C’era questa cosa che diceva De Gasperi, peraltro il politico più frequentemente citato (a sproposito) dagli attuali parlamentari d’ogni colore. E niente, lui era convinto che «politica vuol dire realizzare», in questo senso intendendo il prender decisioni, tener fede agli impegni. Prendiamo questa nostra mania dell’abolizione delle Province, ente istituzionalmente superfluo che cosa 17 miliardi l’anno e pesa fiscalmente sugli italiani per 4,4 miliardi e mantiene senza una vera ragione 4.200 politici e sempre ogni anno paga oltre mezzo miliardo  di interessi passivi, visto l’indebitamento complessivo arrivato a 11 miliardi. Ecco, se ne discute da anni, e tutti lì a far di sì con la testa, ché «bisogna tagliare gli sprechi». Sì, questo a parole.  Poi, quando c’è per l’appunto da realizzare, magari votando “sì” al disegno di legge presentato lo scorso 5 luglio dall’Idv che per l’appunto delle Province disponeva l’eliminazione,  ecco, tutti a fischiettare, girarsi dall’altra parte, sperticarsi in improbabili distinguo. Risultato: no, niente, la legge non passa.
E per la verità scandalosamente pilatesco è l’atteggiamento del Pd. Neanche ha avuto il coraggio di votare contro (ché chissà la gente che cos’avrebbe pensato): ha preferito astenersi – e comunque, di fatto è stato come dire di no. Con il sindaco progressista di Firenze Matteo Renzi a commentare deluso, «il Pd ha perso un’ottima occasione per dare un segnale al Paese, avevamo da battere un rigore e non l’abbiamo neanche calciato».  S’è astenuto anche Veltroni, quello che durante la campagna elettorale del 2008 andava dicendo che «cominceremo da subito abolendo le Province nei grandi Comuni metropolitani», e però facendo trasparire l’insoddisfazione: «Io ero per votare insieme alle altre forze di opposizione per l’abolizione delle Province, poi mi sono adeguato alla decisione di astenersi» – ah, buona vecchia disciplina di partito. E addirittura surreale suona il percorso decisionale di Franceschini. Che a metà giugno, quando si decise di rinviare la discussione sul disegno di legge,  spiegò che «così almeno evitiamo di pregiudicare la discussione di merito sul riassetto delle Province». Poi, al momento del voto, ha preferito astenersi. Così non è che ha pregiudicato la discussione: l’ha proprio cassata.

Girandosi poi dall’altra parte, verso lo schieramento di maggioranza, le contraddizioni se possibile addirittura aumentano. In questo senso, buon profeta fu il brusco ma franco ministro Brunetta, che senza troppe ipocrisie così rispose un paio d’anni fa a uno studente della Luiss: servono le Province? «No». Quindi, alla Marzullo, si fece le domande poi dandosi le risposte: «Riusciremo a cancellarle nell’arco della legislatura? No. Farlo è fondamentale? No. Eliminandole si potrebbe risparmiare? Sì». A parte il “no” alla necessità di sopprimerle, su cui com’è ovvio non concordiamo, per il resto non fa una grinza.

E però scoccia. Scoccia leggere le dichiarazioni d’intenti, le promesse, addirittura gli appelli. Sempre nel 2008, quando ancora Libero martellava sulla questione, il presidente dei deputati PdL Cicchitto commentava che «l’appello sull’abolizione delle Province va preso in seria considerazione dal centrodestra e dal governo, c’è un gran bisogno di tagli di spesa»: l’altro giorno ha invece votato contro.  E Michele Scandroglio, parlamentare berlusconiano e primo firmatario di una proposta di legge costituzionale per l’abolizione degli enti, uno che «se aboliamo le Province, inutili e costose, potremmo detassare per sempre le tredicesime»: almeno lui  avrà votato a favore? Macché: contrario. Così come contro ha votato persino Andrea Pastore, che nel 2008 aveva annunciato anche lui – e proprio a Libero – il disegno di legge di rito, considerando (allora) le Province enti da eliminare per ragioni «finanziarie, funzionali, etiche». E i 9-deputati-9 che, solo un anno fa, s’appellarono proprio a Cicchitto, visto che «l’abolizione delle Province è già stata approvata dagli italiani quando hanno eletto questa maggioranza e questo governo». Ecco le firme: ancora Scandroglio, poi Eugenio Minasso (che l’altro giorno ha però votato contro),  e Maurizio Bianconi (voto contrario), e Giorgio Stracquadanio (contrario), e Viviana Beccalossi (voto contrario), poi Santo Versace (che era assente), quindi Roberto Cassinelli e Pietro Laffranco (che perlomeno si sono astenuti), e infine Aldo Di Biagio. L’unico, quest’ultimo, che coerentemente con i passati convincimenti ha votato a favore della soppressione delle Province. Chissà come l’han guardato.

Che poi, a parte il voto parlamentare,  anche un autorevole esponente dell’attuale governo  come il ministro della Difesa La Russa s’è sempre dimostrato a favore, «invito anche la Lega a non opporsi alla chiusura di tutte le Province: non alcune sì e alcune no, che farebbe scatenare na guerra fra gli enti». E il sindaco di Roma Alemanno, «sono sempre stato favorevole all’abolizione delle Province». E anche Isabella Bertolini, vicepresidente del gruppo pdl alla Camera. La quale, pressoché contemporaneamente al voto contrario espresso in aula, ha annunciato che «sto predisponendo, insieme ad altri colleghi, un progetto di legge per abolire le Province che non abbiano almeno 500mila abitanti».  Forse è un’impressione, ma questa ci sembra d’averla già sentita. di Andrea Scaglia,14/07/2011, LIBERO