IL PARTITO DI FINI TRA BLUFF E MENZOGNE: IL CRAC IN TUTTA ITALIA
Pubblicato il 10 aprile, 2011 in Politica | Nessun commento »
Roma - Il Fli ha fatto flop. Eppure c’è una data malaugurante che avrebbe dovuto mettere tutti sul chi va là: Fini ha aderito ufficialmente al gruppo parlamentare di Futuro e libertà per l’Italia l’8 settembre 2010. Infatti poi fu disfatta. Ma in principio fu grande illusione, grande inganno recitato nel catino di Mirabello. Fu il primo spumeggiante comizio dopo il clamoroso strappo del «Che fai, mi cacci?», urlato in faccia al premier in aprile. Fu bagno di folla fiero e superbo ma anche un po’ falso. Non era vero che Fini aveva creato il Fli perché cacciato dal Pdl: lo aveva freddamente progettato da prima. Non era vero che i futuristi parlavano a una voce sola: falchi e colombe volavano già in direzioni opposte.
I guai del Pdl e la prospettiva di fare la terza gamba della maggioranza attraevano peones e non. A ogni ingresso, però, un mugugno; a ogni defezione, naturalmente, un brontolio: tanto per far capire che i futuristi erano e sono poco più che un’armata Brancaleone. Entrò Catone e Granata storse il naso, uscì la Sbai e i falchi la azzannarono. Entrarono il piemontese Rosso e l’abruzzese Toto e al piemontese Menardi e all’abruzzese Catone venne il mal di pancia. Poi ci furono riunioni fiume sul «che fare?» nelle sale della fondazione ursiana di Farefuturo. Volavano gli stracci occultati dal «Fini farà la sintesi». Anche in questo caso un grande bluff. In realtà Gianfranco non faceva la sintesi tra falchi e colombe perché il più falco di tutti è sempre stato lui. E il suo antiberlusconismo feroce e personale sgorgò in quel di Bastia Umbra, 7 novembre 2010.
Quello fu il giorno della grande fuga in avanti, dell’ultimatum a Silvio: «Dimettiti o saranno guai»; del preludio al cecchinaggio all’esecutivo; delle sirene del terzo polo. Uscì anche Angeli e tra i futuristi fu tutta un’alzata di spalle: tanto non conta nulla. Ma il vero crac arrivò il 14 dicembre, col calcolo errato sulla mozione di sfiducia che avrebbe dovuto spazzare via Berlusconi e il berlusconismo. Da tempo molti finiani avevano messo in guardia Gianfranco: non ti seguiamo nell’omicidio a freddo del Cavaliere. Ma lui tirò dritto e perse. Perse la partita e perse Moffa, Polidori, Siliquini, Catone. Ogni addio fu un’emorragia anche a livello territoriale. Moffa ha svuotato il Lazio, la Siliquini il Piemonte, Catone l’Abruzzo, Polidori l’Umbria. Fini e i fedelissimi giurarono che basta, quello che dovevano perdere lo avevano perso. Il riscatto sarebbe arrivato a Milano, in febbraio, col congresso fondativo. Invece fu disastro. Il motivo fu un altro imbroglio, smascherato nelle ore successive all’assise meneghina. Lì tutti a ripetere: siamo la destra, la vera destra, la nuova destra. Non siamo anti ma post berlusconiani. Non andremo mai con la sinistra. Siamo moderati. Non ci credette nessuno. Il partito venne consegnato a Bocchino e scoppiò l’insurrezione dei moderati. Oltre al commiato degli intellettuali di riferimento Campi e Ventura, arrivarono altri addii: sbatterono la porta Rosso, Barbareschi, Belotti. E con loro altre defezioni in periferia specie in Veneto e in Piemonte. Poi fu lo choc del gruppo al Senato, sciolto come neve al sole, con gli abbandoni di Menardi, Saia, Viespoli, Pontone. Tutti a puntare il dito contro il capo e il suo facente funzioni Bocchino. Ultimo sbrego con l’eurodeputato nonché coordinatore regionale della Campania, Enzo Rivellini. Un duello nell’unica Regione dove il Fli era riuscito a strutturarsi come si deve. Risultato: bye bye anche di Rivellini che s’è portato via quasi tutto l’organigramma regionale con i coordinatori cittadini di Napoli, Caserta, Avellino, Salerno. Ma non è finita qua. Nelle ultime ore si sono dimessi dagli incarichi di partito l’europarlamentare Potito Salatto (coordinatore provinciale di Rieti) e il senatore Candido De Angelis (coordinatore della Provincia di Roma). Tutti al grido di «No agli inciuci con la sinistra». Bocchino aveva provato a rassicurare i compagni: «Il Fli non sarà mai alleato con la sinistra». Ma le menzogne hanno le gambe corte e lo ricorda Francesco Storace: «A Olbia, in Sardegna, il Fli s’è unito non solo al Pd ma anche ai vendoliani di Sel e all’Idv di Di Pietro». Con buona pace di Urso, Ronchi e gli altri moderati che stanno ancora a cuccia nel Fli. Fino a quando?
I guai del Pdl e la prospettiva di fare la terza gamba della maggioranza attraevano peones e non. A ogni ingresso, però, un mugugno; a ogni defezione, naturalmente, un brontolio: tanto per far capire che i futuristi erano e sono poco più che un’armata Brancaleone. Entrò Catone e Granata storse il naso, uscì la Sbai e i falchi la azzannarono. Entrarono il piemontese Rosso e l’abruzzese Toto e al piemontese Menardi e all’abruzzese Catone venne il mal di pancia. Poi ci furono riunioni fiume sul «che fare?» nelle sale della fondazione ursiana di Farefuturo. Volavano gli stracci occultati dal «Fini farà la sintesi». Anche in questo caso un grande bluff. In realtà Gianfranco non faceva la sintesi tra falchi e colombe perché il più falco di tutti è sempre stato lui. E il suo antiberlusconismo feroce e personale sgorgò in quel di Bastia Umbra, 7 novembre 2010.
Quello fu il giorno della grande fuga in avanti, dell’ultimatum a Silvio: «Dimettiti o saranno guai»; del preludio al cecchinaggio all’esecutivo; delle sirene del terzo polo. Uscì anche Angeli e tra i futuristi fu tutta un’alzata di spalle: tanto non conta nulla. Ma il vero crac arrivò il 14 dicembre, col calcolo errato sulla mozione di sfiducia che avrebbe dovuto spazzare via Berlusconi e il berlusconismo. Da tempo molti finiani avevano messo in guardia Gianfranco: non ti seguiamo nell’omicidio a freddo del Cavaliere. Ma lui tirò dritto e perse. Perse la partita e perse Moffa, Polidori, Siliquini, Catone. Ogni addio fu un’emorragia anche a livello territoriale. Moffa ha svuotato il Lazio, la Siliquini il Piemonte, Catone l’Abruzzo, Polidori l’Umbria. Fini e i fedelissimi giurarono che basta, quello che dovevano perdere lo avevano perso. Il riscatto sarebbe arrivato a Milano, in febbraio, col congresso fondativo. Invece fu disastro. Il motivo fu un altro imbroglio, smascherato nelle ore successive all’assise meneghina. Lì tutti a ripetere: siamo la destra, la vera destra, la nuova destra. Non siamo anti ma post berlusconiani. Non andremo mai con la sinistra. Siamo moderati. Non ci credette nessuno. Il partito venne consegnato a Bocchino e scoppiò l’insurrezione dei moderati. Oltre al commiato degli intellettuali di riferimento Campi e Ventura, arrivarono altri addii: sbatterono la porta Rosso, Barbareschi, Belotti. E con loro altre defezioni in periferia specie in Veneto e in Piemonte. Poi fu lo choc del gruppo al Senato, sciolto come neve al sole, con gli abbandoni di Menardi, Saia, Viespoli, Pontone. Tutti a puntare il dito contro il capo e il suo facente funzioni Bocchino. Ultimo sbrego con l’eurodeputato nonché coordinatore regionale della Campania, Enzo Rivellini. Un duello nell’unica Regione dove il Fli era riuscito a strutturarsi come si deve. Risultato: bye bye anche di Rivellini che s’è portato via quasi tutto l’organigramma regionale con i coordinatori cittadini di Napoli, Caserta, Avellino, Salerno. Ma non è finita qua. Nelle ultime ore si sono dimessi dagli incarichi di partito l’europarlamentare Potito Salatto (coordinatore provinciale di Rieti) e il senatore Candido De Angelis (coordinatore della Provincia di Roma). Tutti al grido di «No agli inciuci con la sinistra». Bocchino aveva provato a rassicurare i compagni: «Il Fli non sarà mai alleato con la sinistra». Ma le menzogne hanno le gambe corte e lo ricorda Francesco Storace: «A Olbia, in Sardegna, il Fli s’è unito non solo al Pd ma anche ai vendoliani di Sel e all’Idv di Di Pietro». Con buona pace di Urso, Ronchi e gli altri moderati che stanno ancora a cuccia nel Fli. Fino a quando?
……………..E oggi la Gazzetta del Mezzogiorno dà notizia che il FLI sosterrà alle elezioni comunali di Noicattaro, provincia di Bari, il candidato di SEL, il partito di Vendola, Sozio, che non è uno qualsiasi, è il capogruppo di SEL alla provincia di Bari. Complimenti ai finiani, di Noicattaro e di ogni dove: hanno lasciato il centro destra per aruolarsi sotto le bandiere del veterocomunismo vendoliano. Ma andando dietro ad un veterotraditore come Fini può loro capitare anche di peggio. g.