a una barriera nazionalistica e protezionista creata ad hoc dalla Repubblica Francese per frantumare d’imperio ogni velleità italiana. Al contrario, invece, i francesi hanno sempre potuto fare shopping in casa nostra e in tutti i settori, compresi quelli fondamentali e nevralgici per il sistema Paese. Per questo il decreto varato mercoledì 23 marzo dal governo era necessario e non più rinviabile. Per una volta tanto la grandeur va in soffitta. Al di là delle Alpi devono ogni tanto ricordare che nella loro storia non c’è solo il generale Napoleone. C’è anche il generale Cambronne…