La legge è uguale per tutti, tranne che per i magistrati che possono tranquilla­mente calpestarla sapen­do di rimanere impuniti. A oc­chio, infatti, i pm della procura di Milano hanno commesso un re­­ato, trascrivendo e allegando ad atti pubblici tre intercettazioni te­l­efoniche del presidente del Con­siglio senza l’autorizzazione del Parlamento. Nelle ventimila pa­gine che costituiscono l’atto di accusa del caso Ruby ci sono in­fatti tre conversazioni tra il pre­mier e tre ragazze. Se n’è accor­to, ma guarda la coincidenza, il Corriere della Sera proprio alla vi­gilia dell’apertura del processo. Nulla di sconvolgente, anzi, sem­mai il contrario. Le conversazio­ni denotano confidenza, affetto, gli interlocutori parlano di Ruby e delle sue vicende con preoccu­pazione. Nulla di più. Su questo tema la legge è chia­ra. Primo: i telefoni di deputati e senatori non possono essere in­tercettati. Secondo: se intercet­tando una persona terza, gli in­quirenti si rendono conto che stanno ascoltando la voce di un parlamentare, l’operazione va subito interrotta.

Terzo: se i pm si accorgono solo a cose fatte del­­l’indebito ascolto, i nastri e le tra­scrizioni devono essere buttati, a meno che la Camera di riferi­mento, interpellata, non decida diversamente. Nel caso in questione tutto ciò non è accaduto. Ilda Boccassini e compagni se ne sono fregati della legge. In un Paese normale oggi sarebbero sotto inchiesta, come capita a qualsiasi cittadino che non rispetta le regole. Ma il nostro non è un Paese normale, quindi nulla accadrà, anche se è venuto il momento di ribellarsi. È assurdo che il presidente del Consiglio debba finire sotto pro­cesso pe­r una telefonata al massi­mo inopportuna ( quella alla que­stura di Milano) con un fascicolo d’accusa di ventimila pagine e 130 testimoni, e un pm debba far­la franca per un reato assai più grave non solo contro Berlusco­ni ma contro tutta la Camera dei deputati, la cui inviolabilità è san­cita dalla Costituzione.

Oggi dovrebbe suonare alta la voce del presidente della Came­ra, a difesa dei suoi uomini, della politica tutta e degli elettori. Gianfranco Fini ha invece visto bene di stare zitto, perdendo co­sì quel poco di dignità che anco­ra gli era rimasta. Se c’era qual­che residuo dubbio sulla sua complicità con i pm ammazza Berlusconi, direi che da oggi non c’è più.E Napolitano?Dove è fini­to i­l garante della legge e della Co­stituzione? Sparito, anche lui. In questo Paese guidato da co­dardi a pecoroni di fronte a tre pm arroganti, ci vorrebbe qual­cuno che ripristinasse la legalità di uno Stato democratico. Quan­d­o gli arbitri tifano per una squa­dra, nella fattispecie quella dei pm, la partita è truccata. La Boc­cassini ritiene di non aver com­messo reati? Che si è trattato di uno sbaglio? Che era un suo dirit­to farlo?

Bene, lo sostenga davan­ti a un giudice, se avrà ragione verrà assolta altrimenti si bec­cherà una condanna, esatta­mente come lei pretende di fare con i suoi imputati. Per fare que­sto ci vorrebbe però un giudice indipendente dalle procure, che oggi non esiste, perché come no­to cane non mangia cane, soprat­tutto se entrambi portano la to­ga. La separazione delle carriere tra la magistratura inquirente e quella giudicante prevista nella riforma della giustizia appena av­viata dal governo, non è più rin­viabile. Che oggi inizi pure il processo del secolo, illegittimo nella sede (ieri il Parlamento ha votato che Milano non ha titolo per proce­dere e che se ne deve occupare il tribunale dei ministri), nella so­stanza (nessuna delle presunte vittime sostiene di esserlo), e ora anche nella forma in quanto in­quinato da intercettazioni illega­li. Basta che tutta questa messa in scena non la si chiami giusti­zia. Il Giornale, 6 aprile 2011