Lo schiaffone era previsto e non si poteva schivare. Quando sono i giudici a me­nare le mani, non c’è salvez­za. Sono forti e decisi, loro. Se poi la fac­cia da colpire è quella di Silvio Berlusco­ni, diventano irresistibili. E giù botte. Con una violenza da tramortire un to­ro. Come fa un’azienda che vale 300 mi­lioni di euro o poco più a sborsarne sul­l’unghia 550­ 560 per risarcire Carlo De Benedetti? E perché risarcirlo? Si dà il caso che l’Ingegnere non fos­se riuscito ad acquistare la Mondadori (venti anni or sono). Berlusconi lo bat­té in volata e gliela soffiò, ovviamente pagandola. Seguì una bega infinita tra i due imprenditori. Avvocati, giudici, cause, ricorsi. La solita trafila italiana. Un processo dà ragione a una parte, un secondo processo dà ragione all’al­tra.

E avanti con le pandette per lustri e lustri. Si giunge in Cassazione (procedi­mento penale). La cui sentenza affer­ma: alla base dell’affare conclusosi a fa­vore del Cavaliere ci fu corruzione. Di chi? Di uno dei tre magistrati chiamati a giudicare. Dal che si evincerebbe che Silvio è scemo. Difatti il collegio di magistrati inca­ricato di stabilire chi avesse torto e chi ragione era composto di tre persone, bisognava corromperne almeno due per avere la certezza di cavarsela. Cor­rompendone solo una, c’era il rischio di perdere due a uno. Nella circostan­za Silvio vinse tre a zero. Quindi cor­ruppe tutti e tre i giudici? No, confer­ma la giustizia: solamente uno. Se è co­sì, Berlusconi è fesso. Dato che non lo è, anzi, passa per essere più furbo del diavolo, significa che così non è. Non importa. Lo schiaffone glielo hanno ammollato lo stesso.

Lui è obbligato a scucire 550 milioni di euro. Uno spro­posito, benché la somma sia inferiore di 200 milioni rispetto al verdetto di primo grado. Chi osa parlare di sentenza politica viene insultato o deriso, che è pure peggio. In re­altà dice il vero. Intanto perché il Ca­valiere è un politico e non credo che si possa negarlo. Poi perché non è un politico qualunque, ma il pre­mier e il leader del maggiore partito italiano, il Pdl, notoriamente impe­gnato – con risultati pari a zero – nel­la riforma della giustizia, ciò che fa imbestialire un discreto numero di appartenenti alla casta giudiziaria, i quali non sarebbero contrari a tale riforma: semplicemente aspirereb­bero a farsela da soli, su misura per loro, forse non riconoscendo al pre­sidente del Consiglio la capacità di realizzarne una che vada bene alle toghe. Cosicché tra magistrati e Berlusco­ni è in atto non una disputa dialetti­ca, bensì un duello all’ultimo san­gue.

Nel quale – se ci è concessa la metafora – Silvio è un topo veterano, rotto a ogni astuzia, e i magistrati so­no i gatti che gli danno la caccia, co­stringendolo a nascondersi come può, anche dietro qualche leggina ad personam, nei momenti di dispe­razione. D’altronde per non finire in bocca ai felini, di cui è famosa la spietatez­za, il sorcio ha il diritto di rintanarsi dovunque. Per quanto stanco di es­sere inseguito, il topo sembra im­prendibile. E i gatti, sempre più ner­vosi, hanno intuito che per acchiap­parlo è necessario indebolirne la fi­bra. Come? Intaccando le sue riser­ve alimentari. Ecco fatto. Berlusco­ni, minacciato nelle sue aziende, si sente smarrito. Nessun imprenditore ha nel cas­setto 550 milioni di euro.

Di sicuro il Cavaliere ha un patrimonio immobi­liare­e mobiliare sufficiente per fron­teggiare qualsiasi evenienza.

Ma chiunque comprende che non sarà facile neppure per lui, considerato tra i più ricchi del mondo, disporre in fretta di oltre mille miliardi di lire fuori corso da pagare sull’unghia. Non solo. La sentenza che ordina un esborso di tale portata è un segnale inquietante: potrebbe essere l’ini­zio di un assedio senza requie fina­lizzato a demolire l’impero e far sì che il padrone rimanga sotto le ma­cerie. È un’ipotesi, ma non tanto pe­regrina. Se fossimo al posto di Berlusconi, invece di aprire il portafogli, chiude­remmo la Mondadori e la consegne­remmo, opportunamente impac­chettata, a De Benedetti: tienitela. Ignoriamo le norme specifiche in materia civile, ma, se fosse lecito, co­me alternativa ripiegheremmo sul fallimento e ne scaricheremmo le re­sponsabilità su chi ha fissato un ri­sarcimento così devastante. Molti lavoratori resterebbero di­soccupati? Questo è indubbio. Im­magino che andrebbero in massa a protestare in tribunale e, per una vol­ta, tutti capirebbero che non è tanto Berlusconi a fare danni quanto chi lo combatte con armi improprie. Vittorio Feltri.

.….Noi faremmo come suggerisce Feltri e al diavolo il buonismo di cui notoriamente soffre Berlusconi. Ovviamente mettiamo nel conto quel che direbbe  il co…ne di turno il quale non mancherebbe di stigmatizzare la “cattiveria” di Berlusconi il quale non solo le deve prendere ma non le deve restituire. Tipicamente gesuitico per cui lontano da noi. g.