Alla presentazione del suo primo e forse ultimo libro, il vicepresidente di Futuro e Libertà, Italo Bocchino, si è lasciato sfuggire un’esternazione temeraria: “Chi è rimasto con Berlusconi – ha detto – ha fatto una scelta perdente“. Al suo fianco c’era, non a caso, Walter Veltroni, uno che di scelte perdenti se ne intende davvero e ha annuito con grande sussiego a una sortita che, benevolmente, può essere derubricata a una battuta malriuscita.

Bocchino forse si è rifatto a quello che qualche decennio fa i britannici dicevano quando la Manica era in tempesta: “Il Continente è isolato”. Fa dunque solo sorridere sentire il vice-leader di un partitino che veleggia tra il 2 e il 3 per cento, e che avrà molti problemi a superare il quorum quando si voterà, giudicare perdente chi ha scelto di rimanere nel partito di maggioranza relativa. Ma Bocchino va preso per quello che è: un simpatico provocatore, nel senso non deteriore del termine.

Dopo l’ubriacatura mediatica che lo rese protagonista della politica italiana, tristemente finita col voto del 14 dicembre in cui l’assalto a Berlusconi naufragò in Parlamento, Bocchino si è ritagliato un ruolo più discreto: in Aula interviene di rado, lasciando il proscenio al capogruppo Della Vedova, ma quando lo fa dimostra di essere sempre lui.

Come nella concitata giornata di ieri, quando Fini ha impedito a quattro ministri di votare facendo bocciare il processo verbale della seduta precedente. Di fronte alle veementi proteste della maggioranza, il vicepresidente di Fli ha ironicamente rimarcato “l’inusuale sospensione del Consiglio dei ministri per far correre i membri del governo in Aula a votare per l’approvazione di un banale verbale della seduta precedente”. Aggiungendo che la maggioranza “ha dimostrato di non avere i numeri”. A parte che la maggioranza i numeri li ha, Bocchino ha omesso di ricordare un particolare imbarazzante, e cioè che se i ministri del governo Berlusconi sono costretti a fare i centometristi tra Palazzo Chigi e Montecitorio per arrivare a votare in tempo è solo perché lui e i suoi compagni di viaggio (ex camerati ma ora compagni) sono passati all’opposizione tradendo il mandato popolare di eletti nel Pdl.

Dopo aver detto, con spavalderia inversamente proporzionale alla reale forza elettorale, che Fli nasceva per riprendere in mano la bandiera autentica ed originaria del Pdl, e dunque delimitandone l’area di azione nel centrodestra, Fini e Bocchino hanno spostato il partito nell’area massimalista-giustizialista, quella cioè a cui fanno riferimento le correnti dell’antiberlusconismo più integralista.

Invece di sparare battute di quart’ordine, Bocchino farebbe meglio a sciogliere un interrogativo politico rimasto per ora senza risposta: Fli è un partito che guarda al centrodestra o resterà federato con Casini e Rutelli nel terzo polo? O è ancora disponibile a fare accordi con Pd, Di Pietro e Vendola? E come potranno coesistere queste opzioni?

Quello che appare in tutta evidenza è che siamo di fronte a una piccola forza senza un preciso dna politico che si aggiunge come ultimo anello alla galassia della sinistra antiberlusconiana. Se il Continente è isolato, insomma, Fini e Bocchino lo sono ancora di più.