Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nei giardini del Quirinale  in una foto d'archicio La politica non è una scienza esatta, ma in gran parte delle sue manifestazioni è misurabile, verificabile, prevedibile e, naturalmente, variamente interpretabile. La sua lettura però nel medio-lungo periodo non può essere arbitraria perché alla fine i fenomeni in divenire si compiono e diventano, appunto, misurabili. Ho più volte espresso sul nostro giornale – con i miei editoriali e gli interventi dei commentatori – forti dubbi sulla sgangherata campagna elettorale per le amministrative e sul poco coraggio messo in campo in quella referendaria. La prima interpretazione di un fatto in divenire è diventata misurabile con il risultato elettorale di Milano e Napoli. Subito dopo ho spiegato che non si poteva ridurre una sconfitta simile a un fatto episodico e che quel voto era solo la punta di un iceberg che nella parte sommersa si stava allargando a dismisura, stava diventando una tendenza politica. Ho cercato di spiegare queste cose nei giorni subito dopo il voto e nel mio intervento alla riunione del Teatro Capranica a Roma, promossa da Giuliano Ferrara qualche giorno fa. Ovviamente le mie analisi sono apparse “eretiche” ai realisti più realisti del re che s’affaccendano nel Pdl e forse persino a Berlusconi, che un tempo avrebbe partecipato a quell’happening raccogliendo la sfida, mettendosi in gioco e cavalcando un “Tea Party” che ora, con lui o senza di lui, prenderà vita contro le oligarchie inamovibili e irresponsabili del suo partito. Mi dispiace, ma non posso farci niente. Il mio mestiere è quello di far buon giornalismo e analisi politica, piaccia o meno. Con l’avvicinarsi del voto referendario su questo giornale abbiamo messo in evidenza l’assenza di un messaggio chiaro da parte del centrodestra sulla consultazione popolare, la scarsità di argomentazioni da contrapporre a chi vota sì, la poca lungimiranza di una posizione imbelle su temi di così grande importanza (energia, liberazione dal socialismo municipale, più mercato e meno Stato), cioè l’essenza stessa di un programma politico liberal-conservatore. Segnali di reazione dal centrodestra? Non pervenuti, come la temperatura di Bucarest in tv durante gli anni Settanta.

Così, nel silenzio e nell’ignavia, si è giunti al voto. I dati indicano che il raggiungimento del quorum è una possibilità concreta. Attendiamo oggi l’esito finale. Ma in ogni caso, quorum o meno, siamo di fronte a un problema che non è più eludibile: la spinta propulsiva del berlusconismo si sta esaurendo. Lo scrivo ben conoscendo il fenomeno, avendolo raccontato e studiato nei dettagli fin dall’inizio e condividendo i suoi non pochi aspetti innovativi che hanno cambiato il nostro scenario politico. Senza Berlusconi non avremmo mai avuto l’alternanza di governo, il programma e il patto con gli elettori, la misurazione del feeling tra maggioranza e Paese attraverso i sondaggi, il rapporto stretto tra audience e consenso, la sottoposizione del conflitto di interessi alla sanzione del voto popolare, la rottura dell’oligopolio del governo a favore di un establishment eterno, la nascita di un movimento di massa che ha impedito ai postcomunisti di salire al potere proprio mentre sulle loro teste crollava il Muro di Berlino, un paradosso storico evitato grazie al Cav, il racconto e la narrazione di un’alternativa al modello di cogoverno Dc/Pci – ma con la conventio ad excludendum contro i comunisti – basato sulla competizione di visioni differenti del mondo. Credetemi, si tratta di un record straordinario di fatti che hanno permesso al Cavaliere di stare in sella per un ciclo politico lunghissimo, diciassette anni, oggi il più lungo in Occidente. Dopo la caduta di Milano e Napoli, un quorum centrato e una strabordante vittoria dei Sì sarebbe un colpo enorme sul governo. Proveranno a minimizzare, a dire che non cambia nulla e va tutto bene madama la marchesa. Errore già fatto per le amministrative. Nascondere la sabbia sotto il tappeto non serve a niente. E non serve a niente, perfino in caso di flop del quorum, tirare a campare dicendo che così non si tirano le cuoia, perché in realtà le cuoia si tirano lo stesso, ma con una lenta e dolorosa agonia che porterà dritta all’implosione del centrodestra e a una crisi paragonabile a quella dei conservatori inglesi, i quali dopo aver perso la guida di Margareth Thatcher si ritrovarono ad affrontare una traversata nel deserto lunga quindici anni prima di scoprire un nuovo giovane leader, David Cameron. Oggi tutto questo, in assenza di una correzione di rotta da parte di Berlusconi, intuizioni innovative, riforme radicali e coraggio, è alle porte. Visioni? No, perché anche questa previsione, da oggi comincerà a essere misurabile.  Mario Sechi, Il Tempo, 13/06/2011

…..Crudo al di là del limite, ma realistico l’editoriale di Mario Sechi mentre non si conosce ma si prevede il raggiungimento del quorum ai referendum indetti da Di Pietro, cui, specie per quelli sull’acqua, si sono accodati i pieddini, nonostante sia stato il governo Prodi e lo stesso Bersani, ministro dello sviluppo, a mettere i primi paletti verso la liberalizzazione del mercato e la privatizzazione della gestione dell’acqua. Ha ragione Sechi quando scrive che il centro destra e il PDL sono apparsi, anzi lo sono stati, incapaci di assumere posizioni chiare e univoche sui referendum, cogliendo l’occasione per essere liberisti piuttosto che solo dirsi tali. E sopratutto essere univoci pittosto che andare in ordine sparso come invece è accaduto, creando non poche perplessità fra gli elettori.  A Roma, la governatrice del Lazio, la ex sconosciuta signora Polverini che andava in TV, a Ballarò, e raccoglieva le simpatie della sinistra militante per le ovvietà che diceva con incredibile seriosità, deve a Berlusconi, solo a Berlusconi, se si ritrova issata sulla poltrona di presidente del Lazio. Se Berlusconi non fosse sceso in campo l’anno scorso per sostenerla oggi al suo posto si troverebbe la signora Bonino della quale non condividiamo alcunchè ma di certo vale 1000  Polverini. Ebbene la signora Polverini  si è vantata di aver votato si per l’abrogazione di leggi varate dal governo di centro destra. Poveri noi! E a Bari stamattina la Gazzetta del Mezzogiorno pubblica la foto del presidente della Provincia, Schittulli, per il quale vale lo stesso discorso della Polverini che ha votato tre si perchè “uomo libero”. Se migliaia e migliaia di elettori di centro destra avessero saputo due anni fa che costui li avrebbe traditi come fa dal primo giorno, mai e poi mai lo avrebbero votato, lasciandolo al suo ruolo di “uomo libero” nel limbo nel quale era vissuto nei suoi primi 60 anni. Anche a sinistra, segnatamente nel PD, tantissimi non hanno condiviso la scelta della dirigenza del PD di accodarsi a Di Pietro, lo abbiamo detto, sopratutto per i quesiti sull’acqua. Ma nessuno, pubblicamente, si è dissociato, attendendo, semmai l’esito, per farne oggetto di dicussione interna. E’ quel che avviene nei partiti, aggiungeremmo seri. Nel PDL invece pare di essere in una torre di babele dove ciascuno fa i propri comodi in ragione dei propri interessi. E ciò non può che provocare quel che teme,  sino a prevederlo Sechi, cioè l’implosione di un partito che ha dimenticato le ragioni per cui è nato e per cui ha ricevuto, nelle diverse sue forme, il voto, il sostegno,  l’appassionata adesione di milioni di italiani. Milioni di italiani, ben oltre la metà del popolo, avevano visto realizzato un sogno antico, una sola grande forza politica capace di riunione sotto una sola Bandiera i moderati italiani. E’ questo sogno che rischia di infrangersi sugli scogli  delle beghe, delle ripicche, dei piccoli e squallidi interessi personali  di una classe dirigente che salvo pochi non ha  a cuore l’Italia e i moderati, ma solo se stessa. Comunque vada l’esito dei referendum ciò che si chiede a Berlusconi in questa ultima fase, purtroppo decadente, della sua stella, è di riuscire a cacciare i mercanti dal tempio e tentare di realizzare un ultimo grande obiettivo che gli varebbe la gratitudine e il ricordo della storia: salvare il partito dei moderati   capace di resistere oltre lui. Le possibilità sono poche ma gli tocca tentare. g.