L’ESERCITO EGIZIANO PER SALVARSI GETTA MUBARAK IN PASTO ALLA FOLLA
Pubblicato il 14 aprile, 2011 in Politica estera | Nessun commento »
Davanti alla marea montante in piazza che accusa con forza l’esercito egiziano di fare parte del vecchio regime e di essere altrettanto repressivo, il maresciallo di campo Mohammed Hussein Tantawi ha compiuto la sola mossa che restava a sua disposizione: ha fatto arrestare l’ex presidente Hosni Mubarak e i suoi due figli per interrogarli con l’accusa di corruzione e di abuso di potere.
Ieri l’ex rais ha avuto un malore – le sue condizioni di salute sono pessime da almeno due anni – ma ugualmente sarà trasferito dalla sua villa di Sharm el Sheikh verso un ospedale del Cairo. Il ministro della Giustizia, Mohammed el Guindi, dice che gli interrogatori riprenderanno accanto al suo letto, segno che l’ex presidente in questo momento potrebbe non stare così male, ma non ci sono notizie precise. L’incertezza sullo stato di Mubarak è un riflesso degli anni del suo potere, quando anche soltanto nominare l’argomento era proibito: nel 2007 un famoso direttore di giornale, Ibrahim Eissa, fu condannato a sei mesi di carcere pr avere violato questo ennesimo codice del silenzio.
Alaa e Gamal, i due figli, lo hanno preceduto in manette a bordo di un piccolo convoglio militare che si è fermato nella prigione di Tora. Un gruppo di fedeli del regime ha bombardato con sassi e bottiglie i poliziotti incaricati dei tre trasferimenti. L’ordine di detenzione per 15 giorni è stato pubblicato sulla pagina Facebook della procura generale, aperta per facilitare le comunicazioni e la trasparenza dal tribunale e con gli egiziani – e soprattutto con i familiari delle vittime morte negli scontri di piazza durante i giorni della ribellione, ma anche per blandire lo spirito libertario e tecnologico della ribellione dei giovani.
Fino a quattro mesi fa il regime sembrava così saldo che il passaggio di poteri era quasi dato per certo a favore di Gamal. Le ambizioni politiche dell’ex banchiere formato a Londra erano state però subito sacrificate durante i primi giorni della rivolta, quando ancora la situazione sembrava controllabile: non tira aria, aveva detto Mubarak al figlio, sarà meglio non parlare più della tua ex certa candidatura per placare la gente nelle piazze. Ora Tantawi si è comportato con il padre secondo lo stesso schema: meglio farti saltare come se tu fossi un fusibile di sicurezza messo tra noi e la rabbia popolare. Il generale non poteva più ignorare i segni d’allarme. Venerdì scorso una gigantesca manifestazione in piazza Tahrir al Cairo aveva investito direttamente il ruolo di Tantawi, per molti anni ministro della Difesa di Mubarak: “Con chi stai, con noi o ancora con lui?”. I manifestanti hanno inscenato un finto processo a carico del rais. Mustapha Kamel al Sayyid, professore di Scienze politiche all’Università americana del Cairo, spiega che la piazza piena è stata “un ultimatum. Se l’ex presidente non fosse stato interrogato, ci sarebbe stata una escalation”. Ma nonostante la presenza numerosa dei Fratelli musulmani, l’arresto di ieri “è una vittoria dei gruppi laici. Sono stati loro, la settimana prima, a cominciare a imporre la questione e a richiamare gente”.
L’intimidazione brutale da parte dei soldati contro una protesta di femministe – sottoposte a un test per provarne la verginità – il mese scorso e l’arresto recente di un blogger per avere criticato le Forze armate su Internet non rassicurano nessuno sull’atteggiamento dell’esercito, che nei giorni della deposizione di Mubarak era circondato da un alone eroico ma adesso – almeno fino all’arresto di Mubarak – sta deludendo le attese. Ora la mossa potrebbe aver funzionato, ma all’esterno suonerà come un avvertimento per i regimi in bilico nel resto del mondo arabo, dallo Yemen alla Siria al Bahrein. Lasciare il potere non basta, dopo vengono il processo e la possibile incriminazione.
.…………Non sappiamo, nessuno sa, se Mubarak nel corso dei 30 anni di potere gestito essenzialmente con l’appogggio e il sostegno delle Forze Armate da cui proveniva, abbia commesso crimini o si sia arricchito. O se ciò hanno fatto i suoi figli, uno dei quali era destinato alla successione come avviene nelle monarchie o nei regimi totalitari. Lo si saprà. Però un merito Mubarak ce l’ha e nessuno potrà mai disconoscerglielo: è’ stato lui e il suo geverno che hanno contribuito a creare le condizioni di parziale stabilità in un’area del Mediterraneo sconvolta dallo scontro tra Israele e Paesi arabi e dalle azioni terroristiche degli estremisti islamici. E’ stato Mubarak che a capo di una Nazione araba e religiosamente antiebraica per quasi 30 anni si è trasformato nell’alleato più fedele dell’Occidente e nella trincea avanzata contro il terrorismo antioccidente. Non lo si può e non lo di deve dimenticare. Come non va dimenticato che sebbene ne abbia avuto la possibilità, come Ben Alì in Tunisia, Mubarak non ha abbandonato l’Egitto, non è fuggito con il “tesoro” in accoglienti rifugi che di certo l’avrebbero ospitato…Mubarak si è dimesso, evitando bagni di sangue e guerre civili come sta accadendo in Libia, ed è rimasto in Egitto, insieme ai suoi figli, forse anche in virtù di una qualche promessa che i “suoi” generali e qualche Potenza grata per la trentennale alleanza gli avranno fatto. Promessa che evidentemente non è stata mantenuta se all’ex presidente e ai suoi stessi figli è stata riservata l’onta delle manette e la cosiddetta custodia cautelare. Una brutta pagina e, come scrive il Foglio quest’oggi, un brutto messaggio per i tanti dittatori sparsi nel mondo che visto il precedente, difficilmente rinunzieranno al potere senza spargere sangue innocente. g.