Il lancio di monetine è la nuvola nera della politica italiana che annuncia i tempi dell’odio a conferma che la sinistra ricorre sempre all’arma totale dell’odio.

La tradizione inizia nel 1971, subito dopo l’elezione di Leone alla presidenza della Repubblica con il voto determinante dell’Msi almirantiano. A farne le spese fu Ugo La Malfa, bersagliato in Transatlantico con monete da cinquanta e cento lire dai parlamentari dell’allora Partito comunista italiano. La Malfa pagò così la sua libertà di scelta e di indipendenza dal richiamo all’antifascismo militante scandito dai banchi comunisti. Fu un atto che introdusse in Parlamento il segno di una guerra totale contro gli avversari, che diventavano nemici da colpire, da delegittimare e da confinare nel recinto degli indegni, dei corrotti e dei traditori. La Malfa era un uomo di sinistra, un liberaldemocratico, un antifascista vero. Pagava però la rottura con il Pci da lui sempre rispettato come forza di opposizione anche se non riformista.

Quello era il Partito comunista che incassava i soldi di Mosca, che si schierava con le campagne pacifiste dalla parte degli interessi geopolitici dell’Urss e che nelle piazze forniva una copertura istituzionale ai movimenti studenteschi e ai loro servizi d’ordine. La violenza doveva essere sempre fascista, anche quando il primo morto della guerra civile era un operaio genovese, Ugo Venturini, un militante missino, un operaio, ammazzato a Genova mentre ascoltava Giorgio Almirante. Quelle monetine segnalano la delegittimazione dell’avversario, la feroce campagna contro Leone, contro il «panfascismo» della Dc, contro il Msi che il magistrato Bianchi d’Espinosa voleva mettere fuori legge.

Furono gli anni di una guerra civile che costò all’Italia il terrorismo rosso, le stragi di cui non si saprà mai la vera responsabilità e la criminalizzazione degli avversarti politici. In quel clima si arrivò al sequestro e all’assassinio di Moro. Ma il Pci perse la partita. Bettino Craxi e i socialisti riformisti lo bloccarono, misero in crisi il compromesso storico, fecero emergere le contraddizioni tra una sinistra extraparlamentare che con l’autonomia operaia si liberava della tutela comunista e un Pci che doveva fare i conti con i demoni della guerra civile che aveva scatenato.

Vent’anni dopo con lo tsunami del giustizialismo attivato dalla Procura di Milano, il Pci regolò i conti con Craxi. Ci fu il lancio di monetine contro il leader socialista davanti al Raphael. E in quei giorni Occhetto assaporava il gusto di una vittoria politica che sembrava imminente. Il Paese reale si mobilitò e Berlusconi, come Craxi, nella primavera del ’94, sconfisse i postcomunisti. Da allora in Italia si è aperto il capitolo della Seconda Repubblica, di una guerra civile fredda che negli ultimi due anni ha raggiunto livelli di vera e propria, forse insanabile, frattura tra due Italie. Quella egemonizzata dai postcomunisti e dai giustizialisti e quella liberale e popolare che si oppone alla repubblica giudiziaria e all’ideologia giacobina del processo come strumento della lotta politica, risorsa delle minoranze faziose e violente.

Il lancio delle monetine contro La Russa e il Parlamenti segna una svolta, che purtroppo nel suo vero significato è sfuggita a molti. È un atto, quello di mercoledì 30 marzo, che annuncia un nuovo inizio dello scontro e costituisce la fase ultima della delegittimazione dell’avversario e del tentativo violento di imporre un cambiamento radicale della guida politica del Paese. Berlusconi è ritenuto dai postcomunisti definitivamente demonizzato e delegittimato. Contro di lui la campagna mediatica, movimentista, indignata, entra nella fase conclusiva. E già in Parlamento si assiste all’union sacrée dell’antiberlusconismo, che imbraccia ancora una volta l’arma della moralizzazione.

  • Leone fu costretto nel ’76 alle dimissioni da una campagna che accusava, lui innocente, di aver incassato le tangenti dello scandalo Lockheed.
  • Craxi, la destra Dc e i partiti laici furono spazzati via da accuse altrettanto infamanti.
  • Berlusconi dovrebbe abbandonare Palazzo Chigi inseguito da processi che ne sancirebbero l’indegnità morale e politica.

Il centrodestra non può certo resistere a questa offensiva in ordine sparso e senza aver chiaro che le prossime settimane saranno decisive. Le Amministrative di maggio si annunciano difficili da superare. Sarkozy in Francia viene travolto nelle Cantonali, così la Merkel in Germania, ma l’opposizione non li ritiene delegittimati e non chiede loro di abbandonare la politica.

In Italia un successo della sinistra provocherebbe una telluricità politica, sociale e civile durissima da affrontare e controllare. La mobilitazione che seguirà per il referendum sul nucleare sarà non molto diversa da quella che annunciò la vittoria dei divorzisti nel referendum del ’75.

Il divorzio allora e il no nucleare dopo Fukushima oggi sono delle ragioni condivise anche dall’elettorato moderato, che crederà di votare contro l’atomo come allora si illuse di votare a favore del divorzio. Ma quel voto sarà utilizzato per tentare la spallata finale contro il centrodestra. Meglio prevedere, meglio attrezzarsi, meglio individuare le linee di resistenza per reggere l’onda d’urto.

I tempi ormai sono stretti e non ammettono indulgenze, diserzioni e moderatismi ispirati dallo spirito di resa.