Questa volta, cari lettori, non siamo capaci neppure di fin­gere di aver compreso quel­lo che è successo né, tanto­meno, quello che succederà nei pros­simi giorni. L’unica certezza è che ie­ri si è tenuta ­una riunione di maggio­ranza e che i partecipanti non si sono presi a schiaffoni. È già un buon se­gno. Perché molti nell’opposizione contavano su una rissa di coalizione che provocasse un pandemonio e, magari, la caduta del governo. Per esempio, Pier Ferdinando Casini. Il quale, al termine del verti­ce (scusate la parolaccia), ha espresso tutta la sua de­lusione con un linguaggio da trivio. «Tremonti è un cacasotto», ha detto te­stualmente il leader del­l’Udc. Perché un giudizio così severo, oltretutto inelegan­te, nei confronti del ministro del­l’Economia? Tiriamo a indovinare. Pierferdy si aspettava da lui una pre­sa di posizione ostile al premier e che questa accendesse un litigio fra i due,tale da pregiudicare la sopravvi­venza dell’esecutivo. Il fatto che non sia accaduto nulla di tutto ciò ha get­tato Casini nel più tetro sconforto. Lui, d’altronde, da circa tre anni è persuaso che la salvezza dell’Italia si potrebbe ottenere soltanto se il Cava­­liere, stanco di polemiche e attacchi che gli piovono addosso da ogni par­­te, uscisse da Palazzo Chigi sbatten­do la porta, lasciando ad altri il gravo­so c­ompito di governare un Paese no­toriamente ingovernabile. Cosa che non è mai accaduta. E siccome non è accaduta nemmeno ieri, il democri­stianone se l’è presa di brutto con Giulio Tremonti. Questa, amici, è la politica sottile di Casini, che passa per moderato; fi­guriamoci quella degli estremisti. Vabbè. E veniamo ai contenuti della seduta. Allora, è pronta o non è pron­ta la benedetta riforma fiscale di cui si discetta da settimane con la spe­ranza che sia un toccasana per l’Ita­lia? Diciamo che non è pronta, ma quasi. Per scoprire come essa sia e quanto incida sulla vita agra degli ita­liani, bisognerà tuttavia attendere fi­no a domani, quando si riunirà il Consiglio dei ministri e Tremonti ca­lerà le carte che ha in mano. Nel frattempo non ci resta che ri­portare qualche indiscrezione suffra­gata dalla testimonianza, rigorosa­mente anonima, di chi era presente al summit e si è degnato di spifferarci qualcosa. Cominciamo da un pette­golezzo. Giulio, non appena Berlu­sconi si è appalesato, lo ha rassicura­to: tranquillo, non mi dimetto. Risa­ta. E abbraccio fra i due. Consolante. Significa che presidente e ministrissi­mo non sono ai ferri corti, anzi. Dato che le tasse non si abbassano se contestual­mente non si sforbiciano le spese correnti, è emersa la volontà di mandare in pensione le donne (anche nel setto­re privato) alla stessa età in cui ci van­no gli uomini. Era ora. Mica per fare un dispetto alle signore, figuriamoci; si tratta soltanto di sancire anche a livello di quiescenza l’assoluta parità fra i sessi. E qui qualche soldo lo si recupera. Poi? Ticket sulla sanità co­me se piovesse. Ma non a capocchia. Solo per i malati meno gravi- bollino bianco, per intenderci- che si rivolgo­no alle s­trutture pubbliche per verifi­care il proprio stato di salute. Altro di importante non è filtrato dalle segre­te stanze dei bottoncini, se non che d’ora in avanti l’ultima parola su fac­ce­nde di quattrini non sarà più di Tre­monti, bensì di Berlusconi. Per concludere, una notizia del ge­nere «incredibile ma vero». Si è ap­preso che alcuni mesi orsono, a gen­naio, Luigi De Magistris, ora sindaco di Napoli,si batté eroicamente affin­ché l’Europa non elargisse 145 milio­ni di euro al capoluogo partenopeo al fine di finanziare lo smaltimento dei rifiuti.Perché?Boh!Forse per boi­cottare l’esecutivo impegnato a ripu­lire la città. Che ve ne pare? In ogni caso, l’episodio serve a capire quan­to a De Magistris stiano a cuore i suoi concittadini. Congratulazioni. Vittorio Feltri, Il Giornale, 29 giugno 2011