Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti Giulio Tremonti ha usato la metafora del Titanic per definire la situazione dell’Italia. Bene. A questo punto, dobbiamo porci una domanda: chi guida il Titanic? Qualcuno risponderà prontamente: “Berlusconi!”. Qualcun altro però comincerà a pensarci meglio, poi alzerà la manina e dirà: “Sì, certo, il capitano del transatlantico è Berlusconi, ma a tracciare la rotta è Giulio Tremonti”. Altri diranno che la sala del comando non è più a Palazzo Chigi: “Be’, ma è chiaro che al timone in realtà c’è il presidente Giorgio Napolitano”. Infine una voce solitaria s’alzerà più in alto di tutte e dirà: “Il problema è che al timone non c’è nessuno e la nave va dritta verso l’iceberg”. Tutte queste risposte hanno una dose di verità, ma quel che emerge chiaramente sulla carta nautica è che un governo liberale, di centrodestra, vincente nel 2008 con la promessa della riduzione della pressione fiscale, sta votando una manovra di finanza pubblica che ha elevato i saldi aumentando le tasse, senza tagliare i privilegi della casta. Questa è la cifra politica della faccenda, il resto è tecnica contabile. S’è detto che questa manovra serve a fermare le speculazioni sul debito pubblico. Per ora i risultati sono scarsi. Anche ieri lo spread tra Bund e Btp è tornato a quota 300 punti e l’asta dei Btp a 15 anni ha fatto segnare un rendimento record del 5,9 per cento, il massimo dal lancio dell’Euro. Finanziare la nostra spesa, emettere debito, costa sempre più caro. E se l’obiettivo della manovra è quello di frenare questo rally, allora qualcosa non va.

Quel che non funziona Il Tempo lo ha messo nero su bianco: è una manovra depressiva, priva di tagli strutturali, una pioggia di gabelle senza prospettiva per la crescita economica. Con uno spirito di rassegnazione che rasenta l’istinto suicida, il Parlamento intero – destra e sinistra – sta abdicando allo sviluppo del Paese in nome di un rigorismo formale che si trasformerà in un cappio al quale finirà impiccata la politica e la classe dirigente che la sta interpretando in questa maniera. E’ proprio questo il problema dei problemi, il punto da cui parte tutto e sul quale si concentrano le attenzioni del mercato, degli speculatori buoni e cattivi: l’Italia è l’anello debole della catena che tiene insieme l’Euro. Attaccarla significa far ballare la rumba al Vecchio Continente, tedeschi compresi. Il problema è che a Berlino tutto questo lo capiranno solo quando sul campo sarà rimasto un numero impressionante di morti e di feriti. E’ già accaduto con la Grecia. Tutti sapevano che Atene truccava i conti dello Stato. Ma quando si è deciso di intervenire era già troppo tardi. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti: il meeting europeo che oggi doveva decidere che fare con l’allegra brigata spendacciona di Atene è stato rinviato per mancanza di soluzioni. La Grecia potrebbe perfino fallire e l’Eurozona continuare ad esistere senza enormi problemi. Ma se casca l’Italia viene giù anche l’Europa. Quel che tutti stanno facendo finta di ignorare è che un debito come quello italiano non è gestibile se non c’è una cura-shock sulla spesa e una crescita superiore all’asfittico uno per cento al quale siamo inchiodati. Sembra di stare sulla nave di Linea d’Ombra. Nel romanzo di Conrad si racconta l’odissea di un giovane capitano che prende il comando di una nave il cui precedente capitano è morto pazzo. E’ l’occasione della sua vita, ma la navigazione viene funestata prima dalle febbri tropicali poi dalla bonaccia. L’epidemia mette l’equipaggio fuori gioco. L’assenza di vento blocca il veliero come uno scoglio in mezzo all’oceano. Solo il capitano e il cuoco resistono. Alla fine, dopo due settimane, miracolosamente l’aria riprende a soffiare, la nave di moribondi giunge a Singapore, i malati vengono sbarcati, viene assunto un nuovo equipaggio, la nave riparte per un’altra avventura. No, non mi piace la metafora tremontiana del Titanic. Preferisco quella conradiana della Linea d’Ombra. All’Italia serve un nuovo equipaggio. Mario Sechi, Il Tempo, 15 luglio 2011.

..……Come dare torto a Sechi, come sempre lucido nella più assoluta indipendenza di giudizio?  La crisi economica non è solo italiana, ma planetaria e  investe l’Europa come l’America. Per cui la manovra varata dal governo e approvata a tambur battente ieri dal Senato e oggi dalla Camera era indispensabile e obbligatoria. Come indispensabili e obbligatori erano all’interno della manovra gli interventi che peseranno sulle spalle e nelle tasche degli italiani che di certo, anche di fronte alle terribili reralità dell’Irlnda e della Grecia,   non possono tirarsi indietro. Ma i sacrifici cui essi sono chiamati sarebbero stati più sopportabili se insieme a quelli imposti ai cittadini comuni ci fossero stati altrettanti e ben più vistosi sacrifici imposti alla “casta”. Questa invece ne esce indenne, o quasi, perchè i vantaggi di cui gode non sono stati neppure lontanamente scalfiti. E se è vero che a guidare la crociata per una manovra inflessibile è stato l’ex comunista e amico dei lavoratori Napolitano, è ancor più strano che questi non abbia usato piglio e cipiglio per imporre all’interno della manovra tagli vistosi e non apparenti ai tanti benefit di cui la “casta” gode e che nonostante la manovra sono destinati a rimanere. Tremonti ha tentato, ha solo tentato di “toccarli”, ma si è fermato non appena sono stati sollevati scudi da parte degli interessati. Che sono di ogni colore politico, perchè quando si tratta di difendere se stessi, i politici fanno fronte comune. Come in Puglia. La rivendicazione degli arretrati sui tagli alle indennità dei consiglieri regionali  annullati da una sentenza del Consiglio di Stato è di tutto lo schieramento politico, da destra a sinistra, passando per il centro. Come ovunque. La vergogna delle provincie con il suo esercito di politici nullafacenti e inutilmente logorroici come il presidente di quella di Bari, non accenna ad essere rimossa. Anzi, in Parlamento giacciono proposte di istituzione di nuove provincie, talune di modestissima entità, a riprova della scarsissima sensibilità della politica rispetto alla necessità di tagliare i già tanto elevvati costi della politica. L’altra vergogna, quella delle doppie e triple cariche, non supera la barriera della retorica disapprovazione e così quella dei favolosi rimborsi elettorali ai partiti che ha preso il posto del finanziamento pubblico bocciato a maggioranza bulgara dal referendum promosso dai radicali. E potremmo continaure a lungo, sottolineando sempre che la questione è assolutamente bibartisan, per cui ieri, mentre assistevamo alla sceneggiata del voto contrario alla manovra  da parte dei partiti della opposizione senza minimamente entrare nel merito dei problemi, pur avendo sostenuto poche ore prima di avere “ricette” alternative,  ci domandavavamo se talvolta a costoro, e a tutti,  non venga  in mente che “qua nessuno è fesso”. A buon intenditor, poche parole. g.