Archivi per aprile, 2011

LA SORPRESA DEI CONTI PUBBLICI: ORA TUTTI PROMUOVONO L’ITALIA

Pubblicato il 8 aprile, 2011 in Economia | No Comments »

Smentiti i catastrofisti e le Cassandre. Lo Stivale è un passo dal baratro economico? Tutte balle. L’Italia nei prossimi tre-quattro anni “può tornare a generare un surplus primario, il passo è vicino e non ci sono cambiamenti brutali da fare” e “il Governo dovrebbe essere in grado almeno di stabilizzare se non ridurre il debito pubblico, anche in uno scenario prudente che ipotizza saldi primari non molto alti (tra l’1 e il 2%) e una crescita economica moderata (al massimo al 3%). È la visione degli analisti di Moody’s sul nostro paese e la spiegazione dell’outlook stabile assegnata al rischio sovrano (rating Aa2) che non vede per l’Italia il rischio di contagio. Dopo i declassamenti di Portogallo (il 5 aprile è stato portato da A3 a Baa1 ed è ancora sotto osservazione con implicazioni negative) e Grecia (il 7 marzo lo ha tagliato da Ba1 a B1 con outlook negativo) ci si chiede se ci sia un rischio di contagio e se l’Italia potrebbe essere coinvolta. “C’è un rischio contagio – spiega Alexander Kockerbeck, l’analista responsabile del rating sull’Italia – quando c’è una storia concreta di rischi che in Italia non c’è”.

Positivo anche il giudizio di Standard and Poor’s. In un’intervista alla Stampa Moritz Kraemer, responsabile rating sovrani Europa, toglie ogni dubbio. “L’alto livello di risparmio privato e la minore necesità di finanziamento esterno rendono l’Italia meno vulnerabile all’umore dei mercati. E’ vero che l’Italia ha grande necessità di rifinanziamento del debito, che è molto elevato, ma la buona notizia è che l’Italia è diversa da Portogallo e Grecia perché le sue finanze sono state controllate meglio”.

Istat: “Aumentano i redditi della famiglie” Nel 2010 il reddito delle famiglie ha registrato un aumento dello 0,9% rispetto al 2009. Un reddito che ha dovuto però far fronte ad una crescita della spesa per consumi “più consistente” rispetto all’anno precedente (+2,5%). Lo rileva l’Istat che spiega così la riduzione della propensione al risparmio degli italiani: si è attestata al 12,1%, registrando una diminuzione di 1,3 punti percentuali rispetto al 2009. Nell’ultimo trimestre dell’anno, invece, la crescita del reddito disponibile rispetto al trimestre precedente (+1,4%) è stata superiore a quella registrata dalla spesa per consumi (+0,8%), il che ha determinato l’aumento congiunturale del tasso di risparmio.

IL PARTITO DI FINI PERDE ALTRI PEZZI: L’EUROPARAMENTARE RIVELLINI SE NE VA, SBATTENDO LA PORTA PERCHE’ NEL FLI NON C’E’ DEMOCRAZIA

Pubblicato il 8 aprile, 2011 in Politica | No Comments »

Uno può essere un caso. Due, sfortuna. Ma quando se ne vanno in una dozzina, si parla di esodo. Dopo Moffa, Siliquini, Barbareschi, Pontone ecc ecc. Ormai si fa prima a contare quelli che sono rimasti. Ora se ne va anche Enzo Rivellini, il parlamentare europeo che coordinava Futuro e Libertà in Campania. Un colpo di mano, il commissariamento e Rivellini fa le valige e se ne va. Troppo dura la convivenza con il padre-padrone Italo Bocchino e poi – commenta l’europarlamentare – “vedere le bandiere di Fli insieme a quelle con la falce e il martello…”.

“Dopo la riunione all’hotel Ramada con alcune centinaia di amici, dopo aver ascoltato le dichiarazioni di Italo Bocchino a Radio 24 e dopo un colloquio telefonico con Gianfranco Fini, abbiamo deciso di togliere dall’imbarazzo gli stessi Fini e Bocchino, visto il loro assordante silenzio sulle questioni poste in questi giorni dal nostro territorio. Lasciamo Fli o per meglio dire l’illusione che questa rappresenta, visto che non è in linea con quanto deciso all’unanimità al congresso di Milano da tutti i militanti presenti”. Va giù duro Rivellini in un comunicato in cui ricorda di essere stato eletto nella circoscrizione Italia Meridionale con circa 110mila preferenze di cui 85mila circa in Campania.

“Resta il dato – aggiunge -, che non sono state affrontate le questioni evidenziate in questi giorni, come il fatto che i vertici del partito negano la democrazia partecipata ed, al contrario di quanto affermano in pubblico, trovano scandalose le posizioni di chi vuol ancorare il partito al centrodestra, per poi trovare naturale che massimi dirigenti sfilino sotto le bandiere rosse della sinistra radicale”.

……………RIVELLINI SINO ALL’ALTRO GIORNO INONDAVA DI SMS I CELLULARI DEI MILITANTI E DIRIGENTI PUGLIESI  DEL PDL, ORA ANCHE LUI HA CAPITO CHE QUELLA DI FINI E BOCCHINO ERA UNA SCELTA SBAGLIATA…E HA FATTO LE VALIGIE. TRA POCO NEL FLI RIMARRANNO IN “QUATTRO A BALLARE L’HULLY GALLY”

FINI FINGE DI FARE IL PRESIDENTE DELLA CAMERA MA FAVORISCE IL FILIBUSTERING DELLE OPPOSIZIONI SUL PROCESSO BREVE

Pubblicato il 7 aprile, 2011 in Politica | No Comments »

Tutti contro tutti sul processo breve. Nel giorno in cui alla Camera va in scena l’ostruzionismo dell’opposizione col placet del presidente Gianfranco Fini, il Csm approva, a larga maggioranza ma col voto contrario del Pdl e il non voto della Lega, il documento che definisce la prescrizione breve una «sostanziale amnistia», scatenando le ire del Pdl, che stigmatizza come contenuti e tempistica certo non siano «in linea con l’autorevole richiamo alla correttezza del rapporto fra le istituzioni» da parte del Colle.
E a Montecitorio è stata la notte dei lunghi cavilli. Una notte dai toni forti che porta anche il deputato dell’Idv Fabio Evangelisti a chiedere al presidente di turno Maurizio Lupi di mettere in fila una serie di assistenti parlamentari «perchè- dice- è venuto un collega che ci ha detto state calmi o qui ci scappa il morto…». Una boutade presa sul serio.
Il tranello del diabolico Giachetti, Pd (non per nulla un ex Radicale) trova un alleato «sub partes» in Fini, che lascia fare e forse se la spassa per l’imboscata tesa alla maggioranza (qui molto ingenua). Si salda immediatamente l’asse sinistra-terzo polo, il fasciocomunismo del sofisma regolamentare. Il trucco è far intervenire a titolo personale tutti i deputati abilitati a farlo, avendo preso parola il giorno prima, per (scusa ufficiale) chiarire il proprio pensiero e inserirlo nell’ormai famigerato «processo verbale», cioè il resoconto dell’ultima seduta. Siccome il regolamento prevede (articolo 32) che sul processo verbale abbia diritto a parlare «chi intenda proporvi una rettifica, o a chi intenda chiarire il proprio pensiero espresso nella seduta precedente, oppure per fatto personale», anche per emerite sciocchezze, il Pd – seguito a ruota da Idv – ha scatenato una cinquantina di deputati a cui sono stati dati cinque minuti l’uno: circa 250 minuti , più di quattro ore, tutta la mattina di lavori. Per dire nulla o poco più, pretesti per perdere tempo, anche ridicoli (la precisazione sul culatello del piddino Vannucci…), senza che Fini trovi da obiettare. Anche quando era chiaro a tutti, persino al Pdl, che si trattava di una trappola, di ostruzionismo puro (cui i pidiellini hanno aggiunto, genialmente, altri 40 minuti di interventi per dire che gli altri perdevano tempo in interventi). Fini, in quanto presidente dell’assemblea poteva stabilire tempi diversi da quelli massimi di cinque minuti, ma non l’ha fatto (come poco dopo anche il presidente di turno Buttiglione, «ripreso» dal leghista Raffaele Volpi).
Una scelta precisa, come dimostrerebbe quanto successo in un incontro riservato, a metà mattinata, dopo le proteste del centrodestra, tra Fini, Cicchitto e Reguzzoni. Nel faccia a faccia i due capigruppo avrebbero contestato a Fini la gestione dell’aula, la sequela «indecente» di interventi, un «ostruzionismo potenzialmente eversivo», «senza precedenti» e «inaccettabile». Ma Fini avrebbe risposto di aver deciso di concedere tutti i minuti a disposizione per gli interventi, nonostante la perdita di tempo mai avvenuta per un banale processo verbale della seduta precedente . Di fronte al rifiuto di Fini di mettere fine alla sceneggiata, Cicchitto ha chiamato – raccontano fonti di maggioranza – il presidente della Repubblica, che avrebbe poco dopo sentito Fini (ma lo staff del leader Fli smentisce) per sollecitare un segnale da parte sua. Che in effetti c’è stato, dopo un incontro tra Fini e Maurizio Lupi, vicepresidente Pdl della Camera. La moral suasion (mediata o no dal Colle) si è materializzata in un comunicato in cui Fini ha fatto sapere che non si sarebbe più ripetuto il fattaccio, e che d’ora in poi «il tempo sarà ridotto proporzionalmente al numero degli iscritti a parlare». Parole messe alla prova subito dopo, visto che la seduta è ripresa alle 21, con tanto di «precettazione» per tutto il Pdl, preoccupati per un altro blitz del Pd contro il testo.Per la maggioranza l’incidente di ieri è l’ennesima prova della faziosità di Fini. Così dicono i leghisti (con Reguzzoni, e poi Bossi: «Ha sbagliato a dare 5 minuti a tutti») e il Pdl («Operazione assolutamente irresponsabile»).

IL FLI CAMPANO SI RIBELLA A FINI: CHE FAI, CI CACCI? LA SFIDA URSO-BOCCHINO FRANTUMA IL TERZO POLO

Pubblicato il 7 aprile, 2011 in Politica | No Comments »

Chi di ribellione ferisce di ribellione perisce. Il dissidente è Enzo Rivellini, europarlamentare futurista e coordinatore del partito in Campania che a Fini non fa sconti: «Che fai, mi cacci? Gli dirò imitandolo». Ieri Rivellini, in una preannunciata rovente conferenza stampa, di fatto ha frantumato il terzo polo e posto le basi per un ulteriore spaccatura profonda del Fli a livello nazionale. L’eurodeputato, dinnanzi al prospettato inciucio terzopolista, proprio non ci sta: «Ho avuto modo di rilevare, dopo questi primi giorni di campagna elettorale per il nuovo polo per l’Italia, il rigetto dalla gran parte dei cittadini avvicinati di qualunque ipotesi di perpetuazione anche simulata di poter fungere da stampella delle sinistre a Napoli», ha detto ai suoi. «Quindi, dopo aver rimesso nel primo pomeriggio di lunedì 4 aprile, nelle mani di Pier Ferdinando Casini, il mio mandato di coordinatore regionale campano del Nuovo Polo per l’Italia, vi annuncio che Futuro e libertà a Napoli appoggerà da subito la campagna del candidato del centrodestra Gianni Lettieri così da vincere subito al primo turno». Un annuncio choc visto che un mesetto fa i vertici nazionali di Udc, Fli, Api e Mpa avevano puntato sulla candidatura a sindaco di Napoli di Raimondo Pasquino, rettore dell’università di Salerno. Più esplicito: «Il cosiddetto terzo polo è irrealizzabile soprattutto per il comune di Napoli dove sembra essere un esperimento da laboratorio per allearsi, al secondo turno, con il centrosinistra e con l’obiettivo di gettare le basi per le prossime elezioni politiche». E col Giornale si sfoga: «All’assemblea costituente di Milano e a quella di Napoli di metà marzo mi sembrava di aver sentito che il Fli doveva essere alternativo alla sinistra e per un vero bipolarismo. Fini forse ha cambiato idea?».
Il problema è che Rivellini parla a nome del Fli nonostante arrivi secca la sconfessione del braccio destro di Fini: «Le dichiarazioni di Rivellini rappresentano una posizione personale che non coinvolge Futuro e libertà – ha bastonato in una nota Italo Bocchino -. Il nostro impegno per la costruzione del terzo polo in occasione delle amministrative nelle grandi città resta tale a Napoli come a Milano, a Torino come a Bologna, e pertanto è indiscutibile anche nel capoluogo campano la nostra alleanza con Udc, Api e Mpa, e il nostro sostegno convinto al candidato sindaco Raimondo Pasquino».
Rivellini isolato, quindi? Mica tanto perché con Rivellini si schiera subito Adolfo Urso, altro big del partito e leader dell’ala moderata: «Comprendo le ragioni del coordinatore Rivellini a fronte della situazione estremamente grave in cui riversa la città di Napoli e alle speranze di cambiamento che Futuro e libertà ha suscitato tanto più in Campania sia sul piano morale che programmatico ed auspico che si possa trovare una soluzione condivisa in sintonia con la volontà degli iscritti e di coloro che hanno creato Futuro e libertà nel territorio». Tra le righe un riferimento critico ai nuovi acquisti futuristi, sponsorizzati fortissimamente da Bocchino. Due nomi su tutti: Pietro Diodato e Alfredo Vito. Il primo fresco di condanna, il secondo con una pena di due anni patteggiata nel ’93. Insomma, nel Fli la bolgia continua.

SENATO, IL CASO TEDESCO INCASTRA IL PD: LA GIUNTA PER LE AUTORIZZAZIONI VOTA L’ARRESTO

Pubblicato il 7 aprile, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Roma Salvare dall’arresto il senatore Alberto Tedesco, facendo un regalo a Berlusconi, o affondarlo facendo del male a se stessi? Per il Pd, il dilemma che ruotava attorno al suo ex potente assessore alla Sanità della regione Puglia era lacerante. La riunione della giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato è andata avanti fino a tarda notte e alla fine ha bocciato con 10 no contro 9 sì la proposta del relatore Pdl Alboni di negare la richiesta di arresto per il senatore. La maggioranza si è spaccata perchè i due esponenti della Lega non hanno partecipato al voto. Hanno votato contro il documento Balboni 8 del Pd, un esponente dell’Idv e uno dell’Udc. La linea ufficiale, dettata dalla capogruppo Anna Finocchiaro e pubblicamente avallata da Pier Luigi Bersani è netta: «Non intendiamo sostituirci ai giudici, e abbiamo rispetto per il loro lavoro». Traduzione: l’autorizzazione all’arresto chiesta dai giudici al Parlamento va concessa.

La linea ufficiosa, invece, è più sfumata, e il rischio di divisioni quando il voto su Tedesco approderà in Aula è molto alto. Per questo in molti, nel Pd, puntavano su un rinvio a dopo il 14 aprile, giorno in cui il Tribunale del riesame dovrà pronunciarsi sul ricorso di Tedesco contro la decisione del gip sul mandato di arresto: a quel punto sarebbe più facile allineare tutto il partito sulla decisione presa dal tribunale. E – soprattutto – speravano in un aiutino da parte del centrodestra, per evitare la galera. Ma quell’aiutino, stavolta, il Pdl non lo ha voluto concedere: «Se vogliono salvarlo ci mettano la faccia», è stato il messaggio arrivato, si dice da Berlusconi stesso, ai senatori di maggioranza.

Già, la coincidenza tra il caso Tedesco e lo scontro al calor bianco sulla giustizia tra maggioranza e opposizione ha complicato maledettamente le cose per il Pd. Nelle cui file c’è anche preoccupazione sulla linea di difesa che Tedesco adotterà, una volta che finisse dietro le sbarre: anche ieri, il senatore Pd ha chiamato in causa le responsabilità di Nichi Vendola nell’inchiesta sulla sanità: perché per me l’arresto e per lui l’archiviazione? è il succo del suo ragionamento. E il timore che si difenda rimpallando le colpe sull’intero sistema di governo del centrosinistra pugliese è forte. Ieri Tedesco ha annunciato che in Aula chiederà che si voti per l’arresto: «Non voglio sottrarmi al processo, anzi lo invoco»; poi però ha chiesto di essere di nuovo ascoltato dalla giunta per presentare nuova documentazione e «dimostrare che l’inchiesta è stata condotta con intento persecutorio». Il Pdl in giunta si è sfilato, e il Pd ha finito per approvare da solo la richiesta di audizione. «Evidentemente vogliono perdere tempo», dice il Pdl Balboni.
Per il principale partito di opposizione le scorciatoie sono precluse.

È stato Silvio Berlusconi in persona, raccontano i ben informati del Pd, a dare ai suoi un mandato preciso: se i democratici vogliono salvare il loro parlamentare dall’arresto, chiesto dai giudici pugliesi, dovranno votare esplicitamente contro. «Non contino su di noi e sul nostro garantismo – spiega un dirigente Pdl – per levargli le castagne dal fuoco: non gli permetteremo di fare i duri e puri alla Camera sul processo breve, e poi cercare l’inciucio sottobanco per salvare il loro uomo dai magistrati». Il che si tradurrà in una semplice mossa, quando il caso arriverà in Aula: il Pdl difenderà la posizione di principio contraria all’arresto in assenza dei presupposti di legge (flagranza, pericolo di fuga o di inquinamento delle prove), ma al momento del voto farà uscire dall’Aula gran parte dei suoi, costringendo il Pd a venire allo scoperto.

.……Forse il PD spera che il PDL e la Lega votino contro l’arresto e quindi potrà salvare la faccia: dire si all’arresto del suo senatore e contare sulle noste tesi garantiste della maggioranza per salvarlo. Non sarà così, perchè in Aula le castagne dal fuoco dovrà togliersele direttamente il PD perchè la maggioranza assicurererà il numero legale ma non parteciperà al voto per cui Tedesco seproverà la galera dovrà dire grazie al suo partito. g.

DISORDINE NOSTRO. ESODO ALTRUI, l’editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 7 aprile, 2011 in Politica | No Comments »

Anche ieri alla Camera dei Deputati abbiamo assistito a una seduta da dimenticare: l’opposizione che usa il filibustering in maniera spregiudicata, la maggioranza tesa e un presidente della Camera che interviene male e in ritardo. La funzionalità del Parlamento è in pericolo e lo scriviamo da tempo. La terzietà di Fini esiste solo sulla carta. La conferma della sua assenza di serenità nella conduzione dei lavori dell’aula di Montecitorio, l’abbiamo avuta qualche giorno fa quando il Presidente della Repubblica ha convocato i capigruppo dei partiti: non rientra tra i poteri del Quirinale, ma non potendo Fini più essere un arbitro, Giorgio Napolitano ha dovuto svolgere un ruolo di garante e supplente che in questo caso non gli compete. Il sistema politico è in grave crisi, sono saltati gli equilibri e i confini nei quali si dovrebbero muovere tutti gli attori in campo. Nel bel mezzo di questo disfacimento istituzionale ci ritroviamo a gestire una crisi geopolitica di enormi dimensioni: l’Italia è la portaerei dell’ondata migratoria che dal Mediterraneo decolla verso l’Europa. Questo scenario imporrebbe un paio di cose: unità di maggioranza e opposizione, una strategia politica chiara, coraggiosa e condivisa, un’azione di moral suasion energica nei confronti dell’Unione Europea, un richiamo di Parigi ai suoi doveri umanitari, un governo che abbia la capacità e la visione di uscire dall’emergenza per cominciare a progettare il futuro dell’Italia nel Mediterraneo nei prossimi decenni. Basta questo elenco per comprendere che siamo di fronte a un cataclisma e che la classe politica – e non solo quella, purtroppo – è in gran parte priva degli strumenti culturali per comprenderla e affrontarla. Per fortuna il pragmatismo leghista ha evitato il peggio e si è passati saggiamente dalla politica celodurista del «fuori dalle balle», al permesso temporaneo, a un accordo con la Tunisia che ora vedremo alla prova dei fatti e a una ripartizione degli immigrati fra tutte le regioni. Dopo centocinquant’anni, la Storia ci propone ancora una volta una sfida: dimostrare di essere un Paese unito. Mario Sechi, Il Tempo, 7 aprile 2011

ALLA CAMERA ALTRA BAGARRE: IL DEPUTATO ZAZZERA DELL’IDV ESPONE UN CARTELLO CON LA SCRITTA “MARONI ASSASSINO”.

Pubblicato il 7 aprile, 2011 in Cronaca, Politica | No Comments »

Roberto Maroni (Fotogramma)
Roberto Maroni (Fotogramma)

MILANO – L’intervento del Ministro dell’Interno Roberto Maroni alla Camera finisce e si scatena la bagarre. Tutto parte da Pierfelice Zazzera, deputato dell’Idv che espone un cartello con la scritta «Maroni assassino». Il cartello gli viene stato strappato dalle mani da Giancarlo Giorgetti della Lega. Poi grida e polemiche. Il ministro dell’Interno aveva appena terminato la sua informativa quando dai banchi dell’Idv Zazzera si è alzato sollevando con le braccia il cartello. Immediata la reazione dei deputati della Lega: Giorgetti, sorpassando i commessi, ha raggiunto Zazzera, gli ha preso il cartello e glielo ha strappato, mentre dai banchi di Lega e Pdl veniva urlato «Fuori, Fuori!» e «vergogna». Basiti davanti alla scena i deputati del Pd. Il presidente della Camera Gianfranco Fini ha ammonito Zazzera dicendogli che «del fatto si occuperà il collegio dei questori». Alla fine è lo stesso leader dell’Idv Antonio Di Pietro a dissociarsi da Zazzera. In Transatlantico, Giorgetti si è sfogato così: «È incapace di intendere e di volere… Si tratta di un fallo da ultimo uomo, sono senza parole, Se La Russa è stato censurato, cosa bisogna fare in questi casi?».

Poco dopo però arrivavano le scuse dello stesso Zazzera. «Ho superato il limite e per questo chiedo scusa. Ci tengo a precisare, però, che il mio gesto non voleva essere un attacco personale al ministro Maroni, ma una provocazione e denuncia politica per quanto sta accadendo con i migranti». «I 250 morti di ieri, tra cui molti bambini, mi hanno turbato profondamente. Quanto sta accadendo in Puglia dimostra l’assenza delle istituzioni e il disagio della popolazione pugliese che si è trovata sola a gestire l’emergenza. Ritiro, dunque, anche se tardivamente, quel cartello ma resta la denuncia politica» conclude Zazzera.

…………………Dopo la censura a LaRussa, il meno che si possa e si debba fare nei confronti del deputato ZAZZERA è la sospensione, noln solo sua ma anche del suo capo, Di Pietro che prima fa esporre il cartello e poi si scusa. Vedremo che farà Fini in questo caso  che per un semplice “vaffa” di La Russa ha preteso la censura per il ministro. Ma dubitiamo che accada qualcosa….

A NAPOLI IL PARTITO DI FINI LASCIA IL TERZO POLO PER SOSTENERE IL CANDIDATO SINDACO DEL PDL. LA FURIA DI BOCCHINO CHE SCONFESSA L’EUROPARLAMENTARE NAPOLETANO RIVELLINI SPACCANDO IL FLI

Pubblicato il 6 aprile, 2011 in Politica | No Comments »

NAPOLI – Futuro e Libertà a Napoli “molla” Raimondo Pasquino e si schiera con Gianni Lettieri: il terzo polo si scioglie al primo sole primaverile. Ma dentro la compagine dei finiani si scatena il caos: da una parte Rivellini che ottiene anche il sostegno di Urso, dall’altra Bocchino.

L’annuncio-choc viene dal coordinatore regionale dei “finiani” Enzo Rivellini: «Ho avuto modo di rilevare – spiega l’europarlamentare – dopo questi primi giorni di campagna elettorale per il Nuovo Polo per l’Italia, il rigetto dalla gran parte dei cittadini avvicinati rispetto a qualunque ipotesi di perpetuazione anche simulata di poter fungere da stampella delle sinistre a Napoli. Quindi, dopo aver rimesso nel primo pomeriggio di lunedì 4 aprile, nelle mani di Pier Ferdinando Casini – aggiunge Rivellini – il mio mandato di coordinatore regionale campano del Nuovo Polo per l’Italia, vi annuncio che Futuro e Libertà a Napoli appoggerà da subito la campagna del candidato del centrodestra Gianni Lettieri così da vincere subito al 1° turno».

CONSULTAZIONE – La scelta di Fli a Napoli di sostenere al primo turno il candidato del Pdl è destinata ad avere ripercussioni molto importanti sulla campagna elettorale, e inevitabili riflessi di carattere nazionale. Ma Rivellini spiega di essere giunto a questa decisione dopo un’ampia consultazione della base, e dopo aver registrato le tantissime perplessità dei militanti sulla scelta di sostenere il candidato dell’Udc: «Confermando l’alleanza di Futuro e Libertà con i cittadini piuttosto che coi partiti – precisa – riteniamo di non potere in alcun modo agevolare una qualunque ipotesi, per quanto pallida, di vittoria delle Sinistre a Napoli, visto che sono responsabili della distruzione dell’anima prima ancora che della struttura della nostra città».

ANATEMA DI BOCCHINO – Da Roma arriva la presa di posizione di Italo Bocchino, che sconfessa la linea di Rivellinie sancisce una clamorosa spaccatura all’interno di Fli: «Le dichiarazioni dell’onorevole Enzo Rivellini rappresentano una posizione personale che non coinvolge Futuro e Libertà. Il nostro impegno – afferma il vicepresidente nazionale di Fli – per la costruzione del Terzo Polo in occasione delle amministrative nelle grandi città resta tale a Napoli come a Milano, a Torino come a Bologna, e pertanto è indiscutibile anche nel capoluogo campano la nostra alleanza con Udc, Api e Mpa, e il nostro sostegno convinto al candidato sindaco Raimondo Pasquino. Per garantire il rispetto di tali indicazioni e della linea politica indicata dall’Assemblea Costituente di Milano, l’uso del simbolo di Futuro e Libertà per le elezioni amministrative in Campania è stato delegato al coordinatore nazionale, Roberto Menia».

Ma in difesa di Enzo Rivellini accorre Adolfo Urso, uno dei leader nazionali di Fli, presidente della fondazione Farefuturo: «Comprendo le ragioni del coordinatore regionale Enzo Rivellini – sottolinea Urso – a fronte della situazione estremamente grave in cui versa la città di Napoli e alle speranze di cambiamento che Futuro e Libertà ha suscitato tanto più in Campania sia sul piano morale che programmatico ed auspico che si possa trovare una soluzione condivisa in sintonia con la volontà degli iscritti e di coloro che hanno creato Fli nel territorio». Urso “blinda” anche la leadership regionale di Rivellini: «Non servono atti di imperio – conclude – che possono ingenerare ulteriori strappi ma il confronto sul merito dei problemi e il rispetto delle regole interne».

«Futuro e Libertà sceglie di essere protagonista nella svolta che insieme vogliamo regalare a Napoli. È la naturale collocazione di uomini e donne che in questi anni si sono spesi contro il malgoverno della sinistra e che oggi si preparano ad una battaglia che ci condurrà a Palazzo San Giacomo», dice, in una nota, il candidato sindaco del centrodestra Gianni Lettieri. «Posizioni di testimonianza o peggio di sostegno all’amministrazione rappresentano un danno per Napoli. Con l’onorevole Rivellini, che ancora una volta ha manifestato il suo amore per la comunità napoletana, avvieremo un lavoro comune per individuare le priorità sulle quali lavorare», conclude Lettieri. Carlo Tarallo, Il Corriere del Mezzogiorno, 6 aprile 2011

LA PIAZZA FERMA A TANGENTOPOLI

Pubblicato il 6 aprile, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Palazzo Chigi Mentre scrivo questo articolo, un gruppo di manifestanti in piazza Montecitorio si esibisce al suono di tamburi, megafono e slogan che non lascia dubbi circa il suo nobile pensiero: «Berlusconi a San Vittore». Questa è la cifra dell’opposizione italiana – non tutta – un distillato d’odio e cieca volontà di annientare l’avversario con tutti i mezzi possibili, meglio se cruenti e fuori dalla politica. La character assassination, la campagna di sputi in faccia contro il leader espresso dal blocco sociale moderato è il vero tema persistente della nostra storia dagli anni Novanta ad oggi. Cominciarono con Craxi. Continuano con Berlusconi. E non si sono mai fermati. Le radici putrefatte di Mani Pulite hanno contaminato tutto il dibattito politico del Paese. Abbiamo avuto i nostri morti e tanti feriti. Ma tutto questo pare non averci insegnato niente e il clima che si respira è fetido. Ci sono fazioni che cercano l’incidente, la scintilla per innescare una guerra civile strisciante che giustifichi governi d’emergenza e altre sofisticazioni parlamentari che rispondono ai pericolosi giochetti del Palazzo Sommerso e di un establishment codardo al punto da esser silente di fronte alla mortificazione continua dei diritti individuali, della società liberale e della politica quale strumento per regolare la vita civile. Siamo di fronte a un fallimento collettivo e a uno scenario pieno di rovine fumanti: l’orologio dell’Italia è fermo al 1992 e, in fondo, leggere i nomi dei protagonisti della nostra tragedia, ci conferma la cristallizzazione del presente nel passato.

Berlusconi, Di Pietro, D’Alema, Veltroni, Fini, la procura di Milano, sono attori sui cui volti si sono disegnate più rughe ma il copione recitato è sempre lo stesso. Il popolo italiano ha in parte subito e in parte assecondato questa rappresentazione. Il dinamismo insolito dell’uomo di Arcore in condizione di perenne emergenza, assalto e delegittimazione, piano piano si è affievolito, fino a sconfinare nell’errore politico e nella incomprensibile leggerezza. Le energie di Berlusconi si sono concentrate nel rispondere colpo su colpo ad avversari la cui manovra aggirante era fatta non con i normali e legittimi mezzi della politica ma con l’uso massiccio della cavalleria corazzata della magistratura. Si è peccato moltissimo nell’analisi di questo fenomeno: si è visto un disegno per cui le toghe erano un braccio armato della politica, sotto-ordinate rispetto a un partito o a una sua fazione più ideologizzata. In realtà penso che le cose siano andate in maniera molto diversa e che non esista alcuna mente o regista occulto, piuttosto un ordine – quello giudiziario – che per debolezza dei partiti s’è trasformato in un contropotere che ormai seleziona la classe dirigente, funge da terza Camera e domina politica e vita pubblica.

Tutto questo ha fatto deragliare il treno delle riforme necessarie, alimentato i sogni di chi spera di ereditare i voti di Berlusconi da destra e dal centro, impedito alla sinistra di evolversi, di passare dal socialismo reale al riformismo senza impantanarsi nelle secche del post-comunismo e finire tragicamente prigioniera degli estremisti che fischiano, urlano, agitano le manette, sognano la forca e piazzale Loreto, ma non hanno un’idea sul futuro di questo luogo che è profondamente sbagliato definire oggi un Belpaese. Mario Sechi, Il Tempo, 6 aprile 2011


IL COLPO BASSO DEI MAGISTRATI

Pubblicato il 6 aprile, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, all'uscita di Palazzo di Giustizia di Milano per il processo Mediatrade Delle due l’una. Alla Procura di Milano o sono terribilmente diabolici o sono incredibilmente sfigati. Altro non si riesce a dire di fronte allo stupore manifestato dal capo di quell’ufficio, Edmondo Bruti Liberati, per le tre o più telefonate del presidente del Consiglio sfuggite agli omissis imposti dalla sua qualità di parlamentare e rimaste arbitrariamente fra le 20 mila pagine depositate agli atti del processo Ruby. Che si apre oggi con il cosiddetto, roboante rito immediato. La registrazione di quelle telefonate, per il cui uso giudiziario occorreva chiedere l’autorizzazione alla Camera, non aggiunge praticamente nulla al bagaglio delle accuse di concussione e di uso della prostituzione minorile rivolte a Silvio Berlusconi. Sono utili, ora che se ne conosce il contenuto, solo a danneggiarne ulteriormente l’immagine perché lo mostrano alle prese con affari non di Stato ma di pelo. Servono insomma a sputtanarlo, per usare una franchezza di linguaggio doverosa con i lettori. D’altronde, lo sputtanamento del presidente del Consiglio è apparso sin dal primo momento l’effetto oggettivamente prioritario del procedimento avviato dalla Procura milanese con un impiego eccezionale di uomini e di mezzi: eccezionale, vista anche la carenza di organico e di fondi lamentata di recente dallo stesso capo dell’ufficio per contestare la precedenza data ad altri aspetti del sistema giudiziario dalla riforma della giustizia messa in cantiere dal governo del Cavaliere. In attesa che il buon Bruti Liberati si faccia un’idea di come e perché siano rimaste negli atti del processo Ruby carte che dovevano restarne fuori, e magari promuova le debite iniziative contro i responsabili, ci sia consentito di rilevare quanto meno la frequenza francamente insopportabile degli incidenti, chiamiamoli così, che si verificano nei suoi uffici e dintorni. Non sono mancate in passato conseguenze persino mortali, se ricordiamo, fra l’altro, i suicidi di Sergio Moroni, Gabriele Cagliari e Raul Gardini fra il 1992 e il 1993, durante la stagione di «Mani pulite». Appartiene al capitolo degli infortuni impuniti della Procura di Milano anche il famoso avviso di garanzia al già allora presidente del Consiglio Berlusconi nell’autunno del 1994, notificatogli praticamente a mezzo stampa, visto che l’interessato ne conobbe l’esistenza da un titolone di prima pagina del Corriere della Sera. Tutto avvenne con una tempistica mediatica e politica che irritò pubblicamente persino l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, di certo non sospettabile di insofferenza o di ostilità verso i suoi ex colleghi magistrati. Quell’avviso, riguardante peraltro un procedimento destinato a risolversi nell’assoluzione di Berlusconi, arrivò mentre l’indagato era ancora impegnato a presiedere a Napoli un summit internazionale sulla lotta alla criminalità. E accelerò lo sganciamento dal governo già avviato dalla Lega, con il conseguente approdo alla crisi. Esso fornì inoltre l’occasione all’allora sostituto procuratore della Repubblica Antonio Di Pietro di offrirsi al suo superiore, Francesco Saverio Borrelli, per «sfasciare» Berlusconi con un interrogatorio dei suoi. L’operazione l’avrebbe poi proseguita come politico. È un’altra delle combinazioni diaboliche della Procura milanese, che da quegli anni è passata più volte di mano ma senza uscire mai da quel clima. È curioso che, fra i protagonisti di oggi, ad avvertire e denunciare per primo l’anomalo clima giudiziario di Milano non sia stato Berlusconi. Al quale il segretario dell’Associazione Nazionale Magistrati Giuseppe Cascini non perdona di avere recentemente definito la Procura ambrosiana una specie di «avanguardia rivoluzionaria»: tanto non glielo perdona, da avergli appena contestato «la legittimità storica, politica, culturale» e non ricordo cos’altro ancora per proporre e sostenere una riforma della giustizia. No, ad avvertire e denunciare per prima quel clima fu Ilda Boccassini, sì proprio lei, l’attuale accusatrice di Berlusconi nel processo Ruby. Fu lei il 25 maggio 1992 a puntare l’indice anche contro i colleghi del tribunale ambrosiano in un’accorata e vibrante commemorazione del suo collega ed amico Giovanni Falcone, appena ucciso dalla mafia nell’attentato di Capaci. «L’ultima ingiustizia – gridò testualmente la Boccassini – Giovanni la subì dai giudici di Milano. La rogatoria per lo scandalo delle tangenti gliel’hanno mandata senza gli allegati. Mi telefonò e mi disse: che amarezza, non si fidano del direttore degli affari penali» al Ministero della Giustizia. A Milano, quindi, parola della Boccassini, il povero Giovanni Falcone, ormai a due passi dal suo appuntamento eroico con la morte, non era considerato dai suoi colleghi tanto affidabile da ricevere incartamenti completi sulle inchieste riguardanti il finanziamento illegale della politica e la corruzione che spesso l’accompagnava. Erano inchieste particolari pure quelle. Delle quali per sua fortuna il povero Falcone non fece in tempo a vedere tutti gli sviluppi e sbocchi. Ne avrebbe troppo sofferto per la concezione alta ch’egli aveva della Giustizia e della sua professione, anzi missione, di magistrato. Francesco Damato, Il Tempo, 6 aprile 2011