Anche ieri alla Camera dei Deputati abbiamo assistito a una seduta da dimenticare: l’opposizione che usa il filibustering in maniera spregiudicata, la maggioranza tesa e un presidente della Camera che interviene male e in ritardo. La funzionalità del Parlamento è in pericolo e lo scriviamo da tempo. La terzietà di Fini esiste solo sulla carta. La conferma della sua assenza di serenità nella conduzione dei lavori dell’aula di Montecitorio, l’abbiamo avuta qualche giorno fa quando il Presidente della Repubblica ha convocato i capigruppo dei partiti: non rientra tra i poteri del Quirinale, ma non potendo Fini più essere un arbitro, Giorgio Napolitano ha dovuto svolgere un ruolo di garante e supplente che in questo caso non gli compete. Il sistema politico è in grave crisi, sono saltati gli equilibri e i confini nei quali si dovrebbero muovere tutti gli attori in campo. Nel bel mezzo di questo disfacimento istituzionale ci ritroviamo a gestire una crisi geopolitica di enormi dimensioni: l’Italia è la portaerei dell’ondata migratoria che dal Mediterraneo decolla verso l’Europa. Questo scenario imporrebbe un paio di cose: unità di maggioranza e opposizione, una strategia politica chiara, coraggiosa e condivisa, un’azione di moral suasion energica nei confronti dell’Unione Europea, un richiamo di Parigi ai suoi doveri umanitari, un governo che abbia la capacità e la visione di uscire dall’emergenza per cominciare a progettare il futuro dell’Italia nel Mediterraneo nei prossimi decenni. Basta questo elenco per comprendere che siamo di fronte a un cataclisma e che la classe politica – e non solo quella, purtroppo – è in gran parte priva degli strumenti culturali per comprenderla e affrontarla. Per fortuna il pragmatismo leghista ha evitato il peggio e si è passati saggiamente dalla politica celodurista del «fuori dalle balle», al permesso temporaneo, a un accordo con la Tunisia che ora vedremo alla prova dei fatti e a una ripartizione degli immigrati fra tutte le regioni. Dopo centocinquant’anni, la Storia ci propone ancora una volta una sfida: dimostrare di essere un Paese unito. Mario Sechi, Il Tempo, 7 aprile 2011