Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi Troppo presto. Ho la netta impressione che i cari nemici del Cav stiano per ricevere da Crono una solenne fregatura. Dopo il crollo di Milano sorridono mostrando denti da squalo. Parlano con il ghigno di chi vede imminente il cambio di ogni pezzullo dell’inesistente mosaico del potere berlusconiano. Si legge nei loro occhi l’ansia di punizione e il progetto di epurazione e rieducazione, la voglia compulsiva di indicare l’espiazione per i colpevoli del regime. Basta leggere, ascoltare, vedere, incontrare qualcuno degli alfieri della Nuova Era per comprendere che questa è la nuova Utopia. Non faranno molta strada. Sì, forse vinceranno ancora qualche partitaccia e giocheranno anche qualche tiro mancino con l’arma impropria, perfino le elezioni del 2013 possono incassare e forse raggiungeranno l’acme del godimento nel vedere il Cav finire nella polvere, maxi multato, condannato e magari in esilio come Bettino Craxi. Forse riusciranno a fare un plasticone di piazzale Loreto, forse compileranno temutissime liste di proscrizione, forse democraticamente e pacatamente si preoccuperanno di assicurare un finto spazio di dissenso a destra, giusto una fiammella in mezzo al grandioso Istituto Luce Progressista di cui abbiamo già visto le opere di celluloide durante il regno prodiano. Forse riusciranno a fare tutto questo. Forse. Perché il berlusconismo non è finito. Forse. Non è ancora tutto da rinchiudere in una brutta valigia da sbattere in soffitta. Forse. Sì, cari nemici del Cav, forse è troppo presto.

Sentono la vittoria in tasca e presumono troppo. In anticipo. Sentono l’odore del sangue della preda, ma non colgono il rischio di ricevere un colpo di coda della maggioranza silenziosa che sta alla finestra, ama un po’ meno questo Berlusconi – forse ne attende un altro – ma non ha dimenticato di che pasta sono fatti gli altri incompiuti della storia. Ah, certo, loro se ne infischiano perché già vivono nel «post». Post-it. Post-Berlusconi. Post-berlusconismo. Post-Pdl. Post-fango. Post-bavaglio. Post-Arcore. Post-tutto. Massì, il Cavaliere ha preso una colossale botta, cribbio. Ma attenzione perché le vie della politica sono infinite. Se si fa di nuovo politica. Certo, dovrebbe capirlo per primo lui, Silvio, e non è detto che vi riesca e abbia voglia di ascoltare qualche temerario ma onesto, disinteressato e amichevole consiglio. Per questo ha bisogno non dei bisbigli dei cortigiani, ma di un paio di sonori schiaffoni per rimettersi in pista. Giuliano Ferrara s’è messo in testa di fare la festa “al nostro idolo infranto” e ovviamente noi ci stiamo, cribbio. È da mesi che consumiamo inchiostro per dire a Berlusconi che no, accidentaccio così non si va lontano, che il muro di titanio fa male al cranio, che serve altro, che le facce feroci non sono belle da vedere, che i penultimatum sono falò, che la sua macchiettizzazione si nutre dei suoi errori, dei suoi videomessaggi zdanovisti, che non si conduce un partito come una bocciofila, che non si dà il Gerovital a Prodi con ingenui scivoloni, che nei comizi si fanno discorsi politici con l’idea, il sogno e il sorriso e non interrogazioni a risposta guidata, che bisogna rifare il leader e il partito, lanciare le elezioni primarie nel centrodestra e parlare di rivoluzione conservatrice. A partire dall’economia e dal desiderio di un fisco dal volto umano e uno Stato inflessibile ma mite.

Bene, ora che tutti gli avvertimenti sono stati inutili, ora che le truppe cominciano a guardarsi intorno per trovar riparo dal diluvio, ora che il motto «io non sono mai stato berlusconiano» comincia a circolare nelle stanze dei bottoni, ora è il momento del sorriso e dell’invettiva, del ragionamento e del coup de théâtre, dell’orgogliosa rivendicazione della storia e dell’identità, dell’adunata dei «servi liberi e forti» di ferrariano conio. Ribaltamento del senso e sberleffo supremo a quelli che praticano il feudalesimo intellettuale e pretendono di applicarlo anche a noi. E se il Cav non si sveglia, pazienza, perché c’è lo stesso un Belpaese che non dorme e sa che è propria questa l’ora migliore per continuare a ribaltare le architetture ideali dei furfanti del politicamente corretto e la dissacrazione dei totem del Progresso Imminente. Se il Cav non si sveglia, noi ci proviamo lo stesso mercoledì prossimo a Roma, al Teatro Capranica, a dirgli che scorrono i titoli di coda ma non è troppo tardi per cambiare sceneggiatura e far finire la torta in faccia a chi ha vinto troppo presto. Mario Sechi, Il Tempo, 3 giugno 2011

.…….. Sechi che ha rotto gli argini e ha denunciato quel che dietro le parole si  pensa di intravedere intorno al PDL e a Berlusconi. Che forse  è quel che accade sempre alla fine di una stagione politica e cioè il riposizionamento di quanti sono pronti a mutar bandiera. E’ sempre accaduto e la Storia che è maestra di vita è lì a rammentarcelo. Per stare alla nostra di Storia e alla seconda metà del secolo scorso,  sono sufficienti due esempi. All’indomani della caduta del Fascismo e di Mussolini, la mattina del 26 luglio del 1943, le strade d’Italia si ritrovarono cosparse di milioni di “cimici” come venivano chiamati i distintivi del PNF che la quasi totalità degli italiani portavano all’occhiello della giacca per fregiarsene orgogliosamente e che poche ore dopo la fine del fascismo si affrettarono a buttar via, simbolico passaggio all’altra parte.   Ricordiamo  a questo proposito un episodio che ci fu raccontato  da chi c’era quella mattina. Un signore di Bari, sfollato a Turi, si recava alla stazione pe prendere il treno per Bari ed era ancora all’oscuro della decisione del Gran Consiglio e della caduta del Duce. Percorrendo la strada intrevide molti disitntivi del PNF gettati per terra e tra questi uno d’oro che era quello riservato ai gerarchi. Lo raccolse e se lo infilò  sveltamente e orgogliosamente all’occhiello della giacca. Ma gli bastò giungere in stazione per apprendere quel che era accaduto nella notte a Roma e  altrettanto sveltamente a  liberarsi dello scomodo istintivo. E saltiamo al 1994. All’indomani della tragica stagione di Tangentopoli neppure uno dei milioni di italiani che avevano votato per i partiti della prima repubblica spazzati via  da Tangentopoli ricordavano di aver votato e sostenuto quei partiti e la loro classe dirigente. Sta per accadere ancora? A leggere quel che scrive Sechi parrebbe di si e parrebbe che sia già in atto. Forse. Ma ha anche  ragione Sechi quando avverte che non tutti i giochi sono conclusi e non tutto ciò che appare davvero si verificherà. Ma se accadesse sarebbe una catastrofe per la democrazia e la libertà del nostro vivere quotidiano per come sinora le abbiamo conosciute e praticate. Speriamo che Sechi si sbagli e che i moderati italiani non abbiano a rimpiangere  quel che è stato. g.