ANCHE LA SINISTRA SCARICA FINI: “PEGGIOR PRESIDNETE DELLA STORIA”
Pubblicato il 13 aprile, 2011 in Politica | Nessun commento »
Roma - Alla fine anche la sinistra ha scaricato Gianfranco Fini. Nella bagarre della prescrizione breve, Montecitorio è stato assalito da una crisi di nervi che ha fatto letteralmente perdere le staffe ai partiti di opposizione che da ieri mattina si stanno affannando a rosicare minuti, secondi ai lavori parlamentari per procrastrinare il più possibile la discussione del ddl presentato dalla maggioranza. E, dopo oltre sedici ore di estenuante dibattito, i democratici hanno gettato la maschera e si sono scagliati contro il “baluardo” della sinistra contro lo strapotere dell’asse Pdl-Lega.
Lo hanno definito “il peggiore presidente della Camera”. Non di questi tempi. Il peggiore di tutta la storia della Repubblica italiana. Un’accusa pesante soprattutto se viene dal partito di Pierluigi Bersani con cui Fini, da diversi mesi a questa parte, sta flirtando per riuscire a far cadere il governo. Questa mattina il piddì Roberto Giachetti ha attaccato il leader del Fli per la conduzione dei lavori a Montecitorio. “Da quando è sotto attacco di Pdl e Lega che chiedono le sue dimissioni – ha spiegato l’esponente democratico – lei è il peggior presidente della storia”. Fini, impassibile, ha proseguito con gli interventi sul processo verbale.
Pier Ferdinando Casini si è subito schierato al fianco del presidente della Camera tenendo all’immagine di un Terzo polo coeso. “Sono allibito dalle parole del tutte incongrue di Giachetti contro il presidente – ha detto il leader centrista se avevo qualche dubbio sulla sua terzietà, ora ogni dubbio è svanito. Qui ciascuno vuol tirare il presidente dalla sua parte, ma il presidente non si difende solo quando fa le cose che piacciono a noi…”. Ma la difesa di Casini è caduta nel vuoto.
L’impossibilità di essere super partes per un politico che si trova a guidare sia Montecitorio sia uno dei partito dell’opposizione è stata più volte avanzata dalla maggioranza. Il Pdl lo aveva tacciato di essere un “dipietrista aggiunto”. La Lega Nord, invece, aveva presentato una discussione parlamentare per affrontare l’argomento e sanare la “ferita istituzionale” che si era venuta a creare. Discussione che era stata immediatamente abbandonata. Finché gli ha fatto comodo, però, la sinistra ha giocato di sponda con il fondatore di Futuro e Libertà rispedendo al mittente le accuse del Pdl. E Fini? Avanti per la sua strada. Due giorni prima del voto di sfiducia alla Camera, intervistato da Lucia Annunziata, il leader del Fli si era assunto in prima persona il ruolo di sfiduciatario del primo ministro italiano. Aveva detto: “Voteremo compatti la sfiducia al governo”. Il resto è storia: il 14 dicembre Fini ha perso la battaglia parlamentare in cui ha scelto di giocare un ruolo di primo piano. Ma il suo attenggiamento non è cambiato. Poche ore prima dell’inizio della discussione sulla prescrizione breve – tanto per citare uno degli ultimi episodi – il presidente della Camera ci ha tenuto a ricordare che il ddl è stato presentato dalla maggioranza e che lui è a capo di un partito dell’opposizione. Chi ha orecchie per intendere, intenda.
Forse la sinistra si aspettatava qualcosa di più. Magari un colpo di mano per mandare all’aria il processo breve. Così l’ha scaricato. D’altra parte, sondaggi alla mano, gli italiani hanno già dimostrato di non apprezzare la Santa Alleanza di Massiomo D’Alema che mette insieme democratici, futuristi e centristi. In realtà, i media progressiti avevano, già in passato, invitato Fini ad abbandonare lo scranno più alto di Montecitorio. All’indomani del colpo di mano fallito, Ezio Mauro scriveva su
Repubblica: “Fini dovrà dimettersi dalla presidenza della Camera per fare liberamente la sua battaglia politica decisiva”. Stessa tirata di Franco Cardini su Europa del 22 dicembre: “Una volta sceso sul terreno politico impugnando la bandiera della moralizzazione, e visto che il paese rispondeva (specie a sinistra), avrebbe dovuto far lui subito e per primo il gesto di abbandonare la presidenza della camera per rientrare a vele spiegate, come leader, nella politica”. Anche l’Unità non ci era andata leggera: “Era una scena che sfiorava i limiti della decenza della democrazia quella di veder sfilare i dissidenti del partito di Fini con gli occhi bassi, perché se li alzavano lì, sopra di loro, non c’era chi li doveva proteggere, ma colui che avevano tradito”.
A rigor di legge, Fini non è costretto a lasciare la presidenza della Camera. La costituzione non prevede, infatti, che questo ruolo istituzionale coincida con l’appartenenza alla maggioranza. Tuttavia, da sempre, le prerogative delle più alte cariche dello Stato sono – in base a una prassi precisa – imparziali e in grado di garantire quanto più possibile la propria neutralità. Adesso, anche il Partito democratico si è accorto che Fini non è una figura politica super partes. Il Giornale, 13 aprile 2011