Sibari, che chiede di diventare capoluogo vantandosi di produrre «l’agrume migliore del mondo, le clementine», può tornare a sperare. E così Breno, 5.014 abitanti, capitale dei Camuni e della Valcamonica. E con loro Cassino e Guidonia, Busto Arsizio e Nola, Pinerolo e Melfi e tutte le altre aspiranti metropoli che sognano di avere finalmente lo status: cos’hanno meno di Tortolì e Lanusei, che capoluoghi già sono?

La bocciatura alla Camera della proposta di legge costituzionale per sopprimere le Province è il via libera ai cattivi pensieri e alle piccole megalomanie coltivate dai notabili locali. E a un nuovo incremento di quegli enti che già un secolo fa l’allora sindaco di Milano Emilio Caldara bollava come «buoni solo per i manicomi e per le strade», ma che da 59 che erano nel 1861 (il criterio era semplice: ciascuna doveva poter essere attraversata in una giornata di cavallo) sono via via saliti a 110. Garantendo oggi 40 poltrone presidenziali al Pd, 36 al Pdl, 13 alla Lega, 5 all’Udc, 2 a Mpa e Margherita e così via.

Dicono oggi quanti hanno votato contro la proposta dipietrista (leghisti e pidiellini, con molte dissociazioni) o l’hanno affossata astenendosi (i democratici, nonostante i «malpancisti») che non si possono affrontare questi temi con l’accetta, che occorre riflettere sui vuoti che si creerebbero, che è necessario stare alla larga dalle «tirate demagogiche» e così via… Insomma: pazienza. Tutti argomenti seri se questi pensosi statisti non li avessero già svuotati in decennali bla-bla.
Soppresse già alla Costituente dalla Commissione dei 75, ma resuscitate dall’Assemblea in attesa delle Regioni, le Province avevano quella data di scadenza: il 1970. Ma quando le Regioni arrivarono, Ugo La Malfa invocò inutilmente la soppressione dei «doppioni»: il Parlamento decise di aspettare il consolidamento dei nuovi enti. Campa cavallo… Quarant’anni dopo, non c’è occasione in cui il problema non sia affrontato con il rinvio a un «ridisegno complessivo», a una «riscrittura delle competenze», a una «grande riforma» che tenga dentro tutto.

Basti rileggere quanto decise la Camera il 12 ottobre 2009 quando finalmente, per la cocciutaggine di Massimo Donadi e dell’Italia dei Valori, l’abolizione delle Province, sventolata in campagna elettorale da Silvio Berlusconi e, sia pure con accenti diversi, da Walter Veltroni, arrivò finalmente in Aula. La delibera di Montecitorio diceva che la riforma degli enti locali era «urgente e necessaria al fine di rimuovere la giungla amministrativa e di ridurre i costi della politica», denunciava la «proliferazione di innumerevoli enti» e «un intreccio inestricabile di funzioni che genera inefficienza e rende difficile la decisione amministrativa» e rinviava tutto al sorgere del mitico sole dell’avvenire berlusconian-federalista. E cioè alla «imminente presentazione di un disegno di legge recante la Carta delle autonomie locali».
Da allora sono passati, inutilmente, altri due lunghi anni e mentre la crisi azzannava i cittadini, gli artigiani, le piccole e grandi imprese causando crolli apocalittici, disperazione e suicidi, i palazzi del potere davano qui una sforbiciatina del tre per cento, lì del tre per mille. E quelle epocali riforme che dovevano ridisegnare tutto per restituire al Paese la forza, l’efficienza, la stima in un classe dirigente credibile, tutte cose necessarie per affrontare questi tempi bui, dove sono? Sempre lì torniamo: taglia taglia, hanno tagliato i tagli. Il Corriere della Sera, 6 luglio 2011, Giantonio Stella

.……Chissà cosa avebbe detto delle Provincie il sindaco di Milano Emilio Caldara, citato da Stella nel suo articolo, se avesse conosciuto l’attuale presidente della Provincia di Bari: forse,  che le Provincie sono buone anche per far decollare i sogni i senili di personaggi che neppure Pirandello avrebbe saputo inventare. Come un secolo fa le Provincie, ancor di più oggi,  non servono a niente, salvo che a sistemare su ben remunerate poltrone arnesi più o meno inutili della politica che a loro volta utilizzano il potere che loro ne deriva per sistemare famigli e amici, o figli degli amici. Nel caso del presidente della Provincia di Bari, costui riesce a superare anche il ridicolo affermando ad ogni occasione che la sua unica preoccupazione è il lavoro per i giovani pugliesi, come se le Provincie hanno strumenti per conseguire risultati che neppure lo Stato riesce ad ottenere. Ma il bello è che Schittuli in nome dell’obsoleto “largo ai giovani”  di fascistica memoria  ha affidato il ruolo di suo “portavoce” (sic!) ad un settantenne pensionato dello Stato, esterno quindi alla Provincia al modico costo di circa 70 mila all’anno, come se all’interno della Provincia non ci fossero o non ci siano  funzionari dipendenti in grado di svolgere le funzioni di portavoce di un presidente che tra l’altro parla sempre e solo lui,  ammalato com’è di logorrea acuta.  E che dire poi del lavoro ai giovani pugliesi? Per l’incarico di direttore artistico della Fondazione  Petruzzelli, di cui fa pare anche la Provincia,  tra tanti ottimi e giovani  direttori d’orchestra cresciuti e “imparati” in Puglia, è stato arruolato il figlio di Veronesi che oltre che predicare come unico vero amore quello fra gay è anche, notoriamente, il gran patron del presidente della provincia di Bari. Ecco cosa sono le Provincie: inutili e costose macchine di clietelismo. Che ieri il Parlamento ha nuovamente richiamato a lunga vitaz, alla faccia degli italiani  che pagano le tasse per mantenere in piedi questi carrozzoni, per di più inutili. Per una volta siamo d’accordo con Di Pietro e non nascondiamo la nostra delusione per il voto a favore del mantenimento in vita delle Proincie  del PDL che è venuto meno ad un  impegno elettorale che avrebbe assunto grande significato mentre si vara una manovra economica che si preannuncia di lacrime e sangue per i contribuenti italiani. g.