E’ tornata in pista l’Italia del no. L’Italia che resta l’unica grande nazione d’Europa senza nucleare, ma non vuole nemmeno le centrali a carbone e blocca la costruzione dei rigassificatori, nell’illusione che le energie alternative possano darci da sole tutto il necessario per illuminare, scaldare, produrre a prezzi compatibili. L’Italia che boccia la partecipazione dei privati alle società pubbliche che distribuiscono l’acqua senza porsi il problema di chi tirerà fuori i 60 miliardi d’investimenti necessari a costruire una rete che non perda metà del prodotto. E adesso rispunta l’Italia del No Tav e del no alla gestione dei rifiuti in Campania con i criteri in vigore nel resto del mondo industrializzato.
Ci sono voluti 800 poliziotti in prima linea e 1.200 carabinieri di riserva per aprire lunedì 27 giugno il cantiere della Val di Susa dopo un decennio di scontri e di progetti variati: appena tre giorni prima del termine ultimo stabilito dall’Europa per non ritirare i 671 milioni del primo finanziamento. Ma intanto, nello stesso decennio, i francesi (che pure qualche mugugno hanno dovuto subirlo) hanno scavato tre gallerie per 9 chilometri. Perché da noi solo con i lacrimogeni e con presidi permanenti di forze dell’ordine si può raggiungere una faticosa normalità?

E Napoli? Dopo 15 anni di Rinascimento di Antonio Bassolino è cominciato un nuovo ciclo: la Rivoluzione di Luigi De Magistris. In una raffinata intervista ad Andrea Marcenaro per Panorama, il nuovo sindaco di Napoli si è collocato un gradino sopra Pier Luigi Bersani, Antonio Di Pietro e Nichi Vendola. Gli altri sono leader di partito, lui è un leader politico. Mentre guarda legittimamente a esportare a Roma la Rivoluzione napoletana, De Magistris deve affrontare lo sgradevole problema dei rifiuti. I cinque giorni in cui tutto sarebbe stato risolto, secondo le promesse elettorali, sono passati da un pezzo. Deve di nuovo intervenire il governo e non si sa come la storia andrà a finire. Il sindaco sostiene di avere bisogno solo di un paio di mesi per tamponare l’emergenza, poi la raccolta differenziata risolverà ogni cosa. C’è naturalmente da augurarselo, anche se in nessuna città italiana, nemmeno quelle che hanno avviato il percorso virtuoso da molti anni, la differenziata ha risolto da sola il problema, senza discariche e senza termovalorizzatori. De Magistris ha sposato in pieno la linea di Alfonso Pecoraro Scanio, l’ex leader dei Verdi la cui carriera politica è stata stroncata proprio dai rifiuti di Napoli. Dice contro ogni evidenza che l’impianto di Acerra (aperto a suo tempo dal governo Berlusconi con lo stesso spiegamento di forze richiesto dal cantiere No Tav) è sufficiente da solo, gli altri tre faticosamente previsti non servono. Che San Gennaro l’assista.
La tragedia italiana sta nel fatto che i no al nucleare, ai consorzi pubblici o privati per l’acqua, alla Tav, ai termovalorizzatori non sono l’eccezione, ma la regola. Sono la punta clamorosa di un iceberg che vede le lobby di ogni settore paralizzare la modernizzazione del Paese.

I professori non vogliono essere giudicati e non accettano che i migliori di loro guadagnino di più. Di qui prima la lotta, poi la resistenza passiva alla riforma Gelmini alla quale si sono opposti fermamente anche i baroni universitari timorosi di perdere antichi privilegi di casta. Gli studenti fanno di malavoglia i test internazionali di valutazione. I medici si oppongono alla chiusura di tanti piccoli e inutili ospedali dove si fa un numero d’interventi così ridotto da non garantire una qualità minima, mettendo in pericolo la salute dei cittadini che pure si battono perché quelle strutture restino in piedi. Gli avvocati boicottano la mediazione obbligatoria che fa risparmiare ai cittadini anni di processi (e di parcelle).

I magistrati non vogliono sentire parlare di una riforma che sarebbe solo un timido avvicinamento all’organizzazione internazionale prevalente. I farmacisti fecero l’inferno quando Bersani stabilì che le aspirine si potessero vendere anche nei supermercati. L’Ordine dei giornalisti continua ad accettare iscritti destinati alla disoccupazione. E si potrebbe continuare. L’Italia è ferma. Viva il no! Bruno Vespa, Panorama