Archivi per agosto, 2011

CASTA ITALIA

Pubblicato il 31 agosto, 2011 in Politica | No Comments »

Manovrare con i decreti, cercando di mettere in equilibrio i conti pubblici, salvo modificarne i contenuti in corso d’opera e reintervenire dopo poche settimane, non è una condotta ammirevole. Lo abbiamo scritto e non abbiamo risparmiato le critiche, posto che le correzioni da ultimo ideate sono migliorative. Ma è anche vero che questo è un Paese balzano, ove prima si strilla al cielo per il terrore di quel che può accadere, poi ci si lamenta per qualsiasi provvedimento sia adottato. Mi colpisce, in tal senso, che quasi tutti i giornali affermino che il governo, correggendo il decreto, ha messo le mani sulle pensioni. Il Corriere della Sera ha lanciato anche un sondaggio presso i propri lettori, ponendo loro questa suggestiva domanda: “Condividete la nuova manovra che prevede interventi sulle pensioni e sul riscatto della laurea e del militare?”. Provate a immaginare le risposte. Il fatto è che le pensioni andrebbero sì toccate, ma alzando l’età per andarci e smettendola di pensare solo a chi s’avvicina alla fine della propria vita lavorativa, fregandosene di chi, invece, la sta iniziando e una pensione non la vedrà mai. Sono tutti bravi a dar lezioncine di rigore, poi si prende una decisione alla camomilla, contabilizzando gli anni della laurea e del servizio militare (come se fossero stati anni di lavoro) ai fini dei conteggi pensionistici ma non dell’anzianità, e subito si solleva il coro dolente dei diritti acquisiti violati. Ma se non si può fare manco questo allora rassegniamoci a non riformare mai un bel niente. Il che vale anche nel caso in cui a qualcuno venga in mente di considerare illegittimo il provvedimento, perché viola il patto stipulato con chi ha già pagato per riscattare quegli anni. Ciò dimostrerebbe l’imperizia tecnica di chi ha steso l’emendamento, non l’ingiustizia del suo contenuto. Ed è così per tutto, dalla sanità alla scuola, dal mercato del lavoro al pubblico impiego: tutti si lamentano della situazione attuale, ma poi si cerca disperatamente d’impedire che cambi. E la spiegazione è semplice: siccome nessuno fa più politica (vera), nessuno s’incarica di dire chiaramente che i debiti vanno pagati e che ci sono privilegi cui si deve rinunciare, nessuno sa spiegare che l’egoismo generazionale ha un limite ed è stato superato, va a finire che gli interessi generali restano senza rappresentanti e ciascuno si ribella quando vengono toccati i propri vantaggi, la propria condizione. Quindi le reazioni sono sempre di protesta e mai di consenso, sempre rivolte alla conservazione e mai alla riforma. Si può sostenere che questo mondo politico se lo merita, ed è probabilmente vero, ma il prezzo di tanta cocciuta resistenza ai cambiamenti lo pagheremo tutti, anche se ciascuno s’illuderà di avere ingannato gli altri, scansando da sé il dovere di fare il necessario. L’insieme condito con un tripudio d’incoerenza e demagogia, talché chi chiede gran rigore poi si preoccupa di sollecitare e raccontare il plebiscito contro due cosucce da niente.  Davide Giacalone, Il Tempo, 31/08/2011

.…………..Troppo presto avevamo, insieme al direttore de Il Tempo,creduto che Berlusconi, governo e maggioranza, avessero imboccato la strada del realismo, sia pure timidamente, mirando a riforme strutturali per aggredire la crisi e invertire la tendenza dell’economia del nostro Paese. Sono bastate poche ore perchè la norma sulle pensioni di anzianità fosse cancellata dalla manovra, per cui riparte la corsa alla ricerca di fonti alternative per trovare i soldi necessari a colmare il buco. Non è una cosa seria e non è necessario che lo dicano le opposizioni che nel recente passato hanno fatto di peggio. Lo dicono tutti coloro che hanno buon senso e lo pensano gli italiani, specie quelli che hanno votato questo centrodestra ed ora ne sono profondamente delusi. E non è nemmeno il caso di fare affidamento sulle altre decisioni assunte lunedì e che sono destinate a rimanere sulla carta, dall’abolizione delle Provincie  al dimezzamento dei parlamentari. Se questa maggioranza non ha tenuto difronte alle proteste di alcune categorie, come potrebbe mai resistere alle proteste e ai privilegi consolidati  della “Casta” che dovrebbe votare contro se stessa? Domanda senza risposta! g.

LA SOPRESA DI UN PDL DIVERSO, l’editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 30 agosto, 2011 in Politica | No Comments »

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi C’erano tutte le premesse per un’altra delusione, ma non abbiamo mai abbandonato l’idea che la manovra si potesse migliorare e perciò in queste settimane Il Tempo è stato un pungolo continuo sul governo, la maggioranza e l’opposizione. Siamo realisti, non siamo nel mondo ideale, ma dopo il vertice di maggioranza la manovra ha un volto migliore. Silvio Berlusconi ha recuperato lo spirito del 1994 e cancellato il contributo di solidarietà, una Super-Irpef che pesava su chi già dichiara i redditi e paga le tasse, un provvedimento che tradiva la storia del Pdl. Questa decisione dimostra che eravamo nel giusto. L’abolizione delle Province, altra battaglia del nostro giornale, avverrà per via costituzionale, insieme al dimezzamento dei parlamentari. Il disegno di legge verrà presentato subito. Ne auspichiamo un percorso rapidissimo. I cittadini hanno bisogno di segnali concreti. Si poteva fare di più? Certo, ma i governi di coalizione hanno il limite del compromesso e con questo bisogna alla fine fare i conti. È soprattutto il risultato politico, in prospettiva, ad essere positivo per il centrodestra. Dal vertice esce fuori un Pdl con una nuova formazione e una Lega capace di ripensare i propri dogmi, almeno in parte. È un passo avanti, non una rivoluzione, ma lo registriamo e lo apprezziamo. La nomina di Angelino Alfano come segretario politico del partito si è dimostrata di grande importanza perché ha consentito al Pdl di giocare liberamente la partita del confronto con la Lega, di mettere sul tavolo proposte alternative, di liberare altre energie e personalità, di dare a Giulio Tremonti una gamma d’opzioni politiche e non solo tecniche, frutto del confronto tra culture diverse. Questa manovra restituisce ai partiti e al capo del governo la conduzione della politica economica. È giusto così, perché il popolo sovrano non vota i tecnocrati ma i politici. Da questo momento la manovra entra nella fase parlamentare e potrà essere emendata. E qui veniamo al ruolo dell’opposizione e agli appelli alla collaborazione fatti da Giorgio Napolitano. Il centrodestra ascolti quel che ha da proporre il centrosinistra, ma quest’ultimo esca dal terreno della critica a prescindere e si cali nel ruolo di forza alternativa di governo. Se non lo fa, con l’aria che tira, i guai che attraversa e la riorganizzazione di ruoli e strategia in corso nel Pdl, starà fuori dal governo anche al prossimo giro.  Mario Sechi, Il Tempo, 30 agosto 2011

……….A commento delle prime notizie sul vertice di ieri tra Berlusconi e Bossi avevamo espresso un giudizio di attesa ma positivamente sorpreso per le intese raggiunte che hanno riequilibrato il rapporto tra PDL e Lega e riconfermato al PDL il ruolo di guida della maggioranza. Perciò non possiamo non condividere ciò che scrive Sechi e mostrarci, con lui, fiduciosi di una sterzata del governo verso misure mirate a bloccatre la crisi ma nello stesso tempo finalizzate a varare riforme strutturali e di principio. Ci attendiamo che giovedì prossimo il Consiglio dei Ministri vari il DSL costituzionale per l’abrogazione delle Provincie e per il dimezzamento dei parlamentari, provvedimento che costiuira la cartina di tornasole del vento nuvo che spira a destra. g.

RIDEFINITA LA MANOVRA, INTERVENTO SULLE PENSIONI, ABOLIZIONE DELLE PROVINCIE, DIMEZZAMERNTO DEI PARLAMENTARI

Pubblicato il 29 agosto, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Il premier Silvio Berlusconi (S) con Umberto Bossi Si è concluso dopo circa sette ore il vertice di maggioranza ad Arcore con Silvio Berlusconi e Umberto Bossi per trovare un accordo sulle modifiche alla manovra finanziaria. Diverse auto hanno lasciato villa San Martino con Fabrizio Cichitto, Maurizio Gasparri, Roberto Maroni e Giancarlo Giorgetti.  Nessuno ha voluto rilasciare dichiarazioni anche se Gasparri dall’auto ha fatto segno di “ok” col pollice sollevato.

Nessuna modifica all’Iva, soppressione di tutte le province e dimezzamento del numero dei parlamentari per via costituzionale. È quanto si sarebbe stabilito nel corso del vertice di maggioranza ad Arcore. Decisa l’abolizione del contributo di solidarietà che sarà sostituito con un intervento sulle pensioni. Le pensioni verranno calcolate in base “agli effettivi anni di lavoro”, escludendo quindi dal calcolo dell’anzianità gli anni relativi all’Università e al servizio militare obbligatorio, che manterranno invece la loro validità relativamente al calcolo della pensione.

L’aumento dell’imposta sul valore aggiunto sarà prevista invece nella delega fiscale. Il contributo di solidarietà sui redditi più alti sarà cancellato dalla manovra, ma resterà in vigore solo per i redditi dei parlamentari. Non una patrimoniale anti evasione come avrebbe voluto la Lega, ma comunque una stretta sulla società “di comodo” cui vengono intestati beni di lusso come yacht, elicotteri, aerei o macchine di alta gamma, per eludere il fisco è stata decisa dal vertice di maggioranza di Arcore sulla manovra. Decisa anche la riduzione dei vantaggi fiscali per le società cooperative.
Salvi i piccoli Comuni, dimezzati i tagli agli enti locali, che avranno maggiori poteri per la lotta all’evasione e la possibilità di trattenere le maggiori entrate. L’articolo della manovra che disponeva l’accorpamento dei piccoli Comuni sarà dunque sostituito con un nuovo testo che preveda “l’obbligo dello svolgimento in forma di unione di tutte le funzioni fondamentali a partire dall’anno 2013 nonché il mantenimento dei consigli comunali con riduzione dei loro componenti senza indennità o gettone alcuno per i loro membri”. L’impatto della manovra per Comuni, Province, Regioni e Regioni a statuto speciale viene “sostanzialmente dimezzato”, spiega una fonte presente all’incontro. E agli enti territoriali saranno attribuiti maggiori poteri e responsabilità nel contrasto all’evasione fiscale “con vincolo di destinazione agli stessi del ricavato delle conseguenti maggiori entrate.”

.…….Queste le prime notizie diffuse  al termine del vertice PDL-LEGA durato molte ore. Bisognerà attendere domani per capire meglio le decisioni assunte e quali riequilibri determinano all’interno della manovra finanziaria. A prima vista sembrerebbe che Berlusconi abbia ottenuto qualche passo indietro dalla Lega sulle pensioni, abbia ceduto sul contributo di solidarietà che è stato revocato, abbia ottenuto l’abolizione delle Provincie, tutte, e il dimezzamento del numero dei parlamentari, entrambi questi due provvedimenti da assumere con legge costituzionale.  Ma la legge si farà, o meglio il disegno di legge approderà mai in Parlamento? Se avvenisse,  assisteremmo a una decisione epocale perchè non crediamo che ci possa essere nessuno dei partiti presenti alla Camera e al Senato che non voterebbero i due provvedimenti, con il rischio di divenire impopolari. Il punto è: ci arriverà mai questo disegno di legge costituzionale, per il momento solo annunciato, in Parlamento? Ma su questo Berlusconi si gioca definitivamente la faccia! g.

ASPETTANDO IL COLPO DI SCENA

Pubblicato il 29 agosto, 2011 in Politica | No Comments »

Da sin. il ministro Maroni, il segretario del Pdl Alfano e il ministro Calderoli Piuttosto che formulare previsioni, impossibili nello scampolo di questo lunghissimo agosto, conviene esprimere solo auspici sul vertice odierno tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi. Mai come ora, neppure tornando con la memoria alla tarda estate del 1994, che pure fu la vigilia della loro prima clamorosa rottura, a pochi mesi soltanto di distanza dalla vittoria elettorale conseguita insieme, i rapporti fra i due protagonisti della cosiddetta seconda Repubblica e i loro rispettivi partiti si sono intrecciati con le sorti del Paese. Che francamente non si sa se sia destinato, dopo l’incontro di oggi e le modifiche che potranno derivarne alla manovra finanziaria e fiscale all’esame del Senato, più ad uscire da una crisi che è insieme economica e di sistema o a inabissarsi ancora di più. Già, perché questo rischio c’è, eccome. E dipende dal pervicace rifiuto della Lega, rimasta troppo presto orfana dell’unico e vero ideologo che ha avuto, Gianfranco Miglio, di sottrarsi ai doveri di un partito di governo.

A costo anche di sembrare un visionario, spero ancora in un colpo di scena. Che rovesci il teatrino deludente della festa leghista nel bergamasco dove il segretario del Pdl Angelino Alfano e i ministri del Carroccio Roberto Maroni e Roberto Calderoli, l’uno rassegnato e gli altri due gongolanti, hanno annunciato che le pensioni di anzianità “non si toccano”. Come se fossero mai state minacciate da tagli e sovrattasse. E’ stato in discussione nei giorni scorsi, e spero che torni ad esserlo, solo il lusso che il Paese non si può più permettere di erogarle ancora in anticipo rispetto all’età media in cui si smette di lavorare in tutta Europa, e altrove. È un lusso, quello delle pensioni anticipate di anzianità, che Maroni, anche se finge di averlo dimenticato, conosce bene per essersene occupato come ministro del Lavoro nel 2004, quando decise di metterle al giusto passo con l’introduzione di quello che fu chiamato allora uno “scalone”. E che la sinistra con il secondo e fortunatamente ultimo governo di Romano Prodi due anni dopo rimosse, o quasi, procurando un aggravio dei conti dello Stato unanimemente valutato in 10, dico dieci, miliardi di euro. Fu una decisione, quella, di una totale irresponsabilità finanziaria, politica e sociale, riconosciuta come tale in questi giorni anche nel maggiore partito di opposizione, il Pd dell’amletico Pier Luigi Bersani, fra gli altri, dal presidente della regione Liguria Claudio Burlando e dal senatore Enrico Morando. Ma Bossi, con la complicità persino di Maroni e di tutti gli altri dirigenti della Lega, aspiranti o no che siano alla sua successione, non ha voluto saperne di mettervi riparo. E, insultando alleati e avversari, ha battuto di tutto sul tavolo, anche il gomito che poi si è fratturato in casa.

Questa storia delle pensioni anticipate di anzianità, erogate peraltro con il vantaggioso sistema retributivo e destinate a rendere agli interessati ben più dei contributi versati, visto l’allungamento medio della vita, grida semplicemente vendetta. Specie agli occhi dei giovani che sanno di dover trovare anche per questo, quando capiterà a loro, delle pensioni da fame, se mai riusciranno a maturarne e trovarne una. Sono una vergogna pari solo a quella delle Province sopravvissute alla istituzione degli enti regionali, anch’esse difese dalla Lega con un misto di sfrontatezza e di penose furbizie, o a quella di tante dissestate e male amministrate aziende municipali al cui risanamento, con il ricorso alle privatizzazioni, si oppongono o resistono i dirigenti locali e nazionali del Carroccio. I costi economici e sociali che la Lega con queste dissennate scelte impongono al Cavaliere e al Pdl per proseguire nell’alleanza di governo, e risparmiare al Paese, nel bel mezzo di una turbolenza planetaria dei mercati, quella crisi ministeriale reclamata dalle parti peggiori dell’opposizione, e dalla solita Cgil già ricorsa allo sciopero generale, sono destinati a vanificare anche il salutare ripensamento maturato, salvo smentite, sul fronte della maggiore tassazione degli stipendi, delle pensioni e dei redditi superiori ai 90mila euro lordi l’anno. Che costituiscono la soglia oltre la quale, secondo la manovra fiscale di ferragosto uscita dalle supermeningi del ministro Giulio Tremonti, comincerebbero in Italia le praterie dei ricchi, le vene d’oro- pensate un po’- del Paese. Eppure negli Stati Uniti d’America la soglia reddituale della ricchezza, oltre la quale scatta il massimo del prelievo fiscale, è di 250 mila dollari. Nella più vicina Francia la soglia appena indicata per applicarvi una maggiorazione fiscale, che in Italia si chiama ipocritamente contributo di solidarietà sociale per sottrarla al rischio di un giudizio di illegittimità costituzionale, è di ben 500mila euro lordi l’anno. Sarebbe proprio bello se oggi Bossi spiazzasse tutti, a cominciare dai suoi, e si facesse convincere da Berlusconi a cambiare registro e spartito. Troppo bello per essere vero e non buscarsi invece l’ennesima, solita pernacchia. Francesco Damato, Il Tempo, 29 agosto 2011

.……Anche noi, come l’editorialista de Il Tempo, aspettiamo e speriamo (come la  famosa canzone in voga ai tempi della conquista dell’Abissinia) il colpo di scena o di teatro, dopo il vertice tra Berlusconi e Bossi. Si sa che la speranza è l’ultima a morire, ma abbiamo il fondato timore che al termine del vertice – che è già iniziato – non ci sarà alcun colpo di scena e nessuna novità rispetto a quanto si dice in giro. Del resto fu fulminante – e per molti versi imbarazzante per chi come noi abbiamo riposto speranze ed attese in Alfano – vedere qualche giorno fa Alfano alla festa leghista di Bergamo annaspare dinanzi ai diktat urlati da Maroni:” le pensioni d’anzianità non si toccano, è vero che non si toccano, si non si toccano…”), fulminante e imbarazzante perchè al segretario del maggior partito della maggioranza e del più grande partito italiano fu impedito – come si è visto nei filmati televesivi trasmessi e ritrasmessi -  di prendere la parola lì per lì, salvo prenderla dopo per dire, sconsolatamente, che se la Lega dice di no non si può che fare come dice la Lega. E non solo sul tema delle pensioni di anzianità, ma anche sui tagli ai costi della politica,  a incominciare dalla provincie la cui   sforbiciata  già annacquata dall’intreccio del numero degli abitanti ai chilometri quadrati di territorio  è destinata ad essere stralciata per essere inserita in una disegno di legge costituzionale che comprenderebbe anche il dimezzamento del numero dei parlamentari….ossia campa cavallo che l’erba cresce! Con questi precedenti è difficile che possa verificarsi il colpo di scena auspicato da Damato e che rimetterebbe in corsa il governo non solo per salvare il Paese dalla tenaglia della crisi ma anche per riprendere la corsa per continaure a governare sino al 2013 ed essere in grado di  competere per il futuro. Al contrario è prevedibile che la Lega imponga la sua volontà con tutte le conseguenze che ne deriveranno. g


TREMONTI RESTA SOLO. SI RIAPRONO I GIOCHI, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 28 agosto, 2011 in Politica | No Comments »

Domani sapremo come sarà la manovra finanziaria. Quali tasse e quali tagli saranno noti al termine dell’incontro tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi. Angelino Alfano e Roberto Maroni stanno finendo il lavoro preparatorio. Ritocco all’Iva, balzello sui redditi ma solo sopra i 150mila euro (o addirittura niente), stralcio per pensioni e abolizione delle province (se ne parlerà nelle prossime settimane), nuove contrattazioni nel mercato del lavoro. Questo è quello che bolle in pentola ma i colpi di scena non sono da escludere. Il ministro Tremonti non si sbottona. Ieri è stato l’ospite d’onore del Meeting di Cl. Ha volato alto (Eurobond, governo europeo dell’economia) e come al solito gioca da solo. Lui è l’economia, Lui è la finanza. Lui sapeva, Lui ha fatto, Lui vorrebbe fare. Verrebbe da dire: ma se è così bravo e l’hanno lasciato pure fare (la sua prima manovra di giugno ha resistito poche settimane al giudizio dell’Europa) perché mai siamo in questa situazione? Domanda inutile, troppo banale per il professore che odia la politica, i politici, i giornali e anche un po’ il popolo degli elettori, fastidioso lasciapassare per arrivare nelle stanze che contano.
Giustamente ieri il ministro non è entrato nei dettagli della manovra. Troppo delicati sono gli equilibri politici per anticipare decisioni che non hanno ancora il timbro dell’ufficialità. Ma detto questo, colpisce che Tremonti in un discorso pur sempre politico (non era alla Bocconi e neppure alla Sorbona ma in un consesso politico-culturale) non abbia nominato neppure una volta il governo del quale fa parte né il suo premier Berlusconi. Quasi non volesse sporcarsi le mani con compagni di viaggio che mal sopporta, con un partito, il Pdl, che non ha mai amato. Nessuno si aspettava una difesa passionale di quello che il governo ha fatto e sta facendo, ma un distacco così netto e gelido è la prova che Tremonti ha ormai poco a che fare con la maggioranza della quale fa parte e con il suo futuro.
La verità è che soltanto la pazienza proverbiale di Berlusconi ha fino ad ora impedito la rottura clamorosa e definitiva. Ma l’aria per il superministro è cambiata. Da mesi è caduto il dogma che «senza Tremonti non si può». Persino il moderato Sandro Bondi, non più coordinatore del Pdl ma pur sempre nelle grazie di Berlusconi, ieri lo ha definito «un problema». La sua incapacità di gestire situazioni complesse è evidente, serviva un ministro e nel momento decisivo è emerso il commercialista, che per di più offre ricette a scatola chiusa non condivise dai clienti. Anche lo scudo che la Lega gli ha sempre offerto ormai traballa perché il prezzo che Giulio vuole far pagare è troppo alto pure per il popolo padano.
Così da commissario del governo, Tremonti piano piano si ritrova commissariato. Alcuni ministri stanno ritrovando il coraggio di contestarlo apertamente (Galan, Sacconi, Brunetta), le trattative vere passano attraverso Alfano e Maroni (con Gianni Letta sempre molto vigile), la linea e i rapporti con l’Europa vengono filtrati da Mario Draghi, futuro governatore della Banca Centrale. Se poi si pensa che tra poche settimane tornerà alla ribalta la vicenda del suo ex braccio destro Marco Milanese (richiesta di arresto alla Camera), il professore ha poco da stare tranquillo. Il Giornale, 29 agosto 2011
.…….Sallusti ci piace e lo leggiamo sempre con attenzione, condividendone spesso i giudizi e i propositi. Questa volta però se i giudizi sono condivisibili, non tanto i propositi. Battere Tremonti – che non ci piace – usando lo strumento dello smantellamento della manovra finanziaria non ci sembra un buon proposito, anzi non ci sembra  un buon obiettivo. Cedere, come ci pare stia per accadere, ai diktat della Lega  a proposito delle pensioni, del contributo di solidarietà e dei tagli veri ai costi della politica (rinvio alle prossime settimane cioè a mai dell’abolizione delle Provincie) non è un buon risultato e non risolve i problemi, salvo, forse, il prepensionamento di Tremonti. Un pò poco, ci pare. g

I VOLTAGABBANA DI TRIPOLI? DA BRUTO A FANFANI STORIA -ED ELOGIO! – DEI TRASFORMISTI

Pubblicato il 28 agosto, 2011 in Costume, Politica, Storia | No Comments »

Un po’ sfacciatella,nel suo cambio di casac­ca, la giornalista televisiva libica Hala Mi­srati lo è indubbiamente stata. Presentata­si in video con pistola in pugno ed espressione eroica, una settimana fa si dichiarò pronta a esse­re martire della causa di Gheddafi. Adesso, dopo l’arresto, gli si è rivoltata contro e parla di «regime del tiranno». Una bella faccia tosta da affiancare ad altre facce non meno toste. Come quelle del pri­m­o ministro del governo transitorio Mahmoud Ji­bril, o di Mustafa Jalil presidente del Cnt, un tem­po entrambi ferventi seguaci del Colonnello. I ripensamenti libici non sono che gli ultimi esempi d’una cultura del voltagabbanismo che percorre tutta la storia millenaria delle relazioni tra potentati e tra potenti. Tanto da sollecitare un interrogativo che i moralisti della politica potran­no anche ritenere improponibile, ma che a me sembra invece molto sensato. I voltagabbana so­no stati e sono, negli eventi dei popoli, una vergo­gna, o una risorsa, o tutte e due le cose in­sieme? Prendiamo proprio il caso libi­co. A chi è meglio affidarsi, per assi­curare una transizione morbida, senza ammazzamenti rappresa­glie e vendette dalla dittatura di Gheddafi al regime prossimo ven­turo? Non certo ai fanatici del fon­damentalismoislamicoche, incor­rotti e incorruttibili, aspirano a in­staurare in Libia, e possibilmente dovunque, clericocrazie autorita­rie, munite di temibili polizie per la salvaguardia dei costumi e del cora­no. E nemmeno a intellettuali elita­ri che sognano per il terzo mondo istituzioni ricalcate sul modello delle più solide e antiche democra­zie. I traghettatori lì si sono dovuti cercare-nella speranza d’averli tro­vati- altrove: proprio tra gli ex preto­riani e cortigiani del raìs sconfitto. Infatti è di là che viene il nerbo della nuova- si fa per dire- dirigenza libi­ca. Tutti ostentano buoni motivi per i loro pentimenti, ci sono i trom­bati con il dente avvelenato, ci so­no i furbi che hanno subodorato il fatale declino d’un despota in sella da 42 anni, ci sono gli acrobati del salto all’ultima ora,appena in tem­po per accodarsi alla turba inneg­giante ai vincitori e imprecante contro lo sconfitto. Saranno loro, forse,cherisparmierannoall’Occi­dente il pericolo di trovarsi di fron­te, sulla sponda africana, un bloc­co politico-religioso intollerante e aggressivo. I voltagabbana come lubrifican­te della storia. Può essere sconfor­tante ammetterlo ma è così. Si può tradire per mille diversi motivi, per i più nobili ideali come Bruto: o per venalità come i condottieri rinasci­mentali che si mettevano al servi­zio di questo o quel signore dietro lauto pagamento: o per alti e anche lodevoli disegni politici. Si diceva d’un principe di casa Sa­voia che non finisse mai una guerra dalla stessa parte in cui l’aveva co­minciata, e se questo ac­cadeva era perché ave­va cambiato campo due volte. In determinate epoche, prima cioè che la politica e i conflitti ve­nissero rivestiti a torto a ragione di panni ideali, queste trasmigrazioni erano normali. Apparte­nevano alla lotta per il dominio e per il potere. Machiavelli ha dato si­stematicità e dignità a questo brutale procede­re degli avvenimenti che coinvolgono i re­gnanti, a Cesare Borgia detto il Valentino nessu­no avrebbe mai chiesto d’essere coerente, gli si chiedeva d’essere – e non lo fu – vincente. La figura del voltagab­bana- o se vogliamo del mercenario militare, pronto a mettere la sua spada al servizio del mi­gliore offerente – si è in­cupita e avvilita quando l’ideologia ha rivestito di fini salvifi­ci o patriottici le guerre, le conqui­ste, le vittorie, le sconfitte, i patteg­giamenti. Fu esaltata la resistenza della Francia rivoluzionaria all’as­sedio dell’ancièn régime. Ma toccò proprio a Napoleone I,l’erede del­la Rivoluzione che ne portò in tutta Europa il verbo – seppure correda­to di ori imperiali – di patire i più brucianti abbandoni. Quello del maresciallo Ney che passò ai reali­­sti, nei cento giorni dopo la fuga dal­l’-Elba tornò agli ordini di Napoleo­ne e, dopo Waterloo, fu infine dai re­alisti fucilato per tradimento. Ci vuole, per sopravvivere come volta­gabbana, un talento che a Ney man­cava. O quello-l’abbandono-di Char­les Maurice Talleyrand, volta a vol­ta vescovo, rivoluzionario, mini­stro bonapartista, orditore di com­plotti contro Napoleone, rappre­sentante della Francia al congres­so viennese della restaurazione. Il «Girella emerito» del Giusti che, per àncora d’ogni burrasca teneva – cito a memoria- «da dieci a dodici coccarde in tasca».Servì più padro­ni, ma servì alla Francia o la danneg­giò? Camillo Benso conte di Cavour fu un voltagabbana? Di sicuro lo fu. Gli avversari gli rimproverarono la spregiudicatezza con cui nel 1852, per avere la nomina a primo mini­stro, si alleò alla sinistra di Urbano Rattazzi. Avevaungrandedisegno, e nessuna esitazione nell’essere,al­l’occorrenza, ambiguo o bugiardo tout court. Nell’«italietta» post ri­sorgimentale Agostino Depretis diede un’etichetta quasi ufficiale alle giravolte della sua esperienza di governo, alla sua arte di navigare senza fulgori ma anche senza gli gIà, SIAMer­rori di cui si rese poi colpevole Cri­spi tra opposte sponde e scogli affio­ranti. La si chiamò,quell’esperien­za, trasformismo. Se la qualifica di voltagabbana si addice anche agli Stati, la merita senza dubbio l’Italia del 1914-1915 passata, dopo lo scoppio della Grande Guerra, dall’alleanza con l’Austria alla neutralità e infine al­l’intervento a fianco dei francesi e degli inglesi.
Ci saremmo esibiti in analoghi e peggiori voltafaccia an­che nella seconda guerra mondia­le, quanto ci schierammo con la Germania trionfante e l’abbando­nammo allorché fu in difficoltà. Con zelo servile dichiarammo infi­ne guer­ra ai nostri ex alleati Germa­nia e Giappone. Alla caduta del fascismo la voca­zione italiana per il voltagabbani­smo- ma non è un’esclusiva,basta pensare alla Francia tra Pétain e De Gaulle- emerse prepotentemente. Il maresciallo Badoglio, protagoni­sta negativo di Caporetto, conqui­statore dell’Etiopia, vecchio arne­se del regime fascista, si scoprì de­mocratico, Vittorio Emanuele III, che aveva apprezzato Giolitti e su­bìto mugugnando ma obbedendo Mussolini, riluttò all’abdicazione, riteneva d’essere adatto per tutte le stagioni. Un popolo che era stato compattamente in camicia nera di­chiarò da u­n giorno all’altro d’aver­la sempre aborrita, e Amintore Fan­fani che aveva tessuto in un suo li­bro le lodi del corporativismo fasci­sta si ritrovò tra gli uomini più pro­mettenti della Dc. Possiamo anche aggrottare il sopracciglio per certe deambulazioni sfrontate, ma non senza riconoscernel’utilità.Nel tra­monto- non foss’altro che per moti­vi anagrafici- della stagione berlu­sconiana, si profilano altri travesti­menti e mascheramenti. Preparia­moci a tutto. Mario Cervi, Il Giornale, 29 agosto 2011
.…………….L’avvertimento di Cervi è superfluo, come del resto questo breve excursus nella storia del trasformismo, anzi, chiamiamolo per nome, del tradimento, sta a dimostrare.

L’IPOCRISIA DEI PACIFISTI:URLA SU SADDAM E SILENZIO SU GHEDDAFI, di Giuliano Ferrara

Pubblicato il 28 agosto, 2011 in Politica estera | No Comments »

Una delle guerre più stupide e sporche della storia europea cominciò con una sequela di menzogne, parte delle quali timbrate dalle Nazioni Unite, parte subite nell’ignavia della comunità internazionale: bisogna difendere i civili da Gheddafi, bisogna riscattare un paese in cui il de­stino dell’opposizione pri­maverile sono le fosse comu­ni (inesistenti, si trattava di un cimitero marino), biso­g­na cacciare un tiranno stra­tegicamente pericoloso per la pace nel Mediterraneo, ma non daremo la caccia a Gheddafi, vogliamo solo pro­teggere i diritti di coloro che lo combattono, gente solida e affidabile che garantisce un futuro di pace e di democrazia per la Libia. Saddam Hussein era effettivamente un tiranno fuorilegge da anni nella comunità internazionale, un signore della tortura che non piantava le sue ten­d­e e le sue amazzoni nei centri storici di Roma e Pa­rigi, che non faceva affari, se non loschi e clandesti­ni, con l’occidente, che era stato dichiarato fuori­legge per avere tentato di accaparrarsi il Kuwait, per avere stermina­to curdi e sciiti con armi di distru­zione di massa, per aver progetta­to il n­ucleare militare finché Israe­le con un blitz non distrusse il suo sogno e il nostro incubo del reatto­re di Ozirak, detto anche O-Chi­rac. E dietro la guerra a Baghdad, costata molto agli iracheni e agli americani e combattuta anche con il sacrificio di migliaia di vite di soldati eroici dell’Occidente in reazione politica dopo l’11 settem­bre, non c’erano le menzogne del­l’Onu e le farneticazioni della rive gauche parigina, non c’erano le bestialità umanitarie che cercano penosamente di coprire il bagno di sangue clanistico e tribale in corso in Libia con la nostra fattiva complicità,c’era un manifesto po­litico delle libertà civili nel mondo islamico, c’era il riscatto costitu­zionale di un popolo vissuto per trentaquattro anni all’ombra di un socialismo arabo del terrore e della repressione più spietata. Co­me in Siria, dove l’umanitarismo non penetra chissà perché. Avete per caso visto un manife­stante pacifista di quelli indignati contro la «guerra per il petrolio», che non ha portato una goccia di petrolio nelle casse imperialiste e ha lasciato l’oro nero finalmente nelle casse di uno stato ricostruito secondo giustizia, ribellarsi alla vera guerra del petrolio, per di più cinica e levantina perché non era in discussione la giugulare petroli­fera libica ma solo le condizioni di forza tra diversi paesi europei per il suo accaparramento? Avete let­to qualcuno dei commentatori malmostosi e insinceri del dolore iracheno scrivere con toni indi­gnati del carattere neocoloniale, assurdo, surreale e sanguinario, della guerra dei cieli che la Nato è stata portata a combattere senza una strategia chiara, senza un sen­so politico accettabile, con un di­spendio vano e crudele di risorse dall’alto che ha imposto la feroce, lunga carneficina in corso? La guerra in Iraq aveva piegato quel vecchio capo tribale, quel mascalzone di Tripoli, e lo aveva convinto a trasformarsi in uomo d’affari, a eliminare i programmi di riarmo non convenzionale, a mettersi sotto la tutela delle diplo­mazie e delle cancellerie occiden­tali. La guerra giusta aveva inflitto una sconfitta strategica definitiva al clan Gheddafi, bisognava solo lavorare per un cambio di regime politico con mezzi politici. Ma l’iperattivista Sarkozy e l’inesper­to pupo del numero 10 di Dow­ning Street non potevano aspetta­re, avevano bisogno di muovere lo scacchiere e farsi belli di qual­che decina di migliaia di morti a scopo umanitario. Così il paese, la Francia, che aveva diviso l’Occi­dente davanti a un pericolo reale, Saddam, e a una missione leale, ha trascinato l’Europa e purtrop­po una riluttante Italia minore, con la solida eccezione della Ger­mania, in una insidiosa avventura che al meglio è destinata a sostitui­re Gheddafi con i gheddafiani, al peggio è candidata a procurarci un’altra bella Somalia nella quar­ta sponda. Può succedere che la politica di potenza abbia risvegli da incubo, e produca menzogne belluine, ma che l’opinione pubblica «de­mocratica e pacifista e antimpe­rialista » abbia subito tutto questo, con rare eccezioni,e che abbia ac­comp­agnato l’avventurismo euro­peo con una palese esibizione del doppio standard, due pesi e due misure, è un’ombra che peserà sulla nostra storia, e sui nostri ef­fettivi interessi strategici, per mol­ti anni a venire. Il Giornale, 29 agosto 2011

SI VUOL NEGARE A GHEDDAFI ANCHE IL DIRITTO A DIFENDERSI? di Massimo Fini

Pubblicato il 27 agosto, 2011 in Politica estera | No Comments »

Una foto d’archivio che ritrae la stretta di mano tra Sarkozy e Gheddafi: forse che allora Sarkozy non sapeva che Gheddafi era un sanguinario dittatore? E se lo sapeva perchè mai gli stringe la mano, lo riceve all’Eliseo e gli sorride beato?
Non c’è da indignarsi se i soldati di Gheddafi hanno sequestrato quattro giornalisti italiani. A furia di chiamarla con altri nomi ci siamo dimenticati che cos’è la guerra. Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Italia hanno attaccato la Libia di cui Gheddafi era fino a pochi mesi fa il riconosciuto e legittimo leader. È ovvio che qualsiasi francese, inglese, americano o italiano, anche se civile, che si trovi oggi sul suolo libico sia considerato un nemico e trattato come tale. Che i quattro fossero giornalisti ha un’importanza relativa.

Nella seconda guerra mondiale, l’ultima in cui vigeva ancora uno “ius belli”, non sarebbe stato nemmeno pensabile che un giornalista inglese operasse al di là delle linee tedesche o viceversa.

Certamente in una guerra civile le cose sono più complesse. Perché non c’è un fronte o se c’è è labile, una zona che è sotto il controllo di una fazione può passare nel giro di due ore nelle mani di un’altra. È questa la trappola in cui sono caduti i coraggiosi inviati italiani. I giornalisti sono stati poi liberati da due giovani e generosi lealisti (gli uomini hanno occhi per vedere e cuore per sentire, i missili no). Ma se fossero stati tenuti prigionieri sarebbe stato legittimo.

GHEDDAFI E OBAMA

Altra foto d’archivio: doppia stretta di mano tra Gheddafi e Obama. Neppure Obama sapeva che stava stringendo le mani di un violento e sanguinario dittatore?

Di tutte le aggressioni perpetrate dalle Democrazie dopo il crollo del contraltare sovietico quella alla Libia è la più sconcertante. Per anni Gheddafi aveva trafficato col terrorismo, ma da quando la Libia aveva pagato un enorme risarcimento per le 700 vittime dell’attentato di Lockerbie, il Colonnello era tornato a pieno titolo nell’arengo della rispettabilità internazionale.

Paesi europei facevano lucrosi affari con la Libia (non olet) e il leader libico era ricevuto con tutti gli onori dai Premier . Poi qualcuno, improvvisamente, ha deciso che Gheddafi doveva essere eliminato. “Agenti provocateur” francesi e britannici furono inviati in Cirenaica per fomentar la rivolta.

Quando è scoppiata Gheddafi ha cercato di reprimerla. Si disse allora che sparava sui civili. Ma una rivolta, un’insurrezione, è fatta, per definizione, da civili, altrimenti porta un altro nome, si chiama golpe militare. Si varò una risoluzione Onu che, si disse, doveva imporre una “no fly zone” per impedire a Gheddafi di sfruttare la propria superiorità aerea.

ZAPATERO E GHEDDAFI

Anche  Zapatero – l’ex voto spagnolo della sinistra italiana – non disdegnava di intrattenersi con Gheddafi. Anche Zapatero non sapeva?

Anche se violava il principio di diritto internazionale della non ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano, peraltro già buttato a mare con la Serbia, la cosa ci poteva anche stare per rendere meno sperequati i rapporti di forza fra le fazioni.

Ma subito si capì che le Democrazie non volevano affatto difendere i civili libici, ma semplicemente abbattere il regime di Gheddafi bombardando con gli aerei Nato anche le sue forze terrestri, i suoi comandi e la popolazione che gli era rimasta fedele. A causa dell’intervento Nato non sapremo mai quale era la reale consistenza della rivolta.

blair gheddafi

E non poteva mancare il laburista Blair che abbraccia Gheddafi.

Sappiamo però che il dittatore non era così isolato come oggi si vuol far credere. Come scrive Sergio Romano sul Corriere (24/8) il suo nazionalismo, l’antiamericanismo, il no al radicalismo religioso avevano l’approvazione di una parte consistente del popolo libico.

Inoltre le grandi risorse del sottosuolo gli avevano consentito di creare nuovi ceti sociali benestanti. Se fosse altrimenti non si capirebbe la strenua resistenza che i gheddafiani, pur in totale inferiorità militare, stanno opponendo alla Nato.

Il ministro Frattini ha dichiarato che “se Gheddafi continuerà a incitare alla guerra civile sarà tenuto come unico responsabile del bagno di sangue” (peraltro già avvenuto: 20mila morti). Si vuole negare a Gheddafi anche il diritto di difendersi? Massimo Fini, Il Fatto, 27 agosto 2011

.……Massimo Fini è un giornalista che non le manda a dire…le dice.  Questo articolo, infatti,  si discosta dalle veline con cui i mass media hanno trattato la guerra d’agressione perpetrata dalla Francia e dall’Inghilterra, d’intesa con gli USA, trascinandovi per il collo anche l’Italia, contro la Libia, Paese sovrano e membro dell’ONU. L’articolo di Fini evidenzia che mentre  sembrava che le guerre coloniali fossero un  brutto ricordo del secolo scorso,  pare invece  che siano tornare di attualità. Grazie al duo Cameron e Sarkozy. A chi toccherà la prossima volta? g.

BANDIERE ROSSE E PRIVILEGI D’ORO: ECCO LA “CASTA” DEI SINDACALISTI

Pubblicato il 27 agosto, 2011 in Costume | No Comments »

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Con leggi e leggine si sono rita­gliati privilegi su privilegi. Una norma qui, un articolo là e tutto s’incastra al punto giusto. I sinda­cati dovrebbero tutelare i lavora­tori, ma in realtà sono, come ha in­­titolato un suo libro il giornalista dell’ Espresso Stefano Livadiotti, l’altra casta. Una nomenklatura che spesso si sovrappone e si con­fonde con quell­a ospitata sui ban­chi di Palazzo Madama e Monteci­torio. Nella scorsa legislatura 53 deputati e 27 senatori, per un tota­le di 80 parlamentari, provenivano dalla Triplice. Secondo Livadiotti costituiscono il terzo gruppo par­lamentare, insomma formano una lobby agguerrita quanto se non più di quella degli avvocati. E nel tempo hanno strutturato un si­stema di potere studiato fin nei dettagli.Non che non abbiano me­riti storici impo­rtantissimi nell’af­francamento di milioni di italiani, ma col tempo i sindacati hanno cambiato pelle. E anima. Basti dire che i rappresentanti dei lavoratori hanno un patrimo­nio immobiliare immenso, ma non pagano un euro di Ici. Si fa un gran parlare di questi tempi delle sanzioni di cui gode la Chiesa cat­tolica ma i sindacati non versano un centesimo. Altro che santa eva­sione. Il lucchetto è stato fabbrica­to col decreto legislativo numero 504 del 30 dicembre 1992, in pie­no governo Amato. Con quella tro­vata, i beni sono stati messi in sicu­rezza: lo Stato non può chiedere un centesimo. Peccato, perché non si tratterebbe di spiccioli. Per capirci la Cgil dice di avere 3mila sedi in giro per l’Italia. È una sorta di autocertificazione perché, al­tra prerogativa ad personam , i sin­dacati non sono tenuti a presenta­re i loro bilanci consolidati. Sfug­gono ad un’accurata radiografia e non offrono trasparenza, una mer­ce che invece richiedono punti­gliosamente agli imprenditori. Dunque, la Cgil dispone di un al­bero con 3mila foglie ma la Cisl fa anche meglio: 5mila sedi. Uno sproposito. E la Uil, per quel che se ne sa, ha concentrato le sue pro­prietà nella pancia di una spa, la Labour Uil, che possiede immobi­li per 35 milioni di euro. Lo Stato che passa al pettine le ricchezze dei contribuenti non osa avvici­narsi a questi beni. Il motivo? La legge equipara i sindacati, e in ve­rità pure i partiti, alle Onlus, le or­ganizzazioni non lucrative di utili­tà sociale. Dunque la Triplice sta sullo stesso piano degli enti che raccolgono fondi contro questa o quella malattia e s’impegnano per qualche nobile causa sociale. Insomma, niente tasse e map­pe s­fuocate perché in questa mate­ria gli obblighi non esistono. E pe­rò lo Stato ha alzato un altro ponte levatoio collegando il passato al presente con un balzo vertigino­so. Risultato: le principali sigle hanno ereditato le sedi dei sinda­cati di epoca fascista. Gli immobi­li del Ventennio sono stati asse­gnati a Cgil, Cisl Uil, Cisnal (l’at­tuale Ugl) e Cida (Confederazio­ne dei dirigenti d’azienda). Senza tasse, va da sé, come indica un’al­tra norma: la 902 del 1977. Leggi e leggine. Così un testo ad hoc , questa volta del 1991, permet­te alle associazioni riconosciute dal Cnel di poter creare i centri di assistenza fiscale. I mitici Caf. Qui i lavoratori ricevono assistenza prima di compilare la dichiarazio­ne dei redditi. Attenzione: la con­sulenza è gratuita perché, ancora una volta, è lo Stato a metterci la faccia e ad allungare la mano. Per ogni pratica compilata lo Stato versa un compenso. È un busi­ness che vale (secondo dati del 2007) 330 milioni di euro. Soldi e un trattamento di lusso. Altro capitolo, altro scivolo, altro privilegio: quello dei patronati. Ogni sindacato ha il suo. Il moti­vo? Tutelare i cittadini nel rappor­to con gli enti previdenziali. Co­me i Caf, ma sul versante pensio­nati. Questa volta la legge è la 152 del 2001. Lo Stato assegna ai patro­nati lo 0,226 dei contributi obbli­gatori incassati dall’Inps, dal­l’Inpdap e dall’Inail. Altri trecen­to e passa milioni che servono per far cassa. E per tenere in piedi la baracca. Le stime, in assenza di bi­lanci, sono approssimative ma i sindacati mantengono un appara­to di prima grandezza e hanno cir­ca 20mila dipendenti. Sono i nu­meri di una multinazionale che però si comporta come un’azien­dina con meno di 15 dipendenti. Altrove, vedi lo Statuto dei lavo­­ratori, le tute blu sono tutelate tan­t’è che Berlusconi a suo tempo aveva provato, invano, ad aprire una breccia proponendo la can­cellazione dell’articolo 18. Ma dal­le parti della Triplice valgono al­tre regole, diciamo così, più libe­ral o, se si vuole, meno restrittive. Un’altra leggina, questa volta del 1990, offre a Cgil, Cisl, Uil la possi­bilità di mandare a casa i dipen­denti senza tante questioni. In­somma, è la libertà di licenzia­mento. Una bestemmia per gene­razioni di «difensori» degli ope­rai, dei contadini e degli impiega­ti. Ma non nel sancta sanctorum dei diritti. Due pesi e due misure. Come sempre. O almeno spesso. Per non smarrire le ragioni degli ultimi si sono trasformati nei pri­mi. Creando appunto un’altra ca­sta. Ora, la Cgil di Susanna Camus­so proclama lo sciopero generale per il 6 settembre e chiama a rac­colta milioni di uomini e donne. Un appello, legittimo, ci manche­rebbe. Ma per una volta i sindaca­ti farebbero bene a guardarsi allo specchio. Forse, qualcuno non si riconoscerebbe più. Stefano Zurlo, Il Giornale, 27 agosto 2011
.……E Zurlo dimentica le migliaia di sindacalisti, pagati dalle aziende e sopratutto dallo Stato, posti comando o in distacco  retribuiti che lavorano (se lavorano!) per i sindacati. Altro che casta. E una banda di delinquenti che sfrutta i lavoratori per farsi i propri affari.  Come quell’ analfabeta insegnante  (sic!) di tecnica nelle scuole media che si è inventato un sindacato che conta due o tre iscritti, grazie ai quali ottiene distacco retribuito e riesce a farsi incaricare dirigente scolastico. Uno che al più in una scuola seria e libera dai sindacati avrebbe potuto fare il puliscia cessi.

IN SIRIA IL REGIME SPEZZA LE MANI AL VIGNETTISTA ANTISADAT. E NESSUNO FIATA

Pubblicato il 27 agosto, 2011 in Costume, Politica estera | No Comments »

DAMASCO – Aveva disegnato Assad che faceva l’autostop con Gheddafi e altre vignette satiriche anti regime. Lo hanno pestato a sangue e gli hanno spezzato le mani.

Così gli agenti dei servizi di sicurezza di Damasco hanno dato una lezione al celebre vignettista siriano Ali Ferzat per ridurlo al silenzio. Gli hanno detto, ha riferito un familiare dell’artista, che si è trattato «solo di un avvertimento» e gli hanno ordinato di smettere di disegnare.

Le vignette di Ali Ferzat Le vignette di Ali Ferzat Le vignette di Ali Ferzat Le vignette di Ali Ferzat Le vignette di Ali Ferzat Le vignette di Ali Ferzat Le vignette di Ali Ferzat Le vignette di Ali Ferzat

«Le nostre vite sono in pericolo», ha spiegato l’uomo. Fondatore di un giornale satirico chiuso dopo numerosi attacchi e censure, il disegnatore ha un sito dove pubblica i suoi disegni (www.ali-ferzat.com) che ieri è stato a tratti oscurato. Alla vigilia del 25esimo venerdì consecutivo di proteste, gli attivisti hanno denunciato l’uccisione di almeno quindici persone in 24 ore, tra cui una donna. Il Corriere della Sera, 27 agosto 2011

…. Fin qui il Corriere della Sera che in prima pagina, come hanno fatto ieri nunmerose testate televisive, hanno dato notizia del pestaggio cui è stato sottoposto il vignettista satirico siriano Alì Ferzat come punizione per le vignette  contro il dittatore siriano che a parole promette democrazia e nei fatti reprime il dissenso, anche quello della satira che, come si sa, uccide più delle baionette. Naturalmente il silenzio delle diplomazie internazionali è assordate. Non osiamo pensare cosa sarebbe accaduto se, per esempio, qualche cosa molto, molto meno simile fosse accaduto al Vauro di Santoro o al Crozza di Floris. Sorvoliamo. E ci domandiamo. Dove diavolo sono Cameron e Sarkozy che mossi da irrefrenabile preoccupazione per le vittime del sanguinario Gheddafi hanno scatenato una guerra contro un Paese sovrano, membro dell’ONU, sganciando tonnellate di esplosivo sulle città libiche che hanno mietuto, pare,  oltre 20000 mila morti, la maggior parte dei quali tra i civili inermi che si sono trovati nella traiettoria delle bombe? E contro la Siria di Sadat, che nelle ultime settimane, senza l’aiuto delle bombe democratiche  francesi e inglesi , ha falciato centinaia di inermi cittadini la cui unica colpa era ed è quella di aspirare alla libertà di cui la democrazia è una conseguenza, perchè mai nottetempo i due campioni sopradetti non hanno concordato l’invio dei superjet armati di missili  per sforacchiare il regime  e costringerlo a lasciare liberi i siriani? E perchè il Tribunale penale dell’Aia, sempre pronto a reclamare imputati quando questi non sono più in grado di reagire, non chiedono l’immediata estradizione di Sadat dinanzi a quel Tribunale per rispondere, come Gheddafi e i suoi figli,  e prima di lui, Milosevic, e gli altri brutti ceffi del genocidio serbo,  dei crimini contro l’umanità? Ci viene il dubbio che al duo Cameron-Sarkozy dei libici non gliene fregasse più di tanto e che ad indurli alla guerra  non sia stata la commossa preoccupazione per la le loro vite, bensì i loro affari e quelli dei loro amici e delle loro aziende petrolifere. Quanto al Tribunale penale dell’Aia, ci fa  venire alla mente che da sempre i vinti hanno torto e i vincitori scrivono la storia. Spesso genuflettendola ai propri interessi.  g.