Spero che a Milano e a Na­poli vincano i candidati di Berlusconi e di Bossi. C’è un’aria mefitica nella poli­tica italiana, da regolamento di conti. Nonostante gli errori ma­dornali del centrodestra, anche ma non solo in campagna eletto­rale amministrativa, gli italiani do­vrebbero pensarci due volte pri­ma di premiare i modi disgustosi dei faziosi che considerano Berlu­sconi il «nemico assoluto».Il grup­po Repubblica, padrone ideologi­co delle opposizioni, e il partito mediatico-giudiziario, testa d’ariete dell’aggressione al pre­mier, hanno fatto di tutto per im­pedire il regolare funzionamento delle istituzioni, e gridano al tradi­mento delle istituzioni; hanno get­tato fango ogni giorno su chi ha il mandato a governare, e gridano contro la macchina del fango; hanno tentato di paralizzare il pa­ese, e ne denunciano il declino ad­dossandone la responsabilità a un regime che non è mai esistito; hanno organizzato un blocco di tutti gli interessi corporativi, e pro­testano contro la promessa tradi­ta­di una riforma liberale dell’eco­nomia; si sono messi sotto i piedi la giustizia, e si atteggiano a paladi­ni della legalità. La loro linea è roz­za ma può risultare efficace: è il ro­vesciamento di tutte le frittate.

Pisapia e De Magistris sono ma­schere in commedia, e Pisapia è il costume di scena di una recita gentile e perbene. Ma tutti sanno che i due candidati in ballottaggio contro il populismo democratico di Berlusconi e della Lega, in no­me di coalizioni ispirate a un in­certo populismo borghese e a un pericoloso ribellismo forcaiolo, non sono espressione di un’alter­na­tiva di governo seria e responsa­bile. A Bologna e a Torino hanno vinto i candidati di un Partito de­mocratico vecchio stile, un’oppo­sizione legittima nei modi e nelle politiche. La vocazione propria, o imposta, ai candidati di Milano e Napoli è un’altra: è il programma di liberazione del Paese da ciò che ha storicamente rappresentato la formazione di un centrodestra di governo e di movimento, è la gran­de avventura senza sbocco del TTB, tutti tranne Berlusconi.

Per raggiungere questo obietti­vo non è stato risparmiato un solo colpo, e la risorsa decisiva di car­tucce come sempre l’ha fornita lo spirito arrogante e giustizialista dei Pm che fanno comizi in piaz­za, eleggono i calunniatori profes­sionali a «icona dell’antimafia», propalano la leggenda nera di un potere criminale che trasforma in reato tutto ciò che tocca. Per loro Dominique Strauss-Kahn è un eroe filosofico tutto da capire, e il suo caso mostra la faccia cattiva della giustizia americana, mentre Berlusconi è per definizione Bar­bablù, anche se contro di lui non c’è altro che una serie di cene scol­lacciate in stile Drive In, spiate e propalate in una brutale violazio­ne­della legge e della privacy da si­stema giudiziario borbonico.

Un imprenditore al governo è un’anomalia,ma Berlusconi ci ha dato il maggioritario, la riforma del mercato del lavoro, i conti a po­sto in una situazione «alla greca», una buona legge dell’istruzione pubblica per riparare le disenna­tezze dei pedagoghi e dei baroni di sinistra, e una trasformazione delle basi della politica di cui c’era bisogno in tempi di assalto giusti­zialista all’autonomia e alla so­stanza della democrazia elettiva. Il suo bilancio, nel Paese classico dell’ingovernabilità, è largamen­te deficitario, ma è un bilancio. Mentre non si può chiamare bi­lancio quel che non hanno fatto in nove anni di governo (Dini, Pro­di I, D’Alema,Amato,Prodi II) i ca­pi dell’Ulivo, sempre in lotta tra lo­ro, lobby contro lobby. In caso di sconfitta, per una vol­ta confermando la diagnosi di Nonno Scalfari («Non è il tipo che se ne va»), Berlusconi ha detto che non se ne andrà e continuerà a battersi. Vedremo come. Vedre­mo se con una maggiore consape­volezza del fatto che la posta in gio­co per il Paese è alta, e il margine di errore si è paurosamente assot­tigliato. Vedremo se con una au­spicabile operazione verità, fon­data sui canoni migliori del berlu­sconismo e della sua ormai quasi ventennale tradizione politica, scenica, psicologica e umana. Quel che è sicuro è che al termine della legislatura, quando non sa­ranno più gli arcobaleni di Pisa­pia e le piazzate narcisistiche del Pm d’assalto a brillare davanti agli elettori, ma servirà una coali­zione politica diversa dalla muta ringhiosa di giornalisti e di lobbi­sti, le opposizioni dovranno tro­varne una seria, di alternativa, se vorranno prevalere secondo le re­gole del gioco. Il TTB non basterà. Giuliano FERRARA, Il Giornale, 29 maggio 2011