Riprendiamo dal Corriere dell’Irpinia questo  ritratto di Alfredo Covelli,   leader carismatico del partito monarchico  che fu costantemente impagnato a  costruire  una destra  democratica e unita, alternativa alla sinistra. L’ultima volta che lo incontrammo fu in occasione delle esequie di Ernesto De Marzio (1995)  insieme al quale Covelli aveva dato vita a Democrazia Nazionale. Ebbe per chi scrive  parole affettuose e di affettuoso ricordo delle battaglie condotte insieme all’insegna di quel grande sogno che appartenne e appartiene a tutti i moderati italiani: un grande  centro destra nel quale far confluire tutti i moderati, i liberali, i conservatori italiani, questi ultimi  nel solco del pensiero di Giuseppe  Prezzolini.  Tre anni dopo, nel 1998, la morte lo colse non più impegnato direttamente ma sempre attento  agli eventi politici che, proprio in quegli anni, volgevano a favore della realizzazione di questo grande sogno. Il ricordo del Corriere dell’Irpinia (Covelli nacque e morì a Bonito, paesino dell’Irpinia) è stato originato dalla presentazione della raccolta degli scritti e dei discorsi politci di Covelli patrocinata dalla Camera dei Deputati della quale Covelli fece parte ininterrottamente dalla Costituente  (1946) sino al 1979 partecipando con rara capacità e valente impegno alla vita politica nazionale. g.

27/06/2011

Quando, nel Natale del 1998, l’onorevole Alfredo Covelli morì a Roma, a Palazzo Chigi c’era l’ex comunista Massimo  D’Alema che, nel suo messaggio di cordoglio alla famiglia, seppe efficacemente cogliere il principale elemento ispiratore della lunga missione politica e parlamentare del carismatico leader monarchico. Una missione cominciata nel 1946, a poco più di trent’anni, con la prima elezione a Montecitorio, dove fu protagonista attivo fino al 1979. Ponendo l’accento sul «lungo ed appassionato impegno politico, segnatamente nell’Assemblea costituente e nella costruzione delle forze politiche della destra italiana»,  D’Alema ne valorizzò il  ruolo di costruttore ante litteram di una possibile e credibile alternativa di destra conservatrice e non reazionaria nel sistema politico repubblicano. Una linea, a dire il vero, spesso appannata dalle componenti demagogiche e popolane del movimento (soprattutto nel Mezzogiorno, dove si trovava il maggior bacino elettorale della stella e corona che, non va dimenticato, si esprimeva anche attraverso l’anima del laurismo, politicamente meno colta e raffinata) ma che pure era efficacemente servita ad incanalare nel circuito democratico un consistente numero di italiani ancora ostili al regime repubblicano.  Questo merito gli venne significativamente riconosciuto dallo stesso presidente del Senato Nicola Mancino, che  volle rendere omaggio al suo antico avversario (da giovane democristiano, aveva combattuto tenacemente più i monarchici  che i comunisti), ricordandone la « passione di italiano, la  cultura, l’oratoria di rara efficacia, la lealtà nei confronti dell’ordinamento repubblicano, pur nella fedeltà all’istanza monarchica». Anche Giulio Andreotti lo salutò con affetto: «Non credo – disse al “Tempo”-  che Covelli abbia mai pensato alla restaurazione monarchica e so che ad un certo punto fu lo stesso sovrano a mettere un freno all’attivismo partitico dei monarchici», aggiungendo poi che il segretario dei monarchici ebbe anche «l’occasione di essere determinante: fu nel ‘53 quando gli alleati voltarono le spalle alla Dc e De Gasperi chiese al partito monarchico di lasciar passare alla Camera il suo ottavo governo».
Insomma, nel momento della scomparsa, il mondo politico italiano (naturalmente quello più attento alla storia politica della nazione) lo annoverò tra i padri nobili di quel progetto politico giunto ad effettivo compimento appena qualche anno prima, allorché la destra già missina e monarchica era riuscita ad entrare nella stanza dei bottoni. Non è un caso che sia stato proprio il presidente della Camera Gianfranco Fini a firmare la presentazione del volume che raccoglie gli scritti e i discorsi politici di Covelli, la cui pubblicazione è stata resa possibile grazie alla donazione del suo prezioso fondo documentario all’Archivio storico della Camera (il volume è stato presentato nei giorni scorsi a Bonito, grazie ad un convegno organizzato dal centro studi “Alfredo Covelli e Francesco Caravita”  in collaborazione con “L’Osservatorio sui processi di governo e sul federalismo” e la locale amministrazione comunale: dell’evento il  nostro quotidiano ha già offerto ampi resoconti)
L’impostazione critica del volume (che, oltre alla presentazione di Fini, contiene gli illuminanti saggi introduttivi di Francesco Perfetti e  Beniamino Caravita di Toritto) conferma, sul piano più eminentemente storico-critico, i giudizi già delineati all’indomani della morte di Covelli.
Colpisce, in particolare, il tentativo appassionato ma frustrato, perseguito soprattutto negli anni Sessanta, di coinvolgere il Partito Liberale nel progetto di fondazione di un polo democratico-conservatore alternativo all’egemonia politica ed economica del centrosinistra  ispirato da Aldo Moro e Pietro Nenni (non va mai dimenticato che Covelli fu eletto alla Costituente nella lista liberale dell’UDN di Francesco Saverio Nitti, Vittorio Emanuele Orlando e Luigi Einaudi). Di fronte al diniego di Malagodi e del suo partito, Covelli rispose con orgoglio: « rivendichiamo per noi non diciamo l’eredità, ma la continuità, di ciò che vi è di migliore, di ciò che vi è di vitale nella tradizione liberale italiana, da Camillo Benso, Conte di Cavour a Giovanni Giolitti».
Il tramonto del progetto e la progressiva erosione di consensi elettorali (era ormai venuto meno l’antico richiamo istituzionale) lo spinsero al forzato connubio con Giorgio Almirante, che ebbe un relativo successo elettorale nel 1972 ed ancora nel 1976, quando però si consumò la rottura traumatica tra i due leader (peraltro favorita dalla destra democristiana, in cerca di sponde alternative alla strategia del compromesso storico). A questo proposito, Perfetti  ha notato che «proprio nella chiave di lettura della formazione di una destra moderna, moderata e costituzionale va ricordata la partecipazione alla fondazione del Msi-Destra nazionale, di cui fu presidente, e la pur breve esperienza di Democrazia nazionale, dal 1976 al 1979».
Dal citato volume “Scritti e discorsi” proponiamo un ampio e significativo stralcio della lettera inviata a Giorgio Almirante all’indomani dello strappo. Lo scritto ribadisce efficacemente le convinzioni ideali di Covelli, costretto a prendere atto che il MSI-DN si ostinava a non intraprendere la tanto auspicata e sognata svolta liberale.
LE PAROLE DI COVELLI
Caro Almirante, al punto in cui sono giunte le vicende del Partito, dopo la drastica decisione presa ieri dall’Esecutivo, non posso che registrare la definitiva totale vanificazione di tutti i miei tentativi, di tutte le mie speranze. Ho creduto fino all’ultimo che si potesse salvare l’unità, convinto che questa valesse qualsiasi sacrificio. Mi sono purtroppo sbagliato: ne sono profondamente deluso ed amareggiato.
In queste condizioni non mi sento più a mio agio nel Partito che insieme a te avevo contribuito a rifondare in uno spirito unitario e di pacificazione che i nostri avversari ci avevano invidiato: non mi sento più a mio agio nel Partito che gradualmente ad opera dei tuoi più stretti collaboratori si è andato allontanando dalle posizioni che erano state fissate nel Congresso Nazionale del 1973 […] Intanto si intensificava alla base, ad opera di tuoi amici e collaboratori, una assurda campagna di linciaggio morale contro chiunque dissentisse, lasciando rispuntare offensivi motivi discriminatori che erano stati banditi all’atto della costituzione della Destra nazionale.
Ti confermo che non ero al corrente della decisione dei deputati di “Democrazia Nazionale” di entrare nella Costituente di Destra, accettando l’invito di quella organizzazione per la costituzione di un gruppo parlamentare autonomo. Prescindo dalle valutazioni formali e, riferendomi a un giudizio di merito, ritengo che quei deputati, aderendo alla Costituente di Destra, abbiano inteso, come hanno poi spiegato, riaffermare la loro convinzione circa la validità della scelta irreversibile del sistema costituzionale italiano, sistema di libertà e di democrazia.
Al tuo posto li avrei inseguiti, sissignori, li avrei inseguiti, per un’ultima amichevole spiegazione e per un’ultima amichevole contestazione, sempre con l’intento, fors’anche disperato, di salvaguardare l’unità del Partito: penso ancora oggi che sarebbe stata vieppiù nobilitata la tua funzione, sia che il tuo tentativo avesse sortito esito positivo, sia che avesse sortito esito negativo.
Invece su tua proposta, con una decisione che giudico a dir poco affrettata, hai fatto dichiarare quei deputati decaduti dalla qualità di iscritti al Partito, senza sentire il bisogno di convocare per questa decisione di così grave rilevanza il Comitato Centrale o la Direzione del Partito: l’Esecutivo, che è un tuo organo fiduciario, a mio avviso, non avrebbe potuto, non avrebbe dovuto, in questa occasione, assumersi una così pesante responsabilità con un provvedimento che non poteva non significare irreversibile rottura e quindi conclusione fatalmente negativa dei fini e delle speranze che erano stati indicati al momento della costituzione della Destra nazionale.
Sicché, caro Almirante, consentimi di dirti che il Partito che tu oggi  dirigi non è o non mi sembra più quello in cui io sono entrato nel 1972: per la qualità delle assenze che purtroppo oggi si debbono registrare dopo la decisione dell’Esecutivo e per la qualità di certe presenze che ne squilibrano l’asse politico interno.
Sono venute cioè a mancare le ragioni per le quali in piena coscienza e con il massimo entusiasmo io entrai nel Partito. Obbedii certamente allora ad un dovere politico e morale, entrando e facendo entrare insieme a me nel MSI-DN tantissimi amici monarchici: ritengo di obbedire oggi ad analogo dovere politico e morale dimettendomi dal Partito così come oggi appare caratterizzato.
Ti prego di credere che la mia decisione è accompagnata da profondo rammarico, posso dire da sincero dolore; non si possono dimenticare, infatti, nel momento del commiato, tanti amici con i quali si è combattuto assieme in una difficile ed esaltante trincea.
Continuerò la mia battaglia come e dove potrò, con i sentimenti e gli ideali per i quali e con i quali ci siamo incontrati: sentimenti ed ideali che se professati e sostenuti in buona fede, non potranno, io credo, io spero, non farci incontrare ancora.

Con i più cordiali saluti.  Alfredo Covelli.