Il presidente Berlusconi dopo aver taciuto per alcuni giorni dopo i risultati del primo turno di Milano e Napoli è nuovamente “sceso in campo” rilasciando interviste e dichiarazioni alle TV e ai canali di comunicazione on line.  Apriti cielo. Le opposizioni, con  a capo il ringalluzzito Bersan,  stanno gridando allo scandalo, non tanto per il merito, quanto per il fatto in sè. Naturalmente Bersani e i soliti grilli parlanti della sinistra non vorrebbero che Berlusconi parlasse e si strappano i capelli (quei pochi che a Bersani sono rimassti in testa…) lamentando la violazione delle regole democratiche. Incredibile. Quando la TV di Stato, pagata con i soldi pubblici, compresi quelli dei milioni  di elettori di centro destra, aggredisce il capo del governo e i leader del centro destra  con trasmissioni che sono la quintessenza della diffamazione e della calunnia, quando dai microfoni di Anno Zero, Ballarò, Che tempo che fa, i Santoro, i Floris, i Fazio, senza dimenticare la Dandini di Rai 3 e tanti altri ancora,  dedicano centinaia di ore all’insulto sistematico di Berlusconi, e all’aggressione violenza del centro destra, va tutto bene, allora si tratta di manifestazioni democratiche del pensiero….ora che è   Berlusconi parlare,  tutto il ciarpame vetero comunista sfodera la spada della par condicio e naturalmente arruola i tanti super partes che sono sempre e solo dalla loro parte. Per esempio il presidente della RAI,  il giornalista Garimberti che si dice sgomento e invoca l’intervento dei vari organismi di controllo per tappare la bocca a Berlusconi. Un gioco che tutti conoscono bene, un gioco sporco che non impedirà al centro destra e al suo leader di dire la propria.

Vi è poi un problema di merito. Cioè le interviste rilasciate da Berlusconi c’è chi sostiene (Giuliano Ferrara) che non siano utili, chi sostiene il contrario (Alessandro Sallusti). Dell’uno e dell’altro pubblichiamo qui di seguito le ragioni offrendole al giudizio e alle valutazioni dei cittadini. g.

Occupare i telegiornali è stato solo un autogol

Ho passato un bel pezzo della mia vita a difen­dere come potevo e sa­pevo Berlusconi, a cui ho sempre riconosciuto, in amicizia militante e mai servi­le, grandissimi meriti storici nel tentativo di tirare fuori l’Ita­lia dalla crisi della Repubblica e dalla rovina della giustizia, e una simpatia di tratto liberale e scanzonato senza eguali; e quando non ero d’accordo, è successo spesso, riprendevo forza ed energia dal modo di­sgustoso scelto dai suoi avver­sari per combatterlo. La mostri­ficazione, la teoria del nemico assoluto,l’orrore del guardoni­smo giornalistico, della faziosi­tà dispiegata, le accuse forsen­nate di stragismo, di mafia, ac­compagnate dalla totale resa al più sinistro spirito forcaiolo: questo mi è sempre bastato per dirmi senza problemi ber­lusconiano e per prendere il mio posto, costante negli anni, nella battaglia contro la deriva ideologica e di stile della sini­stra più scalcinata e ipocrita del mondo, prigioniera di una cultura demagogica che la di­vorava. Vorrei continuare la corsa, ma se la strada è quella dell’invadenza arrogante a reti unificate, del monologo che umilia gli interlocutori e gli elet­tori, del semplicismo e del ba­by talk arrangiato, sciatto, po­veramente regressivo, mi man­ca il fiato. Va bene che Enzo Biagi face­va i suoi show el­ettorali con Be­nigni per bastonare il Cav sotto elezioni quando era capo del­l’opposizione, ma quale esper­t­o impazzito di marketing poli­tico ha suggerito al premier di presentarsi in tutti i tg come un propagandista, di diminuire la sua autorità e credibilità di pre­sidente del Consiglio e di lea­der del partito di maggioranza relativa di una grande nazione occidentale con discorsi da bet­tola strapaesana? Chi gli ha consigliato di perdere all’istan­te i voti dei cattolici diocesani abbracciando a Milano, dove le intemerate leghiste più sprovvedute non hanno mai at­­tratto consensi, la crociata del­la lotta a zingaropoli o il truc­chetto del trasferimento in terra meneghina di al­cuni ministeri romani, subi­to contraddetto dal sindaco della Capitale? Che cosa può portare il capo di una classe dirigente che dovrebbe pun­tare su libertà e responsabili­tà ad avallare, dopo la magra figura dell’attacco ad perso­nam a Pisapia, e senza le do­vute scuse, l’idea che la vitto­ria dell’avversario nella lotta per il Municipio porterebbe terrorismo e bandiere rosse a Palazzo Marino? Perché farsi del male con parole d’ordine primitive, giocando irrespon­sabilmente la carta dei cosid­detti «valori conservatori» in una offensiva lanciata da gen­te di governo contro «gay e drogati», una caricatura del motto Dio-patria-e-fami­glia, quando quella carta è sempre stata pudicamente scartata quando si doveva giocarla con sensibilità e in­telligenza nelle occasioni giu­ste e per motivi giusti? Spero che la Moratti vinca e che Pisapia perda il ballot­taggio, per ovvie e argomen­ta­te ragioni politiche e ammi­nistrative che si stanno per­dendo nei fumi sulfurei di un incendio ideologico senza senso. Ma intanto non voglio che Berlusconi perda la fac­cia nella contesa, che il suo comprensibile radicalismo politico, il suo accento popo­lare e diretto nel linguaggio, diventino un incattivito vani­loquio della disperazione. Non lo merita lui e non lo me­ritano coloro che si sono bat­tuti e si battono per ciò che lui ha rappresentato. Ero in­curiosito dal suo silenzio pro­lungato, dopo il primo turno elettorale, mi auguravo fosse indizio di un ripensamento dopo l’ozio della ragione di questi ultimi tempi, e i vizi e le sconfitte che quell’ozio ha generato. Chiunque conosca Berlusconi e la storia del ber­lusconismo sa quel che man­ca a questo punto della para­bola: mancano la sicurezza di sé, un minimo di ottimi­smo, la capacità originaria di sfidare le convenzioni, di fa­re cose nuove e liberali, di smascherare le ipocrisie al­trui, di parlare pianamente e urbanamente anche il lin­guaggio più irriducibile e aspro, manca il gentile «mi consenta», manca il Berlu­sconi ilare e sapido che rom­pe il monopolio dell’informa­zione, che disintegra ogni for­ma di conformismo, che spiazza e interloquisce con la società italiana alla sua ma­niera originaria. Vedo in questa deriva la vit­toria dell’avversario di tutti questi anni, e di quello più in­carognito e miserabile. Farsi simili alla caricatura che il ne­mico fa di te è il peggiore erro­re possibile per un leader po­litico. È l’errore che può ca­gionare «l’ultima ruina sua», che lo isola con le tifoserie, che ne avvilisce l’indipen­denza intellettuale e di tono, la credibilità personale. GIULIANO FERRARA

Invece ha fatto bene Senza Silvio i rivali in tv segnano a porta vuota

Giuliano Ferrara si po­ne una domanda fon­data, la stessa che di­versi lettori-elettori si fanno in queste ore di grande tensione politica. E cioè: fa bene oppure no Berlusconi ad alzare i toni del­lo scontro con gli avversari, ad usare la tv in modo massiccio, offrendo così il fianco alle criti­che? Ferrara, argomentando, giunge alla sofferta conclusio­ne che il Cavaliere sta sbaglian­do, malconsigliato, a fare quel­lo che fa. Invidio l’intelligenza e l’acu­tezza politica di Ferrara. Il ma­laugurato giorno che Vittorio Feltri lasciò questo giornale, l’editore mi chiese se avevo bi­s­ogno di qualche cosa per sen­tirmi più tranquillo. Io risposi senza pensarci due volte: Giu­liano Ferrara. Sono stato ac­contentato e sono certo di aver fatto un regalo ai lettori. Giuliano è esattamente co­me Berlusconi, non si può prenderne solo un pezzo, quel­lo che di volta in volta più pia­ce. Come tutti gli uomini liberi è un personaggio scomodo, in­gombrante, non divisibile. Le analisi di Ferrara non so­no mai banali o scontate, il che non vuol dire che per for­za debbano essere sottoscritte a prescindere. Di quella che pubblichiamo oggi mi lascia­no perplesso un paio di cose. Per esempio che Berlusconi agisca su consiglio di qualcu­no. L’uomo conosce il premier meglio e più di quanto lo cono­sca io, e quindi mi sorprende come possa immaginare che segua i consigli di chicchessia. A me sembra che Berlusconi, da sempre, ascolti tutti, ma poi decida di testa sua. Pensar­lo in balia di presunti falchi, co­me fanno alcuni uomini mo­desti della sua corte e i giornali dell’opposizione, è semplice­mente ridicolo, funzionale a squallide faide interne al parti­to. Se Berlusconi ha deciso di continuare la campagna elet­torale sulla linea dura, dun­que, è soltanto farina del suo sacco. Avrà i suoi motivi per farlo e fino a ora l’ha sempre azzecca­ta, con grande beneficio an­che per i cortigiani ora impau­riti dall’ipotesi di una prima sconfitta. I quali motivi, peral­tro, non mi sembrano poi co­sì misteriosi o complicati. Prendiamo le contestate ap­parizioni tv dell’altra sera.Ec­cessive? Forse. Di certo l’op­posizione non ha questa ne­cessità, avendo gratuitamen­te spazi enormi e compiacen­ti dentro trasmissioni eletto­rali­mascherate da contenito­ri di giornalismo indipenden­te. Gli spot di Bersani e Pisa­pia si chiamano Ballarò , An­nozero , Che tempo che fa ecce­tera eccetera. Sono spot che durano più di qualche minu­to, siamo alla pubblicità in­gannevole mandata in onda con la complicità dell’Ordine dei giornalisti. Come si fa a riequilibrare una simile ingiustizia? Of­frendo l’altra guancia, oppu­re reclamando con forza prendendosi, là dove possibi­le, ciò che la malafede ha tol­to? Io penso che Berlusconi bene faccia a scegliere la se­conda via perché altrimenti a furia di arretrare e tacere la si­n­istra si prenderà davvero tut­to. Faccio un piccolo esem­pio personale. Ieri sono stato a ritirare il premio di Giornali­smo Hemingway, forse il più prestigioso riconoscimento alla nostra professione. Una giuria evidentemente di paz­zi l’­ha assegnato a maggioran­za al Giornale per le sue batta­glie dell’ultimo anno. Bene, per protesta, La Repubblica e il Corriere hanno ritirato, fat­to senza precedenti, i loro giu­rati, perché il giornalismo non di sinistra non può e non deve avere diritto di cittadi­nanza, tantomeno di premio. Di fronte a questo dovrem­mo tacere o denunciare l’ipo­crisia di quell’evidentemen­te falso difensore della libertà di stampa, ex comunista ma­scherato da sincero democra­tico di Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere , già pe­raltro punito dai suoi lettori che lo stanno abbandonan­do in percentuali a due cifre? E se scriviamo questo, oggi il suddetto sincero paladino dell’indipendenza dei giorna­li dai propri editori a chi tele­fonerà, come gli è uso, per protestare e minacciare sfra­celli? No, caro maestro Ferrara, siamo circondati da mascal­zoni, alcuni dichiarati (i me­no peggio), altri camuffati da persone per bene. Non meritano di essere ricambia­ti con una moneta diversa da quella che usano loro. Il fatto che tu possa scrivere ciò che davvero credi è la prova che il Giornale ha tito­lo per ottenere il premio He­mingway. E per dire ciò che pensa sempre. Se poi alla Moratti (o a Maurizio Lupi) non piace, pazienza. Che pensino a vincere le elezio­ni, che è il loro mestiere, non il nostro. ALESSANDRO SALLUSTI