Luigi Bisignani Negli Stati Uniti uno come Bisignani non esisterebbe. In Italia invece sì. E la colpa non è certo sua, ma di un sistema che preferisce lasciare le relazioni pubbliche e il lobbismo nel limbo dell’incerto piuttosto che regolarle con una legge che imponga trasparenza. Sono stato un bel po’ di volte a K Street a Washington e al Congresso americano. Ho visto come funziona il rapporto tra lobbisti e congressmen. Gli interessi sono palesi, emergono nella loro sana dinamica, sono certificati, nessuno si straccia le vesti, questa è la differenza tra un grande Paese e un piccolo villaggio di furbetti ipocriti. Negli Stati Uniti le telefonate e i verbali impaginati in questi giorni non avremmo mai potuto leggerli. E la colpa non è certo dei giornalisti, ma di un sistema giudiziario e legislativo che è un colossale colobrado a dispetto degli strepiti e dell’indignazione che si professano ma poi non si tramutano in atti concreti, cioè buone leggi per tutelare non solo la privacy ma anche e soprattutto per separare le buone inchieste da quelle cattive. Quella istruita dal procuratore Woodcock – lo scrivo con grande rispetto per la magistratura – è una cattiva inchiesta. Priva di tatto istituzionale, guardona, voyerista, pettegola, gossipara, da coiffeur, ma senza per ora lo straccio di una prova che regga il processo. Di inchieste sui giornali ne ho viste decine e decine. Ma di sentenze esemplari che rispettano le premesse ben poche. Mi sarebbe piaciuto udire un monito del Presidente della Repubblica sull’eruzione di verbali che forse denunciano un costume ma non accertano un reato. Silenzio. Ma non dispero. Napolitano non vuole lo sfascio. E non è mai troppo tardi per applicare una lezione americana. Mario Sechi, Il Tempo, 24 giugno 2011