Archivi per aprile, 2011

DAL PDL AI MAGISTRATI, ECCO L’ITALIA SECONDO BERLUSCONI

Pubblicato il 17 aprile, 2011 in Politica | No Comments »

Silvio Berlusconi Avrebbe potuto tuffarsi dal palco e “nuotare” sui suoi fan. Come una vera rockstar. Silvio Berlusconi interviene al primo meeting internazionale «Pdl, al servizio degli italiani» ed è show. Sulle note di «Meno male che Silvio c’è», cantata a squarciagola dai partecipanti, il Cav sembra rinascere. E la crisi del partito sparire. Il premier vuole ripartire. L’associazione «Al servizio degli italiani» e gli oltre mille sportelli nati sul territorio per aiutare i cittadini servono a questo. Sale sul podio al centro del palco e dà una lezione a tutti. La prima tirata d’orecchie è per i suoi. «Il Pdl, come altri partiti, è vittima di una inevitabile patologia. Chi è entrato in politica da molti anni e adesso si trova in una posizione di potere, comincia a dare gomitate affinché i concorrenti non gli tolgano il posto. Guarda con preoccupazione e diffidenza i nuovi arrivati, chiude la porta», ammette. Lui, comunque, non si scoraggia. Ha già pensato a tutto. Guarda avanti. «Invito tutti voi a dedicarvi alla politica in modo da essere i nuovi esponenti del partito. Quello che dobbiamo fare ora è aprire a tutti gli italiani le porte del Pdl», spiega tra gli applausi emozionati di chi è lì pronto a credere al sogno. Il secondo affondo del Cav è per chi un sogno non ce lo ha mai avuto, quel «centrosinistra che è rimasto sempre uguale a se stesso, non ammettendo mai l’errore di aver creduto e di continuare a credere nell’ideologia più disumana e criminale della storia, il comunismo, e che pur di far male a Silvio Berlusconi rinuncia a fare il bene del Paese». Il premier è definitivo. Al sogno di un’opposizione leale e collaborativa non crede più neanche lui. Evoca lo spettro del ribaltone e prende di mira le toghe: «Abbiamo a che fare con una magistratura permeata dalle idee della sinistra, in campo per cambiare ciò che gli italiani hanno deciso con il loro voto. In termini crudi – scandisce tra gli applausi – si chiama eversione. L’hanno fatto nel ‘93, facendo fuori un leader votato dagli italiani che si chiamava Bettino Craxi, accusandolo di aver usato la politica per arricchirsi, mentre alla sua morte non ha lasciato nulla ai suoi figli». È successo poi – racconta – nel ‘94, quando «il Presidente di sinistra Scalfaro chiamò Bossi e gli disse che sarebbe finito anche lui nel burrone con me. Bossi – spiega con la serenità di chi ha dalla sua la ragione della storia – ebbe il torto di credergli e si ruppe la coalizione». Furono sempre i magistrati – ammette – a far cadere il governo Prodi, non accettando la riforma della Giustizia voluta dal ministro Mastella. È per combattere contro tutto questo, garantisce il Cav, che «sono ancora qui e ci starò ancora fin quando necessario». Con i magistrati non ha ancora finito. Vuole raccontare ai suoi fan perché i 31 processi intentati nei suoi confronti sono «surreali». Spiega il caso Mills e il procedimento sui diritti tv riassumendo tutta la “trama” come in uno “spiegone” televisivo. Caratterizzando i personaggi come fa nelle barzellette che ama raccontare. Giurando «anche qui sui miei 5 figli e 6 nipoti che sono fatti contrari al vero. Arriverò a 120 anni, ma sono il mortale con più processi nella storia dell’uomo, e anche degli extraterrestri». Ecco perché il lodo Schifani, il lodo Alfano o il legittimo impedimento, «che però i pm di sinistra hanno impugnato davanti alla Consulta, che avendo una maggioranza di giudici di sinistra li ha bocciati». Ecco perché il processo breve, «che ci è stato imposto dall’Europa» e che non crea nessuna disugliaglianza di fronte alla legge (il messaggio è per Napolitano) dal momento che «in tutti gli Stati vi è una differenza tra incensurati e recidivi». Ecco perché «serve una commissione d’inchiesta per accertare l’esistenza di un’associazione a delinquere a fini eversivi dentro la magistratura». Ed ecco perché – ora che non ci sono Casini o Fini a impedirlo – è necessario riformare la giustizia. Resta il tempo per una precisazione sulla scuola: «Sono stato aspramente criticato per le mie parole, ma se una famiglia poco abbiente ha la sfortuna di incontrare insegnanti di sinistra, che attraverso i libri di testo, che sono tutti di sinistra, vogliono inculcare valori diversi dai loro, lo Stato deve dare la possibilità di mandare quel figlio in una scuola privata». Applausi. I fan del Cav – e in sala ci sono tanti napoletani – stanno lì a batter le mani anche quando lui ricorda i successi storici del Milan e ne promette di nuovi. Magari lo scudetto. Lo stesso che sognano i partenopei. Silvio ha sconfitto il dio calcio. Figurati per quanto tempo ancora sconfiggerà la sinistra. IL TEMPO, 17 parile 2011


CATTIVISSIMO ME

Pubblicato il 17 aprile, 2011 in Costume, Politica | No Comments »

Mentre gli odiatori del Cav. sfogano la fantasia politico-anatomica, lui cerca il lieto fine anche con loro

Mentre gli odiatori di Silvio Berlusconi danno sfogo alla fantasia più feroce e a categorie di disumanità per far meglio coincidere il premier con il male assoluto da operetta (“incantatore da fiera”, “stregone”, “l’Imbroglione”, “delirio narcisistico”, “autocompianto posticcio”, “logorrea farfallina”, “Caimano”, “il malaccorto”, “sentimento narcisistico d’onnipotenza”, sono alcune delle definizioni rinvenibili nelle cronache di Repubblica su Berlusconi in aula a Milano), Silvio Berlusconi manifesta un’adesione elementare alla realtà. Se vede un giornalista baffuto e non proprio innamorato, lo chiama “signor Stalin”; davanti al pubblico ministero che lo accusa dice: “Allora è lei il cattivo” (se ci fosse un po’ meno guerra e un po’ più di sense of humour, si potrebbe ridere molto, di lui e degli altri, ma di nascosto dai giornali che hanno precisi ordini di luttuosità e rancore).

Silvio Berlusconi divide il mondo in buoni e cattivi (lui si sente il re dei buoni, e infatti dice: “Grazie a voi della fiducia che, vi assicuro, mi merito totalmente”), in streghe e fate, ed è convinto di meritarsi, oltre alla fiducia, il lieto fine. Come nelle favole (con molte molte Biancanevi), in cui il cattivo viene sempre sconfitto oppure diventa buono. Berlusconi credeva forse di fare sorridere il pubblico ministero, apostrofandolo come nei film, offrendogli la grandezza della cattiveria, immaginava di finire il processo con strette di mano, brindisi e canzoni francesi. Da sempre chi lo detesta si avventura in definizioni romanzesche, complesse, freudiane, junghiane, giudiziarie, perfino anatomiche (ieri Giuseppe D’Avanzo spiegava seriamente che Berlusconi si serve di un particolare muscolo della faccia, il massetere, situato vicino alla mandibola, per manovrare quel “sorriso inalterabile”: ma si è fatto infilare quel coso apposta nella faccia dai chirurghi plastici o si tratta di un muscolo democratico posseduto anche dalle mandibole dell’opposizione?), e intanto si creano libri, documentari, film, poemi, appelli, trasmissioni televisive, opere teatrali (più o meno tutto, tranne un’alternativa) per tentare di spiegare e abbattere il demoniaco fenomeno Berlusconi.

Berlusconi invece si ferma a “cattivo”. E’ la parola forse più impolitica e meno strategica che esista (impiegata anche dal Berlusconi privato e démodé, come si è visto dalle telefonate spiate e pubblicate, “cattivona tu”), utilizzata nelle favole per le matrigne, le streghe, le sorellastre e i lupi, amata dai bambini perché è sufficiente per denunciare un mondo di ingiustizie vere o immaginarie (la mamma che mette in punizione, l’amichetto che ruba la palla, il mostro che potrebbe entrare dalla finestra se non si dorme con la luce accesa). La visione del mondo di Berlusconi non è diversa da quella di chi lo detesta (Berlusconi è il cattivo supremo): la differenza sta nel grandioso dispendio di aggettivi e minuziose descrizioni di parti del corpo. Annalena Benini, FOGLIO QUOTIDIANO, 17 APRILE 2011

.…….Annalena Benini è una giovane e  simpatica giornalista. Ogni settimana scrive non più di tranta riga nell’ultima pagina di Panorama. Scrive di costumi, sempre sul filo dell’ironia, leggera ma pungente, come deve essere l’ironia. Come  nelle riga, poco più di trenta, che oggi scrive sul Foglio di Ferrara, per ironizzare sul “dispendioso uso di aggettvi” da parte dei detrattori di Berlusconi per demonizzarlo e, al contrario, sui due semplici aggettivi di cui fa uso  Berlusconi per distingere gli uomini: buoni o cattivi.  Diceva Montanelli che bisogna dubitare di chi usa trenta pagine per dire cose che si possono dire in trenta riga. Appunto. Brava Annalena. g.

FINI, DOPO MONTECARLO, LA FA FRANCA ANCORA UNA VOLTA : RESTA IMPUNITA LA SUA IMMERSIONE ILLEGALE

Pubblicato il 16 aprile, 2011 in Cronaca, Giustizia, Politica | No Comments »

Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica

Per raccontare l’ennesima disavventura giudiziaria a lieto fine del presidente della Camera, prendiamo in prestito le parole di Carlo Rienzi, generalissimo del Codacons. Che nel rendere noto il dispositivo di archiviazione del tribunale di Grosseto sui presunti reati commessi dai compartecipi all’immersione di Gianfranco Fini e della sua compagna Elisabetta nelle acque off-limits della riserva marina di Giannutri, con sarcasmo fa presente che la decisione del giudice Valeria Montesarchio d’ora in poi «autorizzerà» qualsiasi altro sub della domenica a immergersi nei fondali inaccessibili dell’isola toscana, previa «raccomandazione» telefonica alle cosiddette autorità. Insomma, se si comporterà come s’è comportato il subacqueo di Montecitorio il 26 agosto 2008, mandando avanti il suo caposcorta, rischierà punto. Giurisprudenza diving.

«Grazie a questa decisione – attacca Rienzi – chiunque voglia farsi un bagno nella acque protette di Giannutri potrà farlo senza correre il rischio di violare le norme a tutela dell’ambiente purché, però, dimostri di aver fatto un paio di telefonate alla Capitaneria di porto o ad altro ente locale». Per capire come si è arrivati all’assoluzione di tutti gli imputati (Fini non è stati mai nemmeno indagato) occorre rituffarsi nel passato, fino a quel giorno dell’agosto di tre anni fa quando il futuro leader del Fli e la signora Tulliani, con tanto di muta, pinne e bombole, accompagnati sul posto da una pilotina dei vigili del fuoco, vennero immortalati dai fotografi dell’associazione ambientalista Legambiente mentre, per diletto, impunemente, violavano i divieti previsti nell’area protetta «1» (pesca, navigazione, ancoraggio, sosta e immersione) fermandosi all’altezza della costa dei «Grottoni».

Il Codacons inviò subito un esposto in procura. Le foto dell’onorevole sommozzatore erano nitide, la location proibita pure, le immagini non ammettevano dubbi. Così le indagini accertarono come effettivamente «una imbarcazione dei vigili del fuoco era entrata nella zona parco 1, località Grottoni, pur non avendo ottenuto i preventivi nulla osta dell’Ente Parco». Dopodiché i «successivi accertamenti identificavano i pubblici ufficiali che partecipavano all’escursione, ritenuti possibili responsabili del reato». Sott’inchiesta finirono il capo scorta di Fini, i pompieri che lo scortarono a Giannutri, il responsabile della Capitaneria che ricevette le telefonate dal braccio destro del presidente della Camera. Solo che ognuno, discolpandosi, offriva una versione dei fatti differente. E così, anziché affidare al dibattimento l’accertamento della verità, il pm ha optato per una richiesta di archiviazione basata sull’impossibilità di accertare le responsabilità dello sconfinamento in acque protette.
E il gip di Grosseto, Montesarchio, ha accolto quella richiesta con un’ordinanza di archiviazione che ha mandato il Codacons su tutte le furie. La violazione, e non poteva essere altrimenti, è accertata anche secondo il giudice. Che scrive però come non sia «possibile individuare con certezza il soggetto a cui attribuire la penale responsabilità per il fatto contestato».

I tre pompieri della squadra sommozzatori, infatti, per il gip hanno «credibilmente» agito «nell’adempimento di un obbligo di servizio, e quindi nell’adempimento di un dovere, prestando l’assistenza a loro richiesta». Il caposcorta del presidente della Camera, Fabrizio Simi, sempre secondo il gip vede «parzialmente riscontrata» la versione data a verbale, di non aver «consapevolezza e volontà di violare le disposizioni normative vigenti a tutela dell’ambiente nell’area interessata». Questo, tra l’altro, perché è riscontrato che abbia chiamato due volte il comandante della capitaneria di Porto. Simi sostiene di averlo fatto per essere autorizzato. Il comandante nega assolutamente il contenuto delle conversazioni, ma conferma le chiamate, e tanto basta. D’altra parte, anche il numero uno della Capitaneria, Maurizio Tattoli, indagato a sua volta, va archiviato, secondo il gip, semplicemente perché non aveva alcun «potere autorizzatorio».

Un balletto di versioni e racconti che manda tutto in archivio. E a parte la discutibile figura, a Fini e alla Tulliani è andata pure meglio: pagando a ottobre 2008 412 euro di multa, hanno chiuso la questione. Prezzo non troppo proibitivo, per l’immersione proibita.

…..Dopo Montecarlo, arriva una nuova archiviazione per Fini da parte di una Magistratura assai benevola. Una nuova ragione per domandarsi se per caso non abbia ragione Berlusconi quando sostiene che tra Fini e certa magistratura sia stato sottoscritto un accordo per impedire che vada in porto qualsivoglia riforma della Giustizia che non piaccia alle toghe rosse. Un indizio è un indizio, due indizi sono due indizi, tre indizi diventano una prova. Aspettiamo il terzo indizio. g.

BERLUSCONI, OVVERO L’IMPREVISTO DELLA STORIA

Pubblicato il 16 aprile, 2011 in Politica | No Comments »

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi Successione. Parola della politica che è sempre più associata al nome di Berlusconi. Non c’è niente di sbagliato a pensarlo perché il Cavaliere è protagonista di un ciclo politico che non ha eguali in Occidente. Berlusconi c’era prima di Obama, Merkel, Sarkozy, Cameron, Putin, Medvedev, Zapatero, Erdogan e molti altri leader che si sono succeduti sulla scena. Clinton, Bush jr., Gonzalez, Aznar, Mitterand, Chirac, Eltsin, Major, Blair, Brown, Kohl, Schroder, sono spariti dalla narrazione pubblica, ma lui, il Cavaliere, è ancora in sella. E questo non è un suo demerito, semmai un motivo di riflessione sui meccanismi di partecipazione alla vita politica. Abbiamo di fronte a noi diciassette anni di storia in cui Berlusconi ha alternato vittorie e sconfitte, ma ogni volta che è caduto ha avuto la tenacia di rialzarsi, fare «la traversata nel deserto» e tornare al comando. Tutto questo Berlusconi l’ha fatto mettendo in piazza il suo conflitto di interessi, facendolo votare dagli elettori (che non l’hanno considerato decisivo), resistendo all’assalto giudiziario, dispiegando la sua forza economica, le sue televisioni, la sua energia e capacità di capire gli umori del Paese. Ha vinto quasi sempre le elezioni e perso il treno di molte riforme. Ma ha i voti e governa legittimamente. Molti dei suoi avversari in Parlamento sono in politica da più anni di Berlusconi e certamente sono ben più logori e con nessuna chance di batterlo nell’urna. Il problema di un ricambio generazionale dunque non è nel centrodestra, ma nel Paese. La classe politica costituisce un blocco granitico inamovibile. Per questo la successione a Berlusconi sarà come la discesa in campo di Berlusconi: qualcosa di inedito e totalmente nuovo, un felice imprevisto. Mario Sechi, Il Tempo, 16 aprile 2011



ALLA VIGILIA DELLA FASE 2 DEL GOVERNO

Pubblicato il 16 aprile, 2011 in Politica | No Comments »

Chiuso il malinteso con il Quirinale sulla prescrizione breve, Berlusconi può pensare alla fase due del governo

“Dopo Pasqua partirà al Senato la riforma della giustizia e stavolta voglio andare fino in fondo anche con quella del fisco”. Ieri Silvio Berlusconi, a Palazzo Grazioli, lo ha ripetuto anche all’ex ministro Antonio Martino. Riassorbito il quasi incidente con il Quirinale sul processo breve, con la nota nella quale la presidenza della Repubblica ha specificato che “non c’è nessun intervento preventivo” e che “l’esame comincerà soltanto prima della promulgazione”, il presidente del Consiglio appare più sicuro di poter archiviare il processo Mills. In fondo al tunnel delle aule di giustizia e del fango mediatico, a via del Plebiscito si intravvede la fase due della legislatura: ripresa dell’iniziativa politica e di governo, riforme. Ma chissà. La prescrizione celere, adesso all’esame del Senato, rimane la precondizione necessaria, una polizza sulla tranquillità nella navigazione. I costituzionalisti interpellati si sono espressi in termini ottimistici sulla conformità della norma alla Carta. E ieri il Guardasigilli Angelino Alfano ha trovato “molto rassicurante” e positivo l’intervento con il quale il presidente emerito della Corte costituzionale, Valerio Onida, sul Messaggero, ha escluso profili di incostituzionalità. D’altra parte non c’è giudice, o ex giudice costituzionale, che non abbia una certa consuetudine con le stanze del Quirinale.

Sebbene Giorgio Napolitano mostri
di voler rimanere in equilibrio (dopo una dichiarazione palindroma, che gli era stata estorta), negli ambienti berlusconiani adesso prevalgono caute valutazioni di ottimismo sulle possibili decisioni del capo dello stato, chiamato a promulgare una legge che l’intero entourage berlusconiano considera la condicio sine qua non per aprire una seconda fase. L’adagio di Alfano in queste ore è inequivocabile: “Se non riempiamo di provvedimenti questi due anni di governo, non rimarrà nulla”. Anche al Quirinale non sfugge il rapporto diretto tra la prosecuzione fluida della legislatura e l’approvazione della legge sulla prescrizione celere. D’altra parte i dubbi espressi dal capo dello stato sono stati sempre rivolti al metodo di lavoro e non al merito delle leggi.

Ad esclusione dei decreti, gli interventi di Giorgio Napolitano – che non ha affatto rinunciato alla moral suasion – hanno per lo più puntato a frenare, e ammorbidire, le forzature di Silvio Berlusconi. Specie in materia di giustizia, tema sul quale la presidenza della Repubblica ha idee non sempre coincidenti con le posizioni più diffuse nel Partito democratico. Il processo breve non fa eccezione. L’unico segnale diretto e inequivocabile registrato dal governo risale all’inizio di aprile, a un colloquio riservato tra Napolitano e il Guardasigilli Angelino Alfano. In quell’occasione, com’è spesso capitato tra il giovane ministro e l’anziano presidente che caldeggia autorevolmente una riforma condivisa della giustizia, i due si sono trovati d’accordo: alcune leggi ordinarie in materia possono danneggiare l’iter della grande riforma costituzionale. Ma il presidente, nei giorni in cui il Csm annunciava un plenum e un parere che sarebbe poi stato negativo, non si riferiva alla prescrizione celere; quanto piuttosto all’emendamento del leghista Gianluca Pini relativo alla responsabilità civile dei magistrati. Una questione di metodo: come si potrà approvare la riforma costituzionale, in un Parlamento profondamente lacerato e in un clima da guerra civile fredda? Le valutazioni del capo dello stato oggi non differiscono da quelle dei primi di aprile.

E’ in questa chiave che vanno interpretati dunque gli intendimenti della presidenza della Repubblica intorno alla norma sulla prescrizione celere. Quando, e se, la prossima settimana Alfano avrà un colloquio con Giorgio Napolitano, il ministro – oltre a illustrare una norma “rispettosa del dettato costituzionale” – potrebbe persino rendere espliciti i ragionamenti che si fanno in queste ore nell’entourage di Palazzo Grazioli. Ovvero: il migliore modo per ammorbidire le intemperanze, e le forzature, del Cavaliere è proprio quello di metterlo al riparo rapidamente dai processi di Milano. Salvatore Merlo, FOGLIO QUOTIDIANO, 16 APRILE 2011

NON VOGLIAMO I COLONNELLI

Pubblicato il 16 aprile, 2011 in Politica | No Comments »

Appello contro l’antidemocrazia intollerante e anticostituzionale

Matura in ambienti democratici una tendenza alla ripulsa della democrazia liberale e a contestare il regolare funzionamento delle istituzioni repubblicane. L’ultima trovata è una “prova di forza dall’alto” che “congeli le Camere” e imponga “d’autorità una nuova legge elettorale” con l’aiuto, esplicitamente richiesto,  degli apparati preposti alla tutela dell’ordine pubblico, Carabinieri e Polizia di stato (Alberto Asor Rosa, il manifesto, 13 aprile 2011). E questo è solo l’ultimo di numerosi e allarmanti pronunciamenti in favore di vie extraistituzionali al cambiamento di governo.

Abbiamo opinioni diverse, e in qualche caso opposte, sullo stato della democrazia in Italia, sulle politiche di governo e maggioranza, sulle decisioni in materia di giustizia e di legalità.

Ma giudichiamo estremamente gravi le soluzioni anticostituzionali invocate, anche in forme meno rozze, da alcuni leader d’opinione che mostrano di voler rinunciare all’unico metodo possibile di iniziativa e di lotta in una democrazia repubblicana europea e occidentale: la costruzione, nel conflitto ordinato e istituzionalmente normato, di una alternativa di governo fondata sul consenso dei cittadini.

Siamo convinti che occorra vigilare contro ogni impulso alla prova di forza e contro una torsione culturale verso la trasformazione della politica in intolleranza, chiusura settaria, demonizzazione del nemico, antidemocrazia comunque motivata o mascherata.

  • Luigi Amicone (direttore di Tempi),
  • Ritanna Armeni (editorialista del Riformista),
  • Giovanni Belardelli (storico, editorialista del Corriere della sera),
  • Sergio Belardinelli (docente, animatore del progetto culturale della Cei),
  • Alessandro Campi (docente universitario),
  • Stefano Ceccanti (parlamentare del Pd),
  • Franca Chiaromonte (parlamentare del Pd),
  • Stefano Fassina (responsabile economia del Pd),
  • Domenico Delle Foglie (giornalista cattolico),
  • Ruggero Guarini (scrittore),
  • Massimo Introvigne (docente universitario) ,
  • Giorgio Israel (docente universitario),
  • Raffaele La Capria (scrittore),
  • Claudia Mancina (docente universitario),
  • Alessandro Maran (vicecapogruppo del Pd alla camera),
  • Letizia Moratti (sindaco di Milano),
  • Enrico Morando (senatore del Pd),
  • Piero Ostellino (editorialista del Corriere della sera, liberale),
  • Marco Tarquinio (direttore di Avvenire),
  • Giorgio Tonini (senatore del Pd)

.…..ALLE AUTOREVOLI FIRME CHE COMPAIONO IN CALCE ALL’APPELLO CONTRO L’ANTIDEMOCRAZIA INTOLLERANTE E ANTICOSTITUZIONALE CHE SI ESPRIME ATTRAVERSO LE APRLLE EVERSIVE DI ASOR ROSA O QUELLE MELLIFLUE DI VELTRONI E PISANU, AGGIUNGIAMO VOLENTIERI LA NOSTRA. g.

COSA FA PAURA AI GIUDICI? LAVORARE. LA PROVOCAZIONE DI FILIPPO FACCI

Pubblicato il 15 aprile, 2011 in Costume, Giustizia | No Comments »

Sette anni per il primo grado Parmalat. Viareggio? Non c’è nemmeno la prima udienza. Colpa del processo breve?

Libero-news.it

L

a paura è che gli tocchi di lavorare, anzi neanche, perché se i magistrati in futuro non riusciranno a chiudere un primo grado in qualcosa come tre anni (tre anni, non tre giorni) potranno sempre dire che è colpa di Berlusconi: eppure lo sanno tutti che i magistrati lavorano mediamente poco, che non di rado tizio «oggi non c’è», che caio «oggi lavora a casa», che sempronio «oggi non è venuto», che pochi si sobbarcano il lavoro di molti, che molti sono imboscati o fuori stanza: perché sono uomini e funzionari e dipendenti statali come gli altri, la differenza è che non timbrano il cartellino (e dici poco) e che in qualche caso si sentono eticamente superiori agli altri salariati pubblici. Cosicché i problemi sono sempre altrove: è colpa della «mancanza di risorse» se al pomeriggio in tribunale c’è il deserto dei tartari, è colpa della «cattiva organizzazione» se molti magistrati appongono fuori dalla porta gli orari di ricevimento come se fossero insegnanti delle medie, e se un avvocato cerca un fascicolo e però il pm l’ha portato a casa. Uno sgobbone come Francesco Ingargiola, presidente della Corte d’Appello di Caltanissetta, lo disse chiaramente in un libro di Massimo Martinelli: «Nei tribunali il problema principale è proprio questo, far lavorare e motivare i giudici; perché se la giustizia è al capolinea non è colpa solo di leggi farraginose, ma anche di molti colleghi che non lavorano a sufficienza».

Ecco perché i parenti delle vittime di Viareggio dovrebbero farsi spiegare, dai magistrati, come abbiano fatto a non fissare neppure la prima udienza dopo due anni e mezzo; i terremotati dell’Aquila dovrebbero farsi spiegare se undici anni e otto mesi non siano più che sufficienti per definire un giudizio ed evitare la prescrizione; mentre i risparmiatori truffati dalla Parmalat dovrebbero farsi spiegare, pure, perché siano serviti sette anni per un primo grado sulla bancarotta, mentre il processo bis – quello contro le banche – attende ancora la prima sentenza. Già oggi vanno in prescrizione 450 processi al giorno: i magistrati non hanno nessuna responsabilità in tutto questo? E neppure i 51 giorni di ferie l’anno – record italiano – significano niente? Si saranno mai chiesti, i magistrati, perché la vecchia uscita del ministro Renato Brunetta sui tornelli a palazzo di Giustizia, in un sondaggio pubblicato dal Corriere nell’ottobre 2008, vide favorevole l’80 per cento dei votanti? Anche Giuliano Pisapia, candidato sindaco a Milano, lo disse chiaramente: «Lavorano poco». Suggerì che si facesse come quel procuratore capo che ogni mattina bussava dai vari magistrati per dargli il buongiorno. Eppure, per qualche ragione che sa di sacralità, le toghe sono sottratte al computo dei fannulloni della pubblica amministrazione: forse perché affianco ai lavativi ci sono gli stakanovisti.

A Napoli, dall’iscrizione alla richiesta di rinvio a giudizio per Berlusconi, il procedimento per il caso Saccà impiegò 32 giorni: feste comprese. L’Appello del caso Mills l’hanno sbrigato in un mese e mezzo e le motivazioni erano state depositate in 15 giorni anziché in 90: così il ricorso in Cassazione è stato velocizzato. Il primo grado oltretutto aveva fatto sfilare 47 udienze in meno di due anni, lavorando – sacrilegio – anche sino al tardo pomeriggio, talvolta – pazzesco – anche nei weekend. Nelle scorse settimane, in compenso, un’intera procura che doveva mandare alla sbarra Berlusconi – caso Ruby – si è fatta prestare gente da altri uffici, così da macinare tutte le fotocopie necessarie: del resto la prostituzione minorile è il problema cardine del Paese. Già che ci siamo: Antonio Di Pietro ha perfettamente ragione a dire che la giustizia italiana funziona benissimo e che il processo breve in sostanza c’è già: nel febbraio 2009 fu inquisito per offesa al Capo dello Stato e prosciolto in dieci giorni, tempo necessario affinché il pm compisse «una lettura attenta» e archiviasse con un fiume di motivazioni; Di Pietro dimostrò che la Giustizia è celerrima già dai tempi di Mani pulite, quando alcuni personaggi (solo alcuni, peccato) giunsero ai terzo grado in soli tre anni; lo dimostrò anche quando cominciò a querelare: un’intervista contro di lui, uscita su Repubblica nel febbraio 1997, andò a giudizio in meno di due mesi, il 3 aprile successivo; e che la giustizia non perda tempo lo dimostrò anche a Brescia, quando evitò ogni processo a suo danno (prestiti, Mercedes, case eccetera) incassando una serie di «non luoghi a procedere» che per qualsiasi altro cittadino, statistiche alla mano, si sarebbero tradotti in automatici rinvii a giudizio. Lui se la cavò in sei ore.

Tutto il resto, meno rilevante, va come  sappiamo: sette anni per mandare in primo grado un processo per usura (a Milano) e un minimo di cinque anni (nel resto d’Italia) per un qualsiasi penale in primo grado. È per questi processi che manca la carta per le fotocopie, che Tizio è in malattia, che la segretaria è in maternità: le solite cose che secondo l’Associazione nazionale magistrati costituiscono i soli problemi «strutturali» che ci vedono in coda alle classifiche mondiali sulla giustizia. I nostri processi durano dieci volte più della Francia e cinquanta volte più della Gran Bretagna: forse è perché li facciamo meglio. di Filippo Facci, Libero, 15 aprile 2011

POLITICA: L’OPPOSIZIONE NON PARLAMENTA

Pubblicato il 15 aprile, 2011 in Politica | No Comments »

Montecitorio, la Camera dei deputati Sconfitte alla Camera, a scrutinio sia palese che segreto, nella loro offensiva contro la legge sul processo o prescrizione breve, le opposizioni hanno scompostamente scambiato per un salvagente alcune dichiarazioni rilasciate a Praga dal presidente della Repubblica. Il quale, pressato da cronisti e inviati con domande sugli effetti del provvedimento passato ora all’esame del Senato, e sui pesanti giudizi espressi dal sindacato delle toghe e dal Consiglio Superiore della Magistratura, si è riservato una «valutazione». Che cos’altro poteva e doveva dire, peraltro all’estero, in visita ufficiale, il capo dello Stato? Ma ciò è bastato ed avanzato per scatenare in Italia i lor signori del no, che hanno annusato odore di rinvio della legge alle Camere dopo il passaggio prevedibilmente definitivo del Senato, dove la maggioranza di governo dispone di margini più ampi che a Montecitorio.

Le opposizioni naufragate non hanno solo scambiato per salvagente le parole di Napolitano, che con lodevole prudenza ne ha peraltro precisato ulteriormente i limiti nel giro di poche ore, spiegando che la sua valutazione degli «effetti» della legge precederà il momento in cui egli sarà chiamato a deciderne la promulgazione. Esse hanno anche mostrato di voler usare la riserva di giudizio del capo dello Stato per tornare a mobilitare la piazza, la prossima volta davanti al Senato, come hanno fatto nei giorni scorsi davanti alla Camera, con grida, scenate, insulti e minacce che abbiamo ben sentito e visto qui, a Il Tempo. La cui sede è davanti, anzi accanto a Montecitorio. Al Senato, in attesa dei dimostranti, magari gli stessi che ne assaltarono e imbrattarono il portone principale nei giorni dell’approvazione della riforma universitaria, come antipasto della guerriglia poi scatenata nel resto del centro di Roma, la capogruppo del Pd Anna Finocchiaro si è affrettata proprio ieri ad annunciare il proposito di sbarrare la strada dell’aula alla legge appena approvata dai deputati. Possiamo stare certi- figuratevi- che non sfigurerà nella gara con il suo omologo di Montecitorio Dario Franceschini.

Che al ministro Ignazio La Russa, reduce dai fischi e dalle monetine lanciategli davanti a Montecitorio dai manifestanti, non trovò di meglio da gridare, praticamente, che se l’era andata a cercare nel momento in cui aveva deciso di passare dall’uscita principale, anziché sceglierne una secondaria. La provocazione purtroppo gli riuscì perché il ministro gli rispose in modo ugualmente sconveniente, prendendosela anche con il presidente dell’assemblea. Con questo uso della piazza, ancora più spregiudicato di quello dei regolamenti parlamentari, le opposizioni dovrebbero stare più attente, nel loro stesso interesse. Esse non solo rischiano di scaldarle troppo, e di scaldarne troppo anche gli intellettuali di supporto, tipo Alberto Asor Rosa. Che dalle colonne del Manifesto si è appena avventurato nella voglia di un bel colpo di Stato per liberarsi finalmente dell’odiato Cavaliere, visto che i magistrati, per quanto ce la mettano tutta, non riescono a mandarlo in prigione. Con questi pruriti di mano e di cervello la sinistra rischia di farsi scaricare anche dalla intellettualità fine, che non le manca, vista la fretta con la quale, per esempio, il direttore della Repubblica Ezio Mauro ha liquidato le “parole sbagliate e pericolose”, anzi “le sciocchezze” di Asor Rosa: un intellettuale che ha ben poco diritto di lamentarsi della senilità altrui, visto l’uso che fa della sua. E lo dice uno che è sopra la settantina pure lui. Francesco Damato, Il Tempo, 15 aprile 2011

ORRORE: IMPICCATO A GAZA IL VOLONTARIO ITALIANO VITTORIO ARRIGONI. IL CAPO DELLO STATO SI FA INTERPRETE DELLO SDEGNO DELL’ITALIA

Pubblicato il 15 aprile, 2011 in Politica, Politica estera | No Comments »

Vittorio Arrigoni, volontario italiano rapito a Gaza Vittorio Arrigoni è stato “impiccato” dai suoi rapitori, i salafiti della Brigata dei Valorosi Compagni del Profeta Mohammed bin Moslima: lo ha riferito l’ufficio stampa di Hamas, il gruppo radicale palestinese che controlla la Striscia di Gaza, sul cui territorio è stato rinvenuto il cadavere del 36enne pacifista e free-lance italiano. In un comunicato il movimento di resistenza islamico ha denunciato “il criminale sequestro e omicidio di un attivista italiano per la solidarietà” e ha reso noto che il suo corpo è stato “ritrovato dalle forze di sicurezza appeso in una casa abbandonata” nel settore settentrionale dell’enclave palestinese.

In un video su YouTube, i sequestratori minacciavano di ucciderlo nel giro di “trenta ore”, quindi entro le 17 locali, le 16 italiane, se non fossero stati scarcerati il loro leader, lo sceicco Hisham al-Souedani, e un imprecisato numero di altri compagni. In realtà, Arrigoni sarebbe stato assassinato poco dopo la cattura, forse dopo appena tre ore. Nella drammatica ripresa si mostrava in primo piano il volto dell’ostaggio, trattenuto e tirato per i capelli da una mano fuori campo: il viso di Arrigoni, bendato con un’ampia fascia nera, appariva tumefatto e sanguinante, con una vistosa ecchimosi attorno l’occhio destro

IL MESSAGGIO DI NAPOLITANO ALLA FAMIGLIA «Ho appreso con sgomento la terribile notizia della vile uccisione di suo figlio Vittorio a Gaza. Questa barbarie terroristica suscita repulsione nelle coscienze civili. La comunità internazionale tutta è chiamata a rifiutare ogni forma di violenza e a ricercare con rinnovata determinazione una soluzione negoziale al conflitto che insanguina la Regione». È il messaggio inviato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alla madre di Vittorio Arrigoni, Egidia Beretta.
«Esprimo a lei e alla sua famiglia, in quest’ora di grande dolore, i sensi della mia più sincera e affettuosa vicinanza e del più grande rispetto per il generoso impegno di suo figlio», ha aggiunto Napolitano. Il Corriere della Sera, 15 aprile 2011

LA STORIA DEL 900 RACCONTATA DALLA SINISTRA: LE FOIBE SONO DELLE FOSSE E BERLUSCONI E’ UN FARABUTTO

Pubblicato il 14 aprile, 2011 in Costume, Cultura, Storia | No Comments »

In questi giorni divampa nel già rovente  clima della politica italiana un altro tema: quello della rivisitazione dei libri di storia nelle scuole italiane perchè siano raddrizzate eclatanti storture e ignominiose baggianate  che in questi testi, sui cui studiano i nostri ragazzi,  compaiono con grande compiacimento della sinsitra. La proposta,  avanzata da alcuni deputati del PDL, tra cui l’on. Carlucci e il ministro  per la Gioventù, Meloni, è destinata ad arroventare ancor di più lo scontro, perchè è evidente che una equilibrata narrrazione della storia apre la strada ad una diversa epiù oggettiva valutazione dei fatti. Sull’argomento  e sulle storture storiografiche operate dagli autori dei testi di storia attualmente inuso nelle scuole italiane,   ecco uno piccolo ma eloquente saggio di Francesco Maria Del Vigo.

I gulag? “In linea di principio il comunismo esprimeva l’esigenza di uguaglianza come premessa di libertà e l’ignominia dei gulag non è dipesa da questo sacrosanto ideale, ma dal tentativo utopico di tradurlo immediatamente (…)”. Il Manifesto? Un comizio di Toni Negri della metà degli anni Settanta? No, un libro di testo, uno di quelli che potrebbe finire sui banchi dei nostri figli: esattamente pagina 1575, quarta edizione (del 1998) di Elementi di storia del XX secolo di Augusto Camera e Renato Fabietti.

I libri di storia faziosi? L’argomento è tornato alla ribalta in questi giorni in seguito alla proposta di una pattuglia di parlamentari del Pdl, capitanati da Gabriella Carlucci, di istituire una commissione d’inchiesta sulla faziosità dei libri di storia. Un tema che viene da lontano, sul finire degli anni Novanta avanzò una proposta simile Giorgia Meloni, allora segretario nazionale di Azione Giovani, il movimento studentesco di Alleanza Nazionale. Un’iniziativa gloriosamente inascoltata: nessuno raccolse l’invito del futuro ministro della Gioventù. Ed è proprio dai dossier di allora che emergono le aberrazioni storiche contenuti in alcuni testi poco scolastici e molto politici.

Torniamo al testo. Una decina di pagine dopo le foibe vengono licenziate come: “uno sfogo dell’ira popolare”. Il terrorismo degli anni di piombo? A quello “nero si salda presto il terrorismo che si dichiara rosso e proletario, ma che in realtà matura in ambienti universitari e piccolo borghesi e consegue, oggettivamente, gli stessi risultati del terrorismo nero, cioè genera tensione e disordini, dai quali può nascere solo un’involuzione reazionaria e fascistoide”.

Cambiamo libro e passiamo al Manuale di storia 3 L’età contemporanea di Giardina, Sabbatucci e Vidotto: “La politica staliniana in tema di nazionbalità non fu solo di carattere repressivo. Bisogan tener conto che, nella lista dei popoli perseguitati dal regime compaiono solo etnie nettamente minoritarie, spesso isolate nella loro zona di insediamento”. Beh, se sono minoritarie…

Nel Vocabolario della lingua parlata in Italia Di Carlo Salinari le foibe sono spiegate così: “Fosse (…) in cui durante la guerra 40-45 furono gettati i corpi delle vittime della rappresaglia nazista”. E qui siamo al paradosso: la frittata è totalmente ribaltata. Viee da chiedersi da chi sia parlata questa fantomatica lingua…

E poi non può mancare Silvio Berlusconi, ancora in vita e saldamente al governo ma già storicizzato dagli intellettuali engagé e, ovviamente, descritto con le fattezze del cattivo. Sull’esposto del governo in cui si denuncia l’attacco della procura di Milano: “Qui va rilevata, oltre alla grossolanità degli uomini, la sfacciata ribellione alla legge da parte delle forze di governo e l’ostilità verso una sia pur piccola pattuglia di magistrati indipendenti. In un crescendo di vendetta macbethiana si colloca la vicenda di Antonio Di Pietro, inquisito, oggetto di una lunga e implacabile persecuzione da parte della forza legale”. Questo è un testo per addetti ai lavori: Dizionario giuridico italiano-inglese di Francesco de Franchis.

La lista dei soggetti bersagliati dalla censura storiografica è infinita: dal fiumanesimo a Marinetti, da D’Annunzio a Nietzsche passando per poeti, pittori e personaggi pubblici. Omissioni, menzogne, morti che valgono meno di altri morti, solo perché sono caduti dalla parte sbagliata.  Francesco Maria Del Vigo