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IL COLPO BASSO DEI PM. PROCESSATE LA BOZZASSINI

Pubblicato il 6 aprile, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

La legge è uguale per tutti, tranne che per i magistrati che possono tranquilla­mente calpestarla sapen­do di rimanere impuniti. A oc­chio, infatti, i pm della procura di Milano hanno commesso un re­­ato, trascrivendo e allegando ad atti pubblici tre intercettazioni te­l­efoniche del presidente del Con­siglio senza l’autorizzazione del Parlamento. Nelle ventimila pa­gine che costituiscono l’atto di accusa del caso Ruby ci sono in­fatti tre conversazioni tra il pre­mier e tre ragazze. Se n’è accor­to, ma guarda la coincidenza, il Corriere della Sera proprio alla vi­gilia dell’apertura del processo. Nulla di sconvolgente, anzi, sem­mai il contrario. Le conversazio­ni denotano confidenza, affetto, gli interlocutori parlano di Ruby e delle sue vicende con preoccu­pazione. Nulla di più. Su questo tema la legge è chia­ra. Primo: i telefoni di deputati e senatori non possono essere in­tercettati. Secondo: se intercet­tando una persona terza, gli in­quirenti si rendono conto che stanno ascoltando la voce di un parlamentare, l’operazione va subito interrotta.

Terzo: se i pm si accorgono solo a cose fatte del­­l’indebito ascolto, i nastri e le tra­scrizioni devono essere buttati, a meno che la Camera di riferi­mento, interpellata, non decida diversamente. Nel caso in questione tutto ciò non è accaduto. Ilda Boccassini e compagni se ne sono fregati della legge. In un Paese normale oggi sarebbero sotto inchiesta, come capita a qualsiasi cittadino che non rispetta le regole. Ma il nostro non è un Paese normale, quindi nulla accadrà, anche se è venuto il momento di ribellarsi. È assurdo che il presidente del Consiglio debba finire sotto pro­cesso pe­r una telefonata al massi­mo inopportuna ( quella alla que­stura di Milano) con un fascicolo d’accusa di ventimila pagine e 130 testimoni, e un pm debba far­la franca per un reato assai più grave non solo contro Berlusco­ni ma contro tutta la Camera dei deputati, la cui inviolabilità è san­cita dalla Costituzione.

Oggi dovrebbe suonare alta la voce del presidente della Came­ra, a difesa dei suoi uomini, della politica tutta e degli elettori. Gianfranco Fini ha invece visto bene di stare zitto, perdendo co­sì quel poco di dignità che anco­ra gli era rimasta. Se c’era qual­che residuo dubbio sulla sua complicità con i pm ammazza Berlusconi, direi che da oggi non c’è più.E Napolitano?Dove è fini­to i­l garante della legge e della Co­stituzione? Sparito, anche lui. In questo Paese guidato da co­dardi a pecoroni di fronte a tre pm arroganti, ci vorrebbe qual­cuno che ripristinasse la legalità di uno Stato democratico. Quan­d­o gli arbitri tifano per una squa­dra, nella fattispecie quella dei pm, la partita è truccata. La Boc­cassini ritiene di non aver com­messo reati? Che si è trattato di uno sbaglio? Che era un suo dirit­to farlo?

Bene, lo sostenga davan­ti a un giudice, se avrà ragione verrà assolta altrimenti si bec­cherà una condanna, esatta­mente come lei pretende di fare con i suoi imputati. Per fare que­sto ci vorrebbe però un giudice indipendente dalle procure, che oggi non esiste, perché come no­to cane non mangia cane, soprat­tutto se entrambi portano la to­ga. La separazione delle carriere tra la magistratura inquirente e quella giudicante prevista nella riforma della giustizia appena av­viata dal governo, non è più rin­viabile. Che oggi inizi pure il processo del secolo, illegittimo nella sede (ieri il Parlamento ha votato che Milano non ha titolo per proce­dere e che se ne deve occupare il tribunale dei ministri), nella so­stanza (nessuna delle presunte vittime sostiene di esserlo), e ora anche nella forma in quanto in­quinato da intercettazioni illega­li. Basta che tutta questa messa in scena non la si chiami giusti­zia. Il Giornale, 6 aprile 2011

CASO RUBY: LA CAMERA DICE SI’ AL CONFLITTO DI ATTRIBUZIONI TRA POTERI DELLO STATO

Pubblicato il 5 aprile, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Sarà conflitto di attribuzione sul processo Ruby. L’assenso della Camera è stato dato con una votazione senza registrazione. Il margine di vantaggio a favore della richiesta, avanzata dalla maggioranza, è stato di 12 voti, come ha precisato al termine il presidente della Camera, Gianfranco Fini: 314 i sì, 302 i no. I deputati Libdem Daniela Melchiorre, Italo Tanoni e Aurelio Misiti, hanno votato insieme alla maggioranza a favore del conflitto di attribuzione in aula alla Camera. La richiesta in tal senso era stata avanzata dai capigruppo di Pdl, Lega e Responsabili, Fabrizio Cicchitto, Marzo Reguzzoni e Luciano Sardelli.  5 APRILE 2011

LATINA (EX LITTORIA) LA WATERLOO DEL FLI CHE SI SPACCA SULLE ALLEANZE

Pubblicato il 5 aprile, 2011 in Cronaca, Politica | No Comments »

Roma – Come prevedibile il Fli si frantuma via via che si avvicina la data delle elezioni amministrative. Ci sono da scegliere i candidati migliori ma soprattutto si tratta di ragionare su chi puntare nel caso in cui al ballottaggio ci arrivino i due candidati di centrodestra e di centrosinistra. E in Futuro e libertà è già dilemma: «Che fare?». L’ultimo caso l’ha fatto scoppiare il fasciocomunista Antonio Pennacchi che ha proposto una lista «Pennacchi-Fli per Latina» al fine di appoggiare il candidato sindaco di centrosinistra Claudio Moscardelli. Naturalmente l’ipotesi ha scosso fin dalle fondamenta i futuristi, spaccati tra il «si potrebbe fare» e il «neanche per idea». Tra questi ultimi l’eurodeputato Potito Salatto che ha subito fatto partire le sue doglianze: «Se la dirigenza nazionale dovesse avallare il disegno Fli-Pd in un capoluogo di provincia come Latina, le ripercussioni interne sarebbero dirompenti, lascerebbero il segno in quanti continuano a ritenere Futuro e libertà un partito che si muove nel centrodestra e in particolare in quel nuovo polo alternativo al Pd stesso». Non solo. Riconoscendo il disorientamento degli elettori, l’euronorevole va giù duro: «Il nostro elettorato, già di per sé sbandato per molti motivi, non ci capirebbe e sarebbe pronto a punirci, ad abbandonarci. Insomma, a conti fatti, Latina può trasformarsi nella Waterloo di Fli». Potito Salatto, esponente di spicco dell’ala moderata che fa capo a Urso, accusa i falchisti: «È ridicolo che si continui a parlare della candidatura del fasciocomunista Pennacchi in una lista appoggiata da Fli. Cosa c’entri l’onorevole Granata con Latina ancora non si capisce. Così – aggiunge Salatto – non si va da nessuna parte».
A cercare di sedare gli animi tra i futuristi ci prova il leader pro tempore Italo Bocchino che assicura: «Alle elezioni amministrative in nessun caso il simbolo di Fli sarà alleato con quello del Pd, nemmeno a Latina». E se parla Bocchino è come se parlasse Fini che stasera interverrà a Ballarò. Nodo sciolto, quindi? No perché un altro pezzo grosso futurista, il capogruppo alla Camera Benedetto Della Vedova, poche ore dopo lanciava il fasciocomunista: «Nelle consultazioni delle grandi città c’è un valore politico indiscutibile ma le elezioni sono amministrative. E poi: Latina è Latina, Pennacchi è Pennacchi». E ancora: «Spero che l’operazione vada in porto e penso che sarebbe stupido per Futuro e libertà farne un elemento di polemica interna». Però la polemica c’è e raggiunge livelli di guardia. Anche il moderato Urso scende in campo: «Latina è un simbolo nella tradizione della destra italiana, dove per la prima volta si concretizzò l’aspirazione a una destra di governo. Spero che le assicurazioni date da Bocchino trovino una concreta attuazione».
Ma non c’è solo la questione Latina. Nella terra di Bocchino, in Campania cioè, il coordinatore regionale Enzo Rivellini mette le mani avanti: «Ha perfettamente ragione l’onorevole Taglialatela (coordinatore cittadino del Pdl), non si possono consegnare le dieci municipalità alla sinistra dopo 36 anni di malgoverno della città di Napoli. È auspicabile, quindi, che nelle municipalità ci possa essere un accordo con il centrodestra in modo da mandare finalmente a casa questa sinistra che ha ridotto la nostra città ai minimi termini». E sempre a Napoli il Fli rischia addirittura la scissione interna. A molti militanti, infatti, non è piaciuta affatto la presenza, accanto a Bocchino, di Alfredo Vito. Ex Dc, soprannominato «mister centomila preferenze», Vito patteggiò una pena di due anni, con sospensiva della stessa, che venne poi cancellata cinque anni dopo da ogni foglio penale a chiusura di sei vicende giudiziarie, relative a reati contro la Pubblica amministrazione. Vito, presente a un comizio di Fini a Napoli, già qualche mese fa provocò un mezzo terremoto tra i futuristi, con Granata in prima fila a dire «Quello è incompatibile con noi». Ora la questione si riapre con un’aggiunta. Si tratta di Pietro Diodato, ex consigliere regionale al centro di alcune inchieste giudiziarie e di recente condannato per i disordini alle elezioni comunali del 2001 nel seggio di Pianura. 5 aprile 2011

LAMPEDUSA SVUOTATA IN 96 ORE

Pubblicato il 5 aprile, 2011 in Cronaca | No Comments »

C’è il bar che chiude, per una bella pulizia straordinaria dopo l’ondata. C’è il negozio di souvenir che riapre, dopo settimane di barricate e l’esercizio commerciale aperto sì, ma con l’ingresso chiuso a chiave. E ci sono i più anziani, che si riappropriano della loro piazza, della loro panchina: «Era settimane – dicono – che non potevamo stare qui. Ora siamo tornati, e speriamo di restarci. Questa è roba nostra, non degli immigrati».

È il giorno della «riconquista» di Lampedusa per gli isolani. Un lunedì di festa e di ringraziamento, con tanto di veglia di preghiera davanti alla chiesa, perché rivedere le strade dell’isola libere, senza neanche uno dei disperati che per settimane l’hanno martoriata, sporcata, ferita, in giro per la città, ha davvero il sapore del miracolo. Un miracolo che i lampedusani, unanimi, attribuiscono in larga parte al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Gli anti Cav al massimo dicono «vediamo che farà adesso con gli sbarchi». Ma la promessa numero uno, l’isola liberata, è stata mantenuta. In quattro giorni contro i due e mezzo previsti. Il premier, mercoledì scorso, aveva parlato infatti di 48-60 ore per, parole sue, una Lampedusa abitata solo dai lampedusani. Ne sono trascorse un po’ di più, circa 96, colpa del mare che per due giorni ha impedito i trasferimenti. Ma già domenica pomeriggio via Roma e la zona del porto si sono svuotate. E gli isolani non sono fiscali, Lampedusa isolata per maltempo è la norma della loro vita quotidiana. E riconoscono: «La nostra isola è tornata libera».

Si respira rinascita a passeggiare per il centro di questa Lampedusa di nuovo bellissima, con spiagge che tolgono il fiato e un clima che già adesso permette di andare al mare. È la stessa gente del posto a pulire le strade, a riaprire i negozi, a riprendere le attività quotidiane paralizzate da due mesi di assedio, perché l’emergenza vera, ricordano tutti, è cominciata ben prima che giornali e tv se ne accorgessero, ai primi di febbraio. Certo, le ferite in alcune zone ci sono ancora. Guardare il mare di Cala delle palme diventato un tappeto di bottiglie di plastica stringe il cuore, vedere le tende improvvisate che costellano la collina sopra il porto trasformata in collina della vergogna, è il segno dello tsunami di clandestini appena passato. Ma è andata, i danni si riparano, si va avanti.

«La vita è adesso», canta il lampedusano onorario Claudio Baglioni diffuso a tutto volume in una delle strade del centro riconquistate. E «adesso» è la stagione turistica alle porte da rilanciare, al centro ieri di un vertice con l’assessore siciliano al turismo Daniele Tranchida, che ha promesso attività promozionali e spettacoli. Lampedusa vive di vacanze. E gli imprenditori hanno fiducia nel governo. Loro vogliono «fare», come ama dire il premier. E non vogliono sovvenzioni, solo sostegno per superare le difficoltà provocate dall’assedio, come accordi con le banche per superare il gap tra investimenti fatti prima dell’assedio e le caparre delle vacanze che non ci sono ancora.

Lampedusa è tornata Lampedusa. E quasi fa impressione passeggiare per l’isola a chi è arrivato qui nei giorni clou dell’emergenza. Fa impressione Cala delle palme, poche centinaia di metri dalla banchina del porto vecchio, il quartier generale dei clandestini: al mattino è ancora zeppa di tende improvvisate sulla spiaggia, il mare ridotto a un immondezzaio, nel primo pomeriggio la piccola spiaggia è già tornata spiaggia, le bottiglie in mare ci sono ancora ma con piccole escavatrici che le raccolgono anche quelle vanno via, a poco a poco. Gli uomini in tuta bianca e mascherina che modificano la zona hanno fatto il miracolo. Ha cambiato volto anche il porto, la stazione marittima. Sembra quasi incredibile vedere il normale traffico di camion e non migliaia di immigrati in assetto di polveriera pronta a esplodere. La collina della vergogna no, quella sino a sera mantiene il suo volto di accampamento improvvisato. Ma è un accampamento abbandonato, se ne accorgono anche i gabbiani che senza nuovi rifiuti non si affollano più a stormi sull’area.

Non è che per magia gli immigrati siano spariti. Nel locale centro di accoglienza – ieri al centro di una polemica perché un deputato del Pdl, Enzo Fontana, è riuscito a visitarlo al contrario dei Pd Furio Colombo e Andrea Sarubbi – ci sono ancora circa 800 migranti. E alla base Loran, con i minori ancora non identificati, ci sono stati ancora ieri momenti di tensione, per la protesta di quelli rimasti a terra.

L’attracco di Cala pisana è il cuore dell’operazione svuotamento che si sta concludendo: ieri sera hanno lasciato l’isola altri 450 immigrati, a bordo della «Catania», rimane un altro traghetto, il «Flaminia», pronto a portar via gli 800 rimasti. E i migranti che continueranno ad arrivare. Perché adesso il vero nodo sono i nuovi sbarchi. Domenica notte, intorno alle 2 e mezza, è arrivato l’ennesimo carico, 210 tunisini, tra cui quattro donne e due bambini. E il flusso, col il mare calmo, non si ferma, cinque barconi per un totale di circa 800 persone avvistati nel pomeriggio. Ma con le navi che li portano via subito la situazione è tornata quella di sempre, non c’è più un solo immigrato che bivacca in strada. Insomma, Lampedusa è incantevole e bellissima come sempre. Prenotare un aereo e fare una vacanza nell’isola per credere. 5 APRILE 2011

CASO RUBY: E ARRIVO’ IL GIORNO DELLA NMACELLERIA

Pubblicato il 5 aprile, 2011 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

Ci siamo. Ancora 24 ore e lo show può co­minciare. Anche se sarà una partenza falsa, senza star e comparse e con una seconda puntata tra qualche mese. Dopo tan­to parlarne, l’affare Ruby ap­proda domani in tribunale ma non ci saranno né l’im­putato Silvio Berlusconi né le ragazze già bollate, pro­cessate e condannate da una campagna stampa sen­za precedenti. La procura di Milano ha chiesto e otte­nuto il rito immediato, so­stenendo che le prove era­no schiaccianti. E qui c’è la prima bugia, altrimenti non si spiegherebbe la ne­cessità di convocare 132 te­stimoni, un numero che non trova pari neppure nei grandi processi di terrori­smo o mafia. Per puntellare il farneticante teorema, i pm hanno smosso mari e monti, usato sofisticate tec­nologie, messo sottosopra le case e la vita privata di de­cine di ragazze, spiato tutti gli ospiti della residenza di Arcore.

Eppure il dibatti­mento si apre senza accusa­to, accusatore e vittime. Non c’è una parte lesa,qual­cuno o qualcuna che accusi Berlusconi di violenza, mo­l­estia, abuso, né per il reato di prostituzione né per quel­lo di concussione. In realtà di vittime questa farsa giudiziaria ne ha già fatte. Sono le persone coin­volte in uno scenario costru­ito ad arte per infangare. Senza nessuno scrupolo, i pm milanesi hanno messo agli atti testimonianze di mi­tomani che sostengono di aver incontrato nelle cene gli attori George Clooney e Belen Rodriguez,la condut­trice Barbara D’Urso, le poli­tiche Mariastella Gelmini, Mara Carfagna e Daniela Santanchè. Sarebbero do­vute bastare queste dichia­razioni, e due veloci verifi­che, per archiviare il caso co­me una grande bufala. Alcu­ni di questi signori non han­no mai messo piede ad Ar­core, altri non lo mettono da anni, altri ancora ci sono ovviamente stati per incon­tri politici ben documenta­bili. Ruby ha addirittura rac­contato di essersi prostitui­ta a Milano con il calciatore Cristiano Ronaldo quando questi stava giocando dal­l’altra parte del mondo.

Più che un processo, quel­lo che si sta aprendo è un ca­so di macelleria mediatica. Foto private, sequestrate nei telefonini di alcune ra­gazze, spacciate come pro­va d­i festini ad Arcore quan­do si trattava invece di scatti fatti da tutt’altra parte. Frasi rubate da decine di migliaia di intercettazioni telefoni­che che senza alcun riscon­tro sono state spacciate per verità giudiziarie.
La storia è assai più sem­plice. Una ragazza scaltra e irrequieta, Ruby, minoren­ne per l’anagrafe ma non nel corpo e nella testa, soste­nendo di essere la nipote di Mubarak e mentendo sulla sua età, riesce ad avvicinare Berlusconi e frequenta alcu­ne cene ad Arcor­e in compa­gnia di altre ragazze maggio­renni.
Dal presidente riceve aiuto per mettere in piedi una attività imprenditoria­le (un centro estetico). Quando una notte viene ar­­restata per una lite con una coinquilina, Berlusconi chiama il funzionario per se­gnalare che c’è la possibili­tà, in assenza dei suoi geni­tori, di affidarla a una perso­na maggiorenne ( Nicole Mi­netti). Una prassi consenti­ta dalla legge tanto che in quell’anno,2009,la Questu­ra di Milano l’aveva adotta­ta ben 57 volte. Un’inchie­sta del ministero dell’Inte­r­no ha poi accertato che non fu compiuta alcuna irregola­rità. Tutto il resto è semplice intrusione, per di più violen­ta, nella vita privata di perso­ne maggiorenni, libere e consenzienti, qualsiasi co­sa sia successa nelle cene e nei dopocena. Si può discu­t­ere su questioni di opportu­nità e stile, non di reati. La vera porcata non è quello che abbiamo letto fino ad ora, ma quella fatta da chi ha voluto tutto questo solo per fare cadere il governo. Il Giornale, 5 aprile 2011

LA POLITICA E’ USCITA DI SCENA

Pubblicato il 5 aprile, 2011 in Politica | No Comments »

Tra qualche anno ci si renderà conto che questa legislatura ha segnato davvero, nel bene e nel male, uno spartiacque nella storia dell’Italia repubblicana. Ho detto: nel bene e nel male, ma, ad onor del vero, avrei dovuto dire: più nel male che nel bene. Questa legislatura, infatti, ha visto un progressivo svilimento delle istituzioni, sempre più coinvolte nella lotta politica, e, ancora, una accentuata alterazione dell’equilibrio dei poteri. In altre parole, essa ha certificato, per un verso, l’inadeguatezza rispetto alle nuove sfide della politica e della società post-ideologica di una carta costituzionale obsoleta e costruita sul compromesso fra ideologie, e, per altro verso, ha consentito che si affermasse una lotta senza quartiere fra i poteri dello Stato per consolidare o conquistare posizioni di arroccamento corporativo. La colpa di questo processo degenerativo – un processo che affonda le sue radici lontano nel tempo – è di tutti, del governo come dell’opposizione. Quando il governo sposta il centro delle decisioni politiche dalle sedi istituzionali alle residenze private del premier, altera il normale meccanismo della dialettica politica ingenerando una perniciosa confusione tra la sfera del pubblico e la sfera del privato. Quando, d’altro canto, le opposizioni non sono in grado di contrapporre a questa deriva niente di meglio che un patetico appello al cosiddetto «patriottismo costituzionale» e, ottenebrate da un odio per il premier che ha il sapore di «revanche» per la perdita di posizioni o di rendite di posizione, non fanno altro che confermare la loro incapacità cronica di proporre soluzioni di lungo respiro e la loro mancanza di senso dello Stato e di senso delle istituzioni. Siamo, insomma, alla eclissi o, se si preferisce, alla abdicazione della politica. A una svolta pericolosa, al di là della quale si profila il caos. I sintomi sono evidenti e sotto gli occhi di tutti. La «crisi della politica», come ha detto Berlusconi, può diventare «crisi della democrazia».  L’osservazione è giusta, non già nel senso di una possibile e improbabile deriva autoritaria quanto piuttosto nel senso di una irrecuperabile confusione dei poteri. Il caso della magistratura è emblematico. Il problema non è più soltanto quello del protagonismo, più o meno velleitario, di qualche pubblico ministero ma è ormai quello, al fondo eversivo, di una magistratura, come corporazione, sempre più pronta a invadere la sfera di discrezionalità e responsabilità del legislatore e a realizzare quello che un grande costituzionalista francese, Edouard Lambert, già all’inizio degli anni venti definì «il governo dei giudici». Questa prevaricazione, fra l’altro, sta realizzandosi attraverso gli interventi e le pressioni del Consiglio Superiore della Magistratura con valutazioni preventive su leggi non ancora approvate, ma anche attraverso sentenze squisitamente politiche emesse dalla Corte Costituzionale che, di fatto, abolisce o snatura o riscrive leggi già approvate. In tal modo, com’è evidente, si sviluppa un fenomeno di esercizio surrettizio dell’attività legislativa che contrasta con il sacrosanto principio della separazione dei poteri. Lo scontro sulla giustizia – che questa settimana raggiungerà il suo clou non solo nelle aule parlamentari per la discussione sul provvedimento legislativo sulla cosiddetta prescrizione breve ma anche nelle aule giudiziarie con la ripresa o l’avvio dei processi contro Berlusconi – è uno scontro che, alla fin fine, al di là delle vicende giudiziarie del premier, tocca la questione della salvaguardia della democrazia liberale e rappresentativa in Italia. Riguarda, insomma, il problema delicatissimo della tutela degli equilibri fra i poteri dello Stato. L’abdicazione della politica ha provocato altri squilibri fra i poteri dello Stato. Per esempio, ha accresciuto, di fatto, il ruolo del Presidente della Repubblica che, ormai, non svolge più le funzioni classiche e puramente «notarili» di custode della Costituzione (come avevano fatto Enrico De Nicola e Luigi Einaudi) ma interviene sempre più come attore e protagonista in alcuni momenti delicati con azioni di monitoraggio preventivo dell’attività legislativa e con iniziative che talora travalicano la lettera delle competenze presidenziali. Non è detto che tutto ciò sia un male, soprattutto quando la figura del Capo dello Stato finisce per essere percepita come quella di un leader morale che si adopera per evitare la corsa verso la catastrofe. È, anzi, una indicazione precisa che va nella direzione di una auspicabile revisione della Costituzione in senso presidenzialista. Tuttavia, rimane un fatto. Questo attivismo del Presidente della Repubblica – realizzato attraverso i passi felpati e le voci ovattate degli ambienti quirinalizi che accreditano, salvo poi smentirli, presunti malumori del Capo dello Stato di fronte a propositi del Governo, come quello il ricorso al voto di fiducia sulla questione della giustizia o ventilano, come minaccia che eviterebbe l’approvazione delle riforme, lo scioglimento delle Camere anche in assenza di un voto di sfiducia – è la dimostrazione plateale della crisi profonda del sistema politico italiano. Una crisi, ribadiamolo, dovuta all’uscita di scena della politica. Francesco Perfetti, Il Tempo, 5 aprile 2011

FINI E CASINI, I BUONISTI CHE VOLEVANO SPARARE SUGLI SCAFISTI

Pubblicato il 4 aprile, 2011 in Politica | No Comments »

Oggi le loro parole sono uno slalom: una corsa a infilare una dopo l’altra le porte della solidarietà e insieme della legalità. Oggi sono maestri del distinguo. Della sfumatura. Soprattutto, della critica al governo e in particolare alla Lega. Allora, dieci anni fa o poco più, usavano toni ruvidi, non amavano il politically correct, portavano a galla quel che sentiva la pancia dell’Italia profonda. Allora, davanti all’ennesima emergenza migratoria, Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini non disdegnavano concetti che anche la Lega frequenta con disagio. Allora – era il 21 settembre ’99 – le agenzie di stampa registrarono nelle stesse ore le dichiarazioni choc dei due leader.

Casini: «Con gli scafisti che scaricano sulle coste italiane centinaia di immigrati clandestini, siamo in guerra. Oggi si deve poter sparare».

E Fini, solo un filo più cauto: «In certe situazioni può essere giusto mettere le forze dell’ordine in condizione di impiegare le armi, come del resto avviene già oggi».

Dodici anni fa, ma sembra un’altra era geologica, Fini e Casini non si preoccupavano di puntare le nostre mitragliatrici contro i barconi. Altro che Bossi e il suo «fora di ball». Altro che la Lega e il suo motto scandito dal ministro Roberto Calderoli: «Chi vuole i clandestini se li prenda e li ospiti a casa sua».

Casini non aveva il minimo dubbio. «Con gli scafisti – ripeteva – non servono le buone maniere, oggi si deve poter sparare». Tanto che l’allora premier Massimo D’Alema, allarmato da questa deriva muscolare, reagì attaccandolo: «Sparare contro chi fugge? È sconcertante. Loro sono i cristiano democratici? Sparare alla gente non mi sembra né cristiano né democratico». Più o meno lo stesso pensiero di Rosa Russo Iervolino, allora all’Interno: «Penso che sia possibile, e più civile, catturare chi fa il mestiere turpe dello scafista senza sparargli addosso».

Oggi Fini e Casini stanno idealmente con D’Alema e la Iervolino. Le armi le hanno buttate in mare, predicano la solidarietà, incolpano di tutto il governo e in prima battuta la Lega. Casini punta il dito ma non indossa più la stella da sceriffo: «Chi si era illuso che con la Lega al governo i clandestini non sarebbero arrivati si sbagliava. Con la demagogia, le chiacchiere e le baggianate come le ronde ci troveremo sempre più clandestini. Ad un esodo biblico si risponde con provvedimenti straordinari».

Quali? «Accogliere i rifugiati e rimandare a casa i clandestini, non ci sono alternative», che poi è quello che più o meno vogliono tutti. I proiettili per i mercanti di morte però non ci sono più.
Ora il leader dell’Udc è armato solo di buoni sentimenti e di fermi propositi. Come Fini. Che fa impeccabilmente sfoggio del suo aplomb istituzionale. «Chi dice che gli stranieri sono diversi – afferma il Presidente della Camera incontrando un gruppo di ragazzi stranieri – è uno stronzo». Senza giri di parole. Comunque, non si sa mai, Fini lo ribadisce: «C’è qualche stronzo che dice qualche parola di troppo? Se qualcuno pensa che siete diversi, qualche parolaccia se la merita. Voi la pensate e io la dico».

Oggi il presidente della Camera è ecumenico, trasversale, terzomondista. Tanto da provocare la reazione di Calderoli: «Fini ha perfettamente ragione a dire che è stronzo chi dice che lo straniero è diverso. Ma è altrettanto stronzo chi illude gli immigrati».Oggi Fini si è aggiornato, abbeverandosi all’acqua del solidarismo distribuita da vari pensatoi di ultima generazione, qua e là per l’Europa. E scrive: «Bisogna ascoltare le richieste di coloro che bussano alle porte». Affermazione incompatibile con le pallottole per fermare i clandestini. Anche se poi, prudente, frena: «Molte delle restrizioni sono oggettivamente giustificate e giustificabili». Il pensiero è elastico, ma, come dice il sindaco di Firenze Matteo Renzi, Gianfranco Fini dev’essere il gemello di quell’altro che dieci anni fa, e anche meno, si appoggiava a immagini bellicose. E predicava il contrario di quel che oggi insegna dal suo scranno di Presidente. Stefano Zurlo, Il Giornale, 4 aprile 2011

CADONO TUTTI, BERLUSCONI RESISTE

Pubblicato il 4 aprile, 2011 in Politica | No Comments »

Silvio Berlusconi Una settimana fa Angela Merkel perdeva nella regione del Baden-Wuerttemberg, dove la Cdu governava da 59 anni ininterrottamente. Una settimana fa l’Ump di Nicolas Sarkozy sprofondava al 18% nelle elezioni cantonali, battuto nettamente dai socialisti saliti oltre il 30%, e cominciava a sentire il fiato sul collo del Front National all’11%. Nella settimana che si è appena conclusa Jose Luis Zapatero, l’ultimo mito rimasto alla sinistra europea, ha annunciato il suo ritiro: non si candiderà alle elezioni dell’anno prossimo. Dunque, nel giro di pochi giorni è cambiata la geografia politica in tre dei principali Paesi d’Europa. Silvio Berlusconi invece sta ancora là. Certo, ammaccato. Anche lui non può negare una caduta nei sondaggi. Non può negare un sempre maggiore affanno nei consensi. Ma è altrettanto vero che il Cavaliere, a differenza dei suoi colleghi europei, è l’unico che è stato letteralmente travolto da uno scandalo sessuale che ha acceso i riflettori di uno stadio sulla sua vita privata. Di più, sulla sua vita intima. Un’inchiesta della magistratura che gli ha letteralmente guardato nelle mutande. Ma era solo l’ultimo capitolo. Prima e ancora oggi lo hanno accusato di tutto. Dalla corruzione alle stragi di mafia. Eppure, è ancora lì. Lì, ancora in sella. Con le sue battute. Con i suoi scherzi. Le barzellette oscene. Atterra a Lampedusa con la sua valigia di promesse e annuncia pure che s’è comprato una casa. Quello che la sinistra non ha capito è che non importa che quelli di Berlusconi siano impegni precisi o una balla dietro l’altra. Conta che ciò che fa è ciò che vorrebbe fare qualunque italiano medio.

Il Cavaliere, con tutti i suoi difetti, continua a essere ciò che una larga fetta di italiani vorrebbe diventare, anche in versione ridotta. Sul piano politico, il suo essere ancora in carica e il suo partito ancora accreditato intorno al 30% con il principale alleato, la Lega, oltre il 10%, è la conferma che Berlusconi continua a essere un polo nientaffatto effimero della politica italiana. Anzi, una buona parte d’italiani non vede all’attuale premier un’alternativa da prendere in considerazione. Perché l’Italia è ancora culturalmente ed elettoralmente di centrodestra, moderata. E tutto sommato preferisce tenersi questo capo del governo qui, con tutti i suoi difetti e le sue manchevolezze. Piuttosto che tutti gli altri. A questo punto la domanda andrebbe rovesciata. Perché tutti gli altri continuano a non essere credibili? Perché per esempio Gianfranco Fini, trent’anni in Parlamento, vicepremier, ministro degli Esteri, insomma uno al quale non c’è più bisogno di guardare quanti globuli di fascismo ha nel sangue per essere credibile, ancora continua a non essere preso in considerazione dall’elettorato? Anzi, lo è sempre meno. La sua Fli, nella migliore delle ipotesi, si attesta attorno al quattro per cento; ovvero un terzo dei consensi che aveva An appena cinque anni fa. Perché? Pier Ferdinando Casini, l’unico nel campo delle opposizioni che sembra avere una strategia che si possa qualificare come tale, potrebbe sfidare apertamente il Cavaliere nella battaglia egemonica del campo moderato. Ha una strategia, ha un partito consolidato, governa nelle regioni. Eppure se ne guarda bene dall’assaltare il Pdl. Anche il leader dell’Udc attende in cuor suo la fine politica naturale del Cav. Forse anche loro dovrebbero cominciare a porsi qualche domanda sulla loro credibilità. Fabrizio dell’Orefice, Il Tempo, 4 aprile 2011

CARO MONTEZEMOLO, NON FARE IL NUOVO FINI

Pubblicato il 3 aprile, 2011 in Politica | No Comments »

Luca Cordero di Montezemolo ha annunciato per l’ennesima volta che sta pensando di scendere in politica. Siamo tutti col fiato sospeso: lo farà, non lo farà? Ma soprattutto le domande sono: perché dovrebbe farlo, con quale esercito, con che alleati? Risposte logiche al momento non ce ne sono, se non quella che lui stesso lascia intendere: per salvare la patria. Ci sembra di rivedere un film appena andato in onda nel cinema della politica italiana, attore principale Gianfranco Fini, comparse Bocchino, Briguglio, Casini e Rutelli.
Ora, a parte che non si capisce da chi sia minacciata questa benedetta patria, in quanto a salvataggi Montezemolo non ha poi grandi esperienze. Anzi. Quando gli fu affidata la Cinzano, l’allora giovane manager non cavò un ragno dal buco. L’anno che trascorse alla guida della Juventus fu l’unico nel quale i bianconeri non si qualificarono per una coppa europea. Come capo dell’avventura dei mondiali di calcio Italia ’90 diciamo che non portò fortuna alla nazionale e fu un disastro in quanto alla gestione del grande business (nuovi stadi nati vecchi, alberghi finanziati e mai finiti, infrastrutture per lo più inutili quanto costose). Alla Ferrari ha vinto molto con il tandem Todt-Schumacher. Via loro, le rosse – forse non a caso – sono state risucchiate nel gruppone, umiliate da un giovane team che porta il nome di una bibita. In ultimo, la Fiat di Marchionne ha preferito fare a meno di lui senza per questo subire il minimo trauma.

Ma lasciamo perdere il passato. Di recente Montezemolo si è candidato a salvare la patria ogni qualvolta si sono verificate due circostanze: voci di crisi del governo Berlusconi, rallentamento del via libera che governo e Ferrovie dello Stato devono dare all’ingresso sul mercato ferroviario di nuovi soggetti. Già, perché Montezemolo è molto interessato a questa pratica. Di più, quello dei treni veloci è il suo nuovo affare. E che affare. Finanziato da Generali e da Banca Intesa, Montezemolo è andato in Francia a farsi costruire i suoi treni che ora vuole legittimamente buttare sulla rete italiana. Per fare questo servono permessi e nuove regole che tardano ad arrivare. Ferrovie italiane e governo fanno un po’ melina, per interesse e per cautela politica. Si vorrebbe cioè evitare che, attraverso Montezemolo, i francesi si pappino, praticamente gratis, pure il nostro sistema ferroviario.

L’irrequietudine di Montezemolo, insomma, potrebbe avere anche qualche radice meno nobile di quelle dichiarate. Di recente, un altro bello del sistema di potere, Gianfranco Fini, scambiando ambizioni e interessi personali per un progetto politico, si è schiantato contro un muro dopo aver fatto sognare l’opposizione. Non credo che Montezemolo sia così stolto da voler bissare l’esperienza dell’utile idiota al servizio di Bersani, Casini e Di Pietro. Se vuole entrare in politica, si accomodi. Continuare a minacciarlo, non solo non serve e non fa paura, ma è sintomo di incertezza e debolezza, cose che non si addicono a un leader che vuole guidare il Paese. Tra il dire, il fare e il vincere, Berlusconi, nel 1993, impiegò non più di tre mesi. Montezemolo vuole tentare la stessa strada? Ci vogliono un progetto, i coglioni e almeno dodici milioni di voti. Frequentare consigli di amministrazione importanti, salotti chic e convegni prestigiosi è sufficiente ad avere buona stampa e alta considerazione di sé, non basta per vincere le elezioni. Perché dall’urna si deve prima o poi passare. Ma sospetto che contarsi senza rete di protezione non sia nel dna di Montezemolo salvatore, a parole, della patria.

.…….E’ quel che pensiamo anche noi e lo abbiamo scritto. Ma le fregole lideristiche di Montezemolo sono state già prontamente affondate dai destinatari delle sue proposte : prima Bearsani e poi Casini hanno risposto con smorfie di sufficienza alle proposte del bel Luca il quale per risolvere i suoi affari dovrà farlo da imprenditore e non da politicante di riserva. g.


IN DIFESA DI LARUSSA, E DEL SACROSANTO DIRITTO DI ARRABBIARSI

Pubblicato il 2 aprile, 2011 in Politica | No Comments »

Dopotutto, se l’aula sorda e grigia di Montecitorio si è tramutata in un bivacco di manipoli, la colpa non è mica sua. Di Ignazio La Russa, intendiamo. Negli ultimi due giorni sul ministro della Difesa è piovuto di tutto. Monetine, insulti, attacchi da parte degli avversari politici ma anche dai colleghi di partito: un diluvio trasversale. C’è stato pure uno, Claudio Scajola, capace di salire sul pulpito e commentare: «Io sono nato democristiano, non voglio morire fascista», alludendo al temperamento focoso di cui l’ ex An ha dato prova mandando a quel paese  Fini.

Vero, intorno alle 18.30 di mercoledì tutto il corpo del ministro, nel pieno dell’ira,  sembrava un dipinto di Balla: “Il dinamismo del «ma vaffanculo» in aula”. Sventolava l’indice, mulinava gli arti, applaudiva con sarcasmo. Fino al vaffa, che il Tg La7 di Enrico Mentana ha sillabato alla moviola. L’ha lanciato per stizza, non per sfida,  con un moto rapido e indispettito del braccio. È finita che amici (irritati) e nemici (gaudenti) l’hanno dipinto come la solita camicia nera, uno abituato all’intemperanza verbale oltre che alla sopraffazione fisica.
Nelle sue vene scorrerebbe  quello che Umberto Eco battezzò Ur-fascismo, il «fascismo eterno», figlio della violenza primigenia ai danni dei deboli. Roba da maschi in esplosione ormonale con la propensione al manganello. I giornali di ogni colore non  hanno risparmiato argomentazioni a sostegno di questa teoria, elencando le altre situazioni in cui la barba di Ignazio si è appuntita oltremodo, a mimare quella di Belzebù. Oltre allo sfanculamento di Fini, c’è il caso dei pestoni a Corrado Formigli  di Annozero. L’Inviato Ferale di Santoro, durante la manifestazione milanese  contro i moralisti, si avvicinò al ministro quel tanto che bastava per farsi rifilare un paio di calcioni di equina memoria. Aggiungiamo: c’è pure la vicenda di Carlomagno, finto giornalista e contestatore di professione che un giorno, durante una conferenza stampa, dimenticò le rotelle a casa e iniziò a straparlare. La Russa lo sollevò per il bavero e lo spedì da dove era venuto: i giornali gridarono alla rissa, alla mezza aggressione.
Davvero il ministro pensa che Pdl significhi «Popolo delle legnate»? Il milite Ignazio è ancora quello degli anni delle spranghe? Mavalà. Qualcosa del camerata che fu probabilmente gli è restato dentro, ma non è nulla di negativo. È una passione viscerale, un misto di polvere pirica e sangue bollente che  gli permette di essere simpatico – come nell’imitazione di Fiorello dove le sue parenti si chiamano Spingarda o Alabarda – e assieme infiammabile. Nella politica stantìa e tragattina di questi tempi, dove tutto è (falsa) moderazione e subdola trattiva, l’incazzatura è liberatoria. E non del tutto ingiustificata. O vale solo per Beppe Grillo?   La Russa esce dal parlamento e lo accoglie la bolgia, gli lanciano  euro contundenti: avrà pure diritto di arrabbiarsi. Poi rientra   e il Pd lo accusa di provocare, gli grida: «Merda, fascista». Lui si scompone -  troppo, d’accordo – ma è l’aggredito, non l’aggressore.  Fini (che poi gli darà anche del “cocainomane”)   lo invita a tacere. Allora  esplode il «vaffanculo». Ma non è insulto fine a se stesso, è partecipazione sui generis. Gianfranco non si offenda: la parolaccia viene da La Russa con amore, in fondo. Quanto a Formigli,  Ignazio ha  esagerato, ma il giornalista era inviato a provocare. Le pedate non si danno, lo si impara all’asilo, tuttavia scommettiamo che il cronista si è fregato le mani per la scenetta: tutto audience che cola.
Insomma, evviva  il contegno istituzionale, non sia mai che il ministro diventi un gerarca col vezzo d’esaltare lo schiaffo e il pugno. Ma, permettete, quando a Ignazio La Russa di professione ministro è uscito dalla bocca quell’esecrabile invito, per un attimo ci è sembrato di udire – nell’aula sorda e grigia -  qualcosa di destra. Francesco Borgonovo, Libero, 2 aprile 2011

…………….Finalmente, agigungeremmo, qualcosa di destra e ….di vivo. g.