Solo con la voluttà della calunnia, e con il corri­spondente piacere del­la giustizia politica, può spiegarsi l’infame sto­riaccia di Massimo Ciancimi­no e dei suoi bardi. Arrestato per calunnia e truffa pluriag­gravata, il figlio del corleone­se don Vito da quasi tre anni pontificava con il bollo della Procura di Palermo, del suo numero due, il dottor Anto­nio Ingroia, il magistrato che fa comizi in piazza contro le leggi all’esame del parlamen­to, il professionista dell’anti­mafia che ha la libido da con­vegno, da manifesto politico­ideologico, e che usa il suo de­­licatissimo potere d’indagine e di ac­cusa mescolando­lo con un attivismo politico fazioso in forma incompati­bile con la Costitu­zione e la legge del­la Repubblica. (Il caso Lassini, al confronto, fa sor­ridere, e bisognerà pure che Milano torni ad essere una capitale della liber­tà, capace di ribel­larsi contro l’oscurantismo borbonico di una giustizia piegata a servire le traversie della politica politicante. Ca­ro sindaco Moratti, lei fa be­nissimo a impegnarsi per una competizione in cui il vol­to moderato e ragionevole della sua maggioranza emer­ga contro ogni manipolazio­­ne interessata, ma mi aspetto da lei e dalla borghesia colta che la sua maggioranza rap­presenta una parola chiara su una grande questione mi­lanese e nazionale: lo strame che si fa della giustizia). Massimo Ciancimino non è un pentito, non rientra nel­l­a controversa categoria di co­loro che pretendono di aver aiutato a fare giustizia con ri­velazioni in qualche modo ri­scontrate e capaci di mettere in scacco la delinquenza or­ganizzata di tipo mafioso. È invece un teste d’accusa sul­la cui attendibilità, in modi azzardati e avventurosi, alcu­ni Pm diretti da Ingroia han­no fatto la scommessa della loro vita professionale, por­tandolo per mano nel circui­to mediatico-giudiziario, con l’aiuto di Michele Santo­r­o e altri professionisti dell’in­formazione obliqua, insi­nuante, della macchina del fango (come impudentemen­te dicono, per ritagliarla sugli altri), dentro una narrazione calunniosa che ha investito lo Stato, i governanti, la politi­ca e infine il capo e coordina­tor­e dei servizi di si­curezza e di infor­mazione sui quali si fonda la credibi­lità degli apparati della forza e del­l’ordine repubbli­cano. Sotto scorta e as­sistito dai suoi di­rettori spirituali e giudiziari, per me­si e mesi il figlio di don Vito ha infan­gato Berlusconi, presidente del Consiglio; il senatore Del­­l’Utri, uno che sta per pagare con molti anni di galera la tra­sformazione calunniosa del­le sue amicizie controverse in un reato penale da Paese borbonico (concorso ester­no in mafia); Nicola Manci­no, già presidente del Senato e ministro dell’Interno e vice­presidente del Consiglio su­periore della magistratura; Giovanni Conso, giurista e già ministro di Grazia e Giu­stizia; il generale Mario Mori, l’eroe italiano che arrestò il capo della mafia; infine il pre­fetto De Gennaro, per anni ca­po della polizia, un uomo che ha lavorato contro la mafia con Falcone in modi contro­versi ma efficienti, e che ora fa parte, agli occhi dei suoi ne­mici, di un odiato apparato di governo della Repubbli­ca. E molti altri, secondo le convenienze d’occasione. Serve un colpetto al grup­po dei deputati che è entrato a far corpo con la maggioranza politica che gover­na il Paese? Ecco una propalazione pronta sul ministro appena nominato Saverio Romano, da tredici anni sotto in­dagine per mafia e da tenere ancora sul­la graticola anche grazie alle parole va­ghe, generiche ma velenose e insultanti e infanganti del ventriloquo di un padre morto da anni, che fa parlare al cospetto della giustizia i fantasmi della passione politica faziosa, al servizio di chi non si sa, ma per mezzo di quali avalli giudizia­ri e mediatici lo si sa benissimo. Il dottor Ingroia è arrivato alla delicatezza lettera­ria di scrivere la prefazione al libro di ca­lunnie del figlio di don Vito. Se una peri­zia non a­vesse svelato il carattere truffal­dino di questa testimonianza, chissà do­ve sarebbe arrivato il terzetto Ciancimi­no- Ingroia-Santoro. Questo tizio che ora è in carcere per calunnia e truffa, per aver fatto operazi­o­ni di copia e incolla su vecchi documen­ti fotocopiati per incastrare chi-sa-lui con il bollo della giustizia, è già finito a pagina 21 di Repubblica e a pagina 27 del Corriere della sera .L’insabbiamento del caso è già in pieno corso. I giornalisti giudiziari che hanno usato le sue carte false, e accompagnato con la loro opero­sa attività cronistica la scandalosa pro­mozione del suo ruolo di «icona dell’an­timafia », hanno già girato la frittata, prendendoci tutti per rimbecilliti, pri­ma di tutto i lettori dei loro riveriti giorna­li. Secondo loro quell’arresto non dimo­stra l’esistenza di una cospirazione poli­tico­ giudiziaria che si chiama appunto calunnia contro uomini pubblici decisi­vi della nostra vita democratica, no, c’è un puparo ignoto dietro la calunnia e adesso gli stessi magistrati che hanno ac­cudito il pupo dovranno eroicamente dare la caccia al puparo. Un nuovo mi­stero, nuovo fango che avanza, nuova in­giustizia. Ora basta. Se nessuno tra coloro che hanno autorità per farlo si muovesse, se il ministro Alfano, il vicepresidente del Csm Vietti, il capo dello Stato, non sen­tissero il dovere civile di accertare che cosa è accaduto, sotto il travestimento ridicolo dell’obbligatorietà dell’azione penale, se nulla di serio e di liberale e di garantista dovesse accadere nei prossi­mi giorni, l’anarchia già in fase avanzata in cui vive questo Paese straziato da un ventennio di uso politico della giustizia diverrebbe un’esondazione di colpe in­crociate, il fomite di una generale dele­gittimazione. E chi ama la Repubblica non può stare a guardare senza fare nul­la. Ci sono forze ancora grandi e limpide capaci di reagire in modo serio, respon­sabile, equilibrato, trovando le parole giuste per dire lo scandalo più grave, in materia di stato di diritto e di regolare funzionamento delle istituzioni, da vent’anni a questa parte? Quando un magistrato avalla una cospirazione ca­lunniosa contro i capi del governo, i par­lamentari, i generali dei carabinieri, i ca­pi dei servizi segreti, i vicepresidenti del Csm, che cosa si deve fare? Starsene a braccia conserte? Godersi lo spettacolo voluttuoso della calunnia di Stato e aspettare che chi l’ha consentita faccia giustizia? Che cosa aspettiamo a tirare fuori l’articolo 289 del codice penale,«at­tentato a organi costituzionali», che pu­nisce con dieci anni di galera chi cospira contro lo Stato? Giuliano Ferrara, Il Giornale, 25 aprile 2011
……..Ecco un atto di coraggiosa denuncia di una giustizia asservita a scopi poco chiari. Bravo Ferrara, purtroppo però non basta la sua denuncia se la politica e in primo luogo la maggioranza non trova la forza per sottrarsi al politicamente corretto e dica pane al pane e vino al vino. Nella vicenda di Ciancimino, il cui fermo è stato tramutato in arresto, l’unico a parlare è stato l’on. Cicchitto il quale ha dichiarato che l’arresto di Ciancimino da parte della Procura di Palermo,  che per anni, come pure ricorda Ferrara, lo ha usato per delegittimare lo Stato, nasconderebbe l’obiettivo di sottrrarre la gestione del grande calunniatore alla Procura di Caltanissetta e per tentare dei distinguo. Ed infatti il pm palermitano Ingroia, quello dei comizi e dei proclami contro il governo e la maggiorazna che lo sostiene, già ieri si è precipitato a dire che le parole di Ciancimino vanno valutate caso per caso. Alla luce di ciò e della denuncia di Cicchitto, che sembra trovare conferma proprio nelle parole di Ingroia,  il  ministro della Giiustizia si affretti ad assumere le iniziative necessarie, prima che l’arresto di Cinacimino venga usato per altri infamanti tentativi di infangare quelli che nel 1994 impedirono alla occhettiana  macchina da guerra di conquistare il Paese per trasformarlo in un immenso Gulag del terzo millennio. g.