Se lo chiede provocatoriamente Francesco Damato sul Tempo di questa mattina. Se lo chiede Damato  spiegando che una vittoria a Milano e  a Napoli, nonostante tutte le deficienze (chiamiamarle così è solo un eufemismo!) del PDL e del centro destra, potrebbe indurre Berlusconi e lo stato maggiiore del PDL a lasciare stare tutto come sta, visto che comunque si è vinto. Invece, se si perdesse, la sconfitta costringerebbe Berlusconi a porre mano al riassetto del partito prima che imploda, trascinando nella caduta tutto e tutti. Come e peggio dei partiti della prima repubblica. Messa così, c’è davvero da chiedesi se la sconfitta non possa essere  nel lungo raggio molto meglio della vittoria. Perchè una  sconfitta potrebbe trasformarsi per il centro destra per il necessario propellente atomico per riprendere a correre. Ovviamente c’è da sempre da mettere in conto l’ipotesi che la sconfitta apra la strada al baratro. Ma, come disse Eleonor Roosvelt al marito sconvolto dalla notizia dell’attacco giappponese a Pearl Harbour : “è meglio conoscere il peggio che vivere nell’incertezza”. g.

La stretta di mano tra il sindaco di Milano uscente Letizia Moratti (S) e lo sfidante di centrosinistra Giuliano Pisapia Le condizioni di salute dei maggiori partiti e delle rispettive coalizioni sono tali che conviene loro più perdere che vincere i ballottaggi di domenica prossima a Milano e a Napoli. Vi sembrerà un discorso da matto, direbbe Umberto Bossi, questa volta senza bisogno di ritrattare, come ha fatto nei giorni scorsi parlando di Giuliano Pisapia, ma non lo è per niente. È soltanto l’effetto paradossale di una situazione assurda.
Se a Letizia Moratti dovesse riuscire il miracolo di rovesciare il risultato negativo del primo turno, si toglierebbe di certo la soddisfazione di rimanere sindaco all’ombra della Madonnina. Ma Berlusconi potrebbe essere preso dall’insana tentazione di ritenere che, tutto sommato, il suo partito e la coalizione di centrodestra possano rimanere come sono. E invece il Pdl ha bisogno di essere rivoltato come un guanto. Solo qualche giorno fa il suo capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto lo ha così descritto a La Stampa: “Al suo interno ha 10 minipartiti e manca di una compiuta vita democratica, col risultato che personalità e gruppi si prendono la libertà di assumere iniziative autonome alimentando un senso di caos”. Più crudo ed onesto non poteva essere. Non parliamo poi delle tentazioni che potrebbe avere Bossi, con quella stravagante guerra che ha voluto aprire nel centrodestra sui traslochi dei Ministeri. Se riuscisse invece al bertinottiano Pisapia il colpo di vincere anche il secondo turno, Pier Luigi Bersani sarebbe condannato alla vittoria più effimera per il proprio partito, il Pd, destinato a subire in breve tempo a livello nazionale l’opa di Nichi Vendola. Che allontanerebbe ancora di più la sinistra da un approdo riformista e moderno.
A Napoli una vittoria di Gianni Lettieri potrebbe allontanare da Berlusconi la consapevolezza dello stato penoso del suo partito anche in Campania, dimostrato dal fatto stesso di non avere potuto o saputo vincere al primo turno una partita che più compromessa non poteva essere per gli avversari, dopo le prove semplicemente fallimentari del sindaco uscente Rosa Russo Iervolino.
Una vittoria dell’ex magistrato dipietrista Luigi de Magistris consacrerebbe invece la riduzione del Pd a ruota di scorta di uno schieramento informe, protestatario e giustizialista, con il quale esso non ha potuto neppure tentare l’apparentamento, non essendone stato considerato degno. Bell’impresa davvero. Un partito serio dovrebbe semplicemente vergognarsi. E non essere invece contento di finire anch’esso nella spazzatura inevasa, l’unica cosa purtroppo della quale abbonda Napoli dopo tanti anni di amministrazione di centrosinistra.

Stupisce solo che a condividere la masochistica soddisfazione di Bersani, peraltro espressa a prescindere dal risultato del ballottaggio, sia nel Pd napoletano anche un riformista come Umberto Ranieri. Al quale giustamente Emanuele Macaluso ha rimproverato di non sentire neppure il bisogno di turarsi il naso, come Indro Montanelli raccomandava di fare votando Dc. Ed era la Dc. Francesco Damato, il Tempo, 24 maggio 2011