Silvio Berlusconi domani sarà in aula alla Camera a fare il punto sulla crisi economi­ca. Ieri la nostra Borsa ha preso una brutta botta, più o meno in linea (fatta la tara sul­la situazione dei debiti) con quelle di Parigi, Ma­drid e Francoforte. Il mix tra la crisi americana e l’attacco degli speculatori sta facendo danni enor­mi. I governi nazionali fanno quello che possono per arginare l’onda. Quello italiano ha convocato per giovedì le parti sociali che avevano chiesto un vertice di svolta. Quando le cose girano al peggio tornano i vecchi riti della concertazione, come se sindacati e Confindustria avessero la bacchetta magica o la verità in tasca. Purtroppo è l’inverso. Proprio le parti sociali, complice una politica scel­lerata, sono le responsabili della mamma di tutti i mali, quel debito pubblico gigantesco accumula­to nei decenni di cogestione impropria della cosa pubblica. Dalle pensioni alla sanità, dal pubblico impiego alla grande impresa assistita, e più in ge­nerale agli aiuti di Stato non c’è voce importante della voragine di bilancio che non porti la firma di Cgil e industriali.

C’è quindi da fidarsi di una loro ricetta anti crisi? Non penso. Tasse in cambio di assunzioni, pace so­ciale barattata con la libertà d’impresa: questo è stata fino a ora la linea. E adesso che la melma è arri­vata al collo danno la colpa al governo, figlio del­l’unica politica, quella del centrodestra, che ha al­meno provato (fino ad ora senza raggiungere l’obiettivo)a invertire la rotta. Da Reagan in Ameri­ca alla Thatcher in Gran Bretagna, la recente storia dell’Occidente dimostra che un Paese lo si salva con un guida forte che ha il coraggio di mettere le parti sociali di fronte alle loro colpe e alle loro re­sponsabilità senza guardare in faccia a nessuno, di liberare energie. È quello che ci si aspettava da Tre­monti, è quello che ancora in molti si aspettano da Berlusconi e dal suo governo (in difficoltà ma anco­ra vivo). Il resto sono soltanto chiacchiere o mano­vre di palazzo per tentare l’ennesimo ribaltone. Il Giornale, 2 agosto 2011