Roma – Otto ore di dibattito, ma nessun voto. Neanche per il passaggio a Montecitorio per il secondo tempo della verifica parlamentare sul governo chiesta dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dopo l’allargamento dell’esecutivo con i nuovi sottosegretari. L’opposizione “divisa e senza leader ” come l’ha definita Berlusconi decide di non presentare un documento su cui votare, scottata dai 317 sì raccolti ieri dall’esecutivo e dall’atteggiamento della Lega, compatta con il governo.

“Il voto di fiducia di ieri sul dl sviluppo ha dato un’indicazione molto positiva” dice Berlusconi intervenendo alla Camera. “La coalizione di centrodestra ha raggiunto quota 317, ora è maggioranza assoluta alla Camera” afferma il presidente del Consiglio riferendosi appunto alla votazione di ieri. “Questo significa che la maggioranza c’è, è forte e coesa, è l’unica in grado di garantire la governabilità del Paese in un momento così difficile” conclude il premier. “E’ nostra intenzione completare il programma di governo arrivando alla scadenza naturale della legislatura e i cittadini potranno giudicare il nostro operato con le elezioni politiche generali”.

Proprio a Bossi e Tremonti, Berlusconi, nell’intervento al Senato, si è rivolto più volte. Sottolineando di “non volere affatto restare in eterno a palazzo Chigi” ma di essere pronto a passare la mano, una volta portata a termine la legislatura e ristrutturato il centrodestra. “Una crisi al buio – ha sottolineato – oggi sarebbe una follia: una sciagura per il Paese”, rilanciando “entro l’estate” la presentazione della delega per una riforma fiscale “senza buchi di bilancio”, come da Tremonti richiesto, che riduca a tre le aliquote e semplifichi l’intero sistema tributario. Altri due i punti salienti del suo “programma” di rilancio del governo: la riforma della giustizia e quella delle istituzioni, sulle quali ha teso la mano alle opposizioni.

“Quando si guarderà a questi anni di governo con animo meno acceso e mente più serena – ha detto Berlusconi – non si potrà non riconoscere che siamo riusciti, in una condizione quasi proibitiva, a fare quello che altri Paesi non hanno avuto la capacità o la fortuna di riuscire a fare”. “Tutti sanno e tutti ci riconoscono – ha aggiunto il premier – che la conduzione della politica economica dell’esecutivo nel corso della crisi ci ha salvato da una minaccia di default finanziario, parola che suona in italiano in modo ancor più sinistro: significa fallimento”.

“Non abbiamo seguito le sirene che ci invitavano a contrastare la crisi con stimoli fiscali cioè con maggiore spesa pubblica. Così, mentre molti Paesi raddoppiavano o addirittura triplicavano nel corso della crisi il loro deficit in rapporto al pil, l’Italia non è andata in quella direzione. Sarebbe stato da irresponsabili -ha proseguito il premier – allargare la spesa pubblica per sostenere la crescita nel corso di una crisi in cui l’aumentop del rapporto deficit-pil era già dettato dalla recessione. Così l’Italia si è assunta le proprie responsabilità nel contribuire al mantenimento della stabilità finanziaria e monetaria in Europa e ha sempre trovato sui mercati finanziari i sottoscritori del proprio debito. E se oggi lo può ancora fare a tassi di poco superiori a quelli tedeschi di riferimento e non incontra problemi di collocazioni dei propri titoli, ciò lo si deve proprio alla politica seguita dal governo”.

“Intendiamo apportare un’incisiva modifica al Patto di stabilità interno, così da introdurre meccanismi premiali e meccanismi punitivi. Premiali per gli enti locali virtuosi, punitivi per quelli che non lo sono”. “Solo così – ha aggiunto il premier – potremo superare il cumulo di disposizioni che si sono stratificate negli anni e che hanno introdotto correttivi la cui portata complessiva è stata inefficace, se non controproducente”.

“Come già anticipato dal ministro Tremonti, ridisegneremo l’impianto delle aliquote, degli scaglioni e delle detrazioni. Vi saranno meno aliquote (solo tre invece delle cinque attuali), e più basse; un sistema di detrazioni e deduzioni più snello e trasparente, in coerenza con gli obiettivi generali della riforma; una riduzione a cinque del numero delle imposte”. “Si tratta – ha proseguito il premier – di un obiettivo non congiunturale, ma strutturale, che rientra negli orientamenti europei da prima della crisi economica, e che in Italia deve portare a riequilibrare il peso delle imposte sui redditi rispetto alle altre imposte, allineandolo progressivamente ai valori europei. Il tutto – lo sottolineo – non in deficit”. Berlusconi ha rilevato che “non siamo di fronte a una sfida tra coraggio e rigore: si tratta di affrontare, senza demagogia e con senso di responsabilità, una riforma che tutti si aspettano e in cui noi tutti crediamo. La riforma del fisco sarà la seconda fase, il coronamento della politica economica del governo: prima abbiamo tenuto i conti in ordine, adesso dobbiamo creare le premesse per la crescita”.