Il Salone del Libro di Torino Noooo, Saviano nooo. Il guru anticamorra, il divo delle inchieste giornalistiche rigirate in romanzo mettetelo ovunque – in tv, negli editoriali di Repubblica, nelle giurie dei premi letterari. Ma nell’olimpo dei testi «fondativi» dell’Italia no. E invece oggi a Torino, in quello storico Lingotto che dalle utiliarie Fiat è passato ai libri, Roberto da Napoli s’è spaparanzato nel posto più ambito. Nella mostra «1861-2011. L’Italia dei libri» che disegna la biblioteca essenziale dello Stivale.

La faccenda funziona così. Nella rassegna sono stati inventati tre livelli. Diciamo dantescamente l’empireo, dove stanno i libri a un passo da Dio; il piano delle stelle fisse ovvero dei santi; gli altri cieli, che raccolgono gli angioletti di serie c. Ebbene, tra i 15 titoli eccelsi si è infilato «Gomorra». I «campioni» sono spalmati ciascuno su un decennio, con confini piuttosto labili e criteri non condivisibili (li hanno scelti prof, rappresentanti delle istituzioni e della filiera del libro). E allora eccoli qua sopra i «superautori»: Nievo, Collodi, De Amicis, Pascoli, Ungaretti, Svevo, Montale, Moravia, Primo Levi, Guareschi, Calvino, Gadda, Tomasi di Lampedusa, Eco e appunto Saviano.

Ohibò, e gli altri? Nel secondo livello, in un truppone di 150 nomi dove si cerca di fare ammenda e si infilano i libri che hanno contribuito a plasmare «il gusto e il costume». Ci hanno infilato, bontà loro, colossi che dovevano stare nella prima scelta: il Verga dei «Malavoglia» (1881) e «Canne al vento» della Deledda (1913); i «Lirici greci» tradotti nel 1940 da Quasimodo, e l’Eduardo di «Filumena Marturano» (1947). E Pirandello? E Marinetti? E D’Annunzio? Nel terzo livello, tra i quindici che hanno «formato l’identità italiana». Come dire: sono importanti sì, però i loro scritti stufano. Ergo, prendiamoli come bandiera ma senza osannarli. Già, osanniamo Saviano. A prescindere. Lo impone il pensiero unico. Sul piazzamento di Roberto c’è molto altro da dire. Pubblica «Gomorra» nel 2006; nella lista, prima di lui, c’è Eco, con «Il nome della rosa» datato 1980. Vuol dire che per 26 anni non spunta nessuno degno di nota? Che conta meno Sciascia, autore di inchieste e romanzi di denuncia? O, per voler rimanere nel territorio della sinistra, Antonio Tabucchi? Se poi ragioniamo in termini di vendite, il posto di Saviano toccherebbe a Camilleri. Ogni suo libro è un best seller (e ne scrive a iosa, non si sa come). E poi ha rilanciato il giallo italiano. Il fatto è che al Lingotto si è voluta fare la graduatoria ma senza osare, con la fissazione del politicamente corretto. Moravia è un mostro sacro, ma al suo posto ci doveva andare la moglie, Elsa Morante, con quel monumento che è «La storia». E non è più suggestivo, arcano, stimolante «Il deserto dei tartari» di Buzzati rispetto a «Il barone rampante» di Calvino? E perché non sistemare tra i primi quindici l’«Estetica» di Croce? O il Gobetti del manifesto «Intellettuali fascisti e antifascisti» e il Gramsci di «Lettere dal carcere»? Altro grande escluso, il futurismo: Marinetti è nel terzo elenco e di Palazzeschi si sceglie «Le sorelle Materassi» e non il futurista «Perelà uomo di fumo».

Ci sono poi delle assenze gravi: dimenticato Stefano D’Arrigo di «Orcynus Orca» così come Guido Morselli, che sconta ancora oggi l’oblio che lo portò a suicidarsi. Niet per l’universo magico di Alberto Savinio, idem per Elemire Zolla che urtò assai l’intellighentia di sinistra con «Eclisse dell’intellettuale». Vabbè, per lavarsi la coscienza il «catalogo» del Lingotto ha lanciato anche il giochino del «Pozzo degli esclusi» in cui i visitatori possono ripescare il volume a loro caro, nel puro stile delle gare tivvù. Invece Il Tempo chiama a raccolta i suoi lettori. Scegliete voi il libro del cuore, quello «fondamentale» e indicatelo da oggi al nostro sito www.iltempo.it. Per fare giustizia.Lidia LombardI, 12 MAGGIO 2011