Colloquio tra il presidente del Consiglio ed il leader dell'Idv Antonio Di Pietro Attenti a quei due. Solo che i due non sono Roger Moore e Tony Curtis, i protagonisti di una fortunata serie televisiva degli anni Settanta, ma Antonio Di Pietro e Silvio Berlusconi. Teoricamente, il Diavolo e l’Acquasanta (decidete voi le parti), praticamente i figli di un Big Bang che emette ancora nel sistema politico i suoi raggi Alfa: Tangentopoli. Silvio e Tonino si son parlati. Apriti cielo. Io non mi stupisco neanche un po’ e proverò a usare la biografia, la memoria e una dose minima di mestiere per spiegarlo. Di Pietro e Berlusconi sono generati dal crollo della Prima Repubblica. All’epoca, inizio degli anni Novanta, il magistrato di Montenero di Bisaccia è la dinamite che con le sue inchieste fa saltare per aria il cosiddetto «quadro politico», mentre il tycoon di Arcore è la terra promessa che scende in campo e dà una patria ai dispersi democristiani, liberali, repubblicani, socialisti et similia bombardati dal pool di Mani Pulite di cui Di Pietro è la punta di diamante. Ricordo bene il Tonino di allora. Ogni volta che ci incontriamo mi dice: «Mario, vent’anni fa su molte cose la pensavi diversamente». Confermo, ma non troppo. Lavoravo a L’Indipendente con Vittorio Feltri e pensavo ingenuamente che l’azione della magistratura fosse una cosa seria. Ingenuo. Non lo era perché la spada della giustizia colpiva da una parte sola, era troppo ben orientata. Giacobina. Ero molto giovane, acerbo, ma lo compresi abbastanza in fretta. Anche Di Pietro era diverso. Ricordo bene lo sciopero dei magistrati in quegli anni. Ricordo lui, solitario, al lavoro in procura a Milano. Tonino non scioperava. Non è mai stato la casta giudiziaria. Ma altro. Berlusconi e Di Pietro sono il prodotto politico di una stagione drammatica della nostra storia. Causa e soluzione. Azione e reazione di un mix di sostanze esplosive che si sono ritrovate in Parlamento. Oggi sono su sponde opposte, ma vi assicuro che in realtà condividono più storia e immaginario di quanto si immagini. La foto che li ritrae mentre discutono sul banco di Montecitorio è già un pezzo di storia. Tra qualche anno avrà un significato ancora più grande che noi consegniamo agli storici. Noi facciamo cronaca. Sarebbe bello poter scrivere: si apre un nuovo capitolo, qualcosa di costruttivo. Non sarà così: Silvio e Tonino sono ingabbiati nella loro vicenda umana e politica. Prigionieri di un’umanissima e beffarda sintesi: «Cribbio, che c’azzecca?».  Mario Sechi, Il Tempo, 23 giugno 2011