Abbiamo liberato Napoli e Milano, urlano i leader della sinistra dopo la vit­toria elettorale di ieri. A parte che Napoli era governata anche prima dalla sinistra, cioè da loro stessi sotto altre spoglie (Iervolino, Bassolino) per cui al massimo si può parlare di rego­lamento di conti interno, in effet­ti a Milano qualche cosa è suc­cesso. Una parte di moderati, non andando a votare, ha deci­so di dare il via libera a un sinda­co rifondatore comunista, Pisa­pia, già amico di terroristi prima e centri sociali poi. Nonostante esperti politologi, raffinati socio­logi e anche qualche immanca­bile teologo ci abbiano spiegato negli ultimi quindici giorni, e lo faranno ancor più oggi e nei prossimi, come tutto questo ab­bia un senso profondo e fonda­mentale per i destini del Paese, noi continuiamo a non capire e a ritenerlo più semplicemente una grande, enorme stronzata. Confortati in questo giudizio dalla prima dichiarazione di Vendola, padrino di Pisapia, sul­la vittoria di Milano: «Abbiamo liberato la città, ringraziamo i fratelli rom». Ma parla per te, gli sfruttatori di bambini e scippato­ri di vecchiette saranno fratelli tuoi, io resto dell’idea che prima li mandiamo via dalle nostre cit­tà meglio è per tutti.

Per questo credo che il centro­destra non debba cadere nella depressione da sconfitta. Dai grandi imperatori alle grandi ci­viltà, giù giù fino alla squadra di calcio è capitato a tutti di perde­re battaglie o a volte guerre. Se i milanesi hanno deciso così alla fine saranno anche affari loro. Quello che non si capisce è dove era il nemico. Possono essere Pi­sapia, Vendola, De Magistris, delle alternative al blocco mode­rato che da anni governa il Pae­se? La risposta è, ovviamente, no, non possono esserlo, né è pensabile che la maggioranza degli italiani stia dalla parte dei magistrati che ieri hanno inda­gato il presidente del Consiglio per le interviste rilasciate ai tg di Rai e Mediaset, ultimo atto di una farsa giudiziaria ormai sen­za fondo.

Evidentemente il problema sta soltanto nella maggioranza di governo, ha generato stan­ch­ezza e quindi mancanza di en­tusiasmo nel suo elettorato, in al­cuni casi attratto, come capita ai mariti annoiati, dalla mignotta di turno camuffata da dama raffi­nata. Dalla scappatella al divor­zio la strada è lunga, non mi uni­sco al coro di chi tira conclusio­ni a mio avviso affrettate e in al­cuni casi ingenerose. Il berlusco­nismo è finito? Prima o poi fini­sce tutto, anche il mondo. Il pro­blema non è questo, semmai questo è il tarlo di chi vuole pren­dere il posto del Cavaliere subi­to e possibilmente senza contar­si. La sola domanda che mi inte­ressa è: il berlusconismo può fa­re ancora qualche cosa per noi meglio e più di altri. Se la rispo­sta è sì, avanti senza paura che gli incidenti si superano, se è no non fasciamoci la testa perché cambiare sarebbe inevitabile ol­tre che giusto.

Io credo che la risposta corret­ta sia la prima, ma invito gli ami­ci del Pdl a non trasformarla ra­pidamente in quella sbagliata. Come? Riducendo il berlusconi­smo a quello che non è e che non può essere, cioè un partito regolato da norme rigide e statu­­tarie, da riti pazzeschi e assem­blee interminabili. Il berlusconi­smo è l’unica antipolitica appli­cabile a un sistema, tale è stato e tale deve rimanere. Per correg­gere i suoi eccessi e le sue bizzar­rie non servono elezioni prima­rie, alla gente non interessa se i coordinatori debbano essere uno, tre o cinque. Basta un capo che se ne occupi e un po’ di buon senso. Più che a rifare il Pdl, i leader del partito pensino a fare bene i ministri, i governa­tori, i sindaci quali molti di essi sono. Credo che ciò sarebbe suf­ficiente a evitare il ripetersi di un nuovo caso Milano. Cioè, me­no chiacchiere e più fatti.