De Benedetti, edi­tore d e la Repub­blica , ha soste­nuto che Berlu­sconi è morto a Milano. Il becchino della sini­stra, tessera numero uno del Pd, sintetizza la solita speranza che da diciott’anni anima l’op­posizione: vedere il fu­nerale, almeno politi­co, del Cavaliere. Nel frattempo loro hanno messo via in sequenza Occhetto, D’Alema, Fas­sino (resuscitato lunedì a Torino) Franceschini, oltre che Pro­di. A Bersani hanno già pre­so le misure, sarà l’ottavo cadavere dal 1994, anno d’inizio del­l­’antiberlusco­nismo. Una carneficina in­seguendo un sogno che, quelle poche volte che si è materializzato, o che stava per farlo, è sva­nito con sorprendente velocità. Accadde nella sciagurata ed effimera alleanza con la Lega, si è ripetuto con l’ingestibi­le vittoria dell’Ulivo di Prodi, ha abboccato con la speranza che il tradimento di Fini otte­nesse il suo scopo, si ri­pete ogni volta che la procura di Milano an­nuncia l’inchiesta del­l’anno.

Io invece credo che Berlusconi sia ancora vi­vo e vegeto. Chi mette sul suo conto tutto il brutto risultato di Mila­no non conosce le cose del Pdl milanese e nep­pure i milanesi i quali, se togliamo qualche fre­quentatore di salotto, se ne infischiano sia del ca­so Lassini (quello dei manifesti Br) che del­l’auto rubata forse sì o forse no dal giovane Pi­sapia amico dei terrori­sti e comunista non pen­tito. La verità è che qual­che cosa non è girato non tanto tra gli elettori (alcuni sì infastiditi ma più dall’ecopass che dai toni accesi) ma proprio dentro il partito.

Siamo sicuri che tutte le componenti hanno fatto possibile e impossi­bile per arrivare sul­l’obiettivo? Oppure qualcuno, den­tro tutto il cen­trodestra, nel segreto delle stanze e quin­di delle urne, ha fatto calcoli diversi da quel­li della Morat­ti? A questo punto mi augu­ro di sì. Perché in quelle stesse stanze si potreb­be ricostruire in silen­zio l’accordo che dia una possibilità concre­ta di vincere al ballottag­gio. La Moratti ieri ha fat­to la prima mossa, ha cambiato l’agenzia che le seguiva la comunica­zione, uno studio affer­mato riconducibile al­l’area ciellina, quella che a Milano fa capo al governatore della Lom­bardia Roberto Formi­goni. Speriamo che la co­sa non complichi anco­ra di più i già tesi rappor­ti tra Palazzo Marino e il Pirellone (leggi Expo) perché qui c’è da prova­re a vincere davvero, al­trimenti tutta la classe politica milanese, nes­suno escluso, passerà al­la storia per avere stupi­damente consegnato la città ai comunisti.  Il Giornale, 18 maggio 2011