LE TANGENTI ROSSE: “PENATI CHIESE VENTI MILIARDI PER IL PARTITO”
Pubblicato il 3 agosto, 2011 in Costume, Cronaca, Politica | Nessun commento »
di Luca Fazzo
Milano – A questo punto, dopo avere letto le accuse circostanziate e devastanti che gli muove uno dei suoi stessi alleati, quel Diego Cotti della lista «Sesto per Penati» che racconta a Panorama di aver ricevuto una richiesta di venti miliari di lire per sbloccare l’area Falck, una domanda sorge inevitabile: ma perché diavolo la Procura di Monza non ha chiesto l’arresto di Filippo Penati? Perché, di fronte ad una massa di elementi d’accusa ben più pesanti di quelli che qua e là per l’Italia spediscono gli indagati al fresco, l’ex presidente della Provincia di Milano nonchè numero uno del Partito Democratico al nord, continua ad essere un semplice indagato a piede libero? L’unica risposta che viene dagli ambienti investigativi è che la partepiù grave dei reati attribuiti a Penati risale a diversi anni fa, e che una richiesta di arresto si sarebbe pertanto scontrata con un diniego del giudice preliminare. «Ma- aggiungono fonti vicine alla Procura – non è detta l’ultima parola…». Di certo, le nuove accuse contro Penati e il suo braccio destro Giordano Vimercati cambiano radicalmente il quadro dell’inchiesta: perché stavolta a parlare non è un imprenditore in difficoltà come Piero Di Caterina o un rivale politico come Giuseppe Pasini, ma un uomo politicamente assai vicino a Penati: tanto vicino da avere affiancato e sostenuto con una lista la sua candidatura a sindaco di Sesto. Si chiama Diego Cotti, dirigente dell’Associazione industriali del nord Milano, esponente della Margherita ed ex genero di Pasini. Intervistato da Panorama , Cotti è andato giù pesante: come aveva fatto poco tempo prima nel corso di due interrogatori davanti ai pm monzesi che indagano su questa sorta di Tangentopoli rossa. E il suo racconto chiama in causa, oltre alla passione di Penati per il denaro contante, anche il vero coprotagonista di questo scandalo: le Coop, i colossi dell’edilizia di sinistra che da sempre sostengono finanziariamente i Ds e poi il Pd, e la cui presenza negli appalti era imposta senza mezzi termini. «Non ti facciamo perdere tempo, ma tu ci devi dare i soldi»:Questo Cotti racconta di essersi sentito dire da Vimercati, alla presenza di Penati, in un incontro nell’estate del 2000 per discutere del futuro dell’area Falck. Vimercati, racconta Cotti, gli disse: «Pasini compera i terreni, li compera di fatto grazie a noi perché noi siamo i mediatori in questi affari. Ci riconosca la mediazione che si pattuisce abitualmente. I soldi servono non solo a noi, la politica ha dei costi, servono per Milano provincia, servono per scalare il partito, servono per Roma». L’incontro, racconta Cotti, avviene nel Municipio sestese, in piazza della Resistenza. Vimercati parla, Penati assiste in silenzio. Il contributo economico, dice Vimercati a Cotti, «serve per Penati, per avere un ruolo più importante nel partito ». Vimercati e Penati, insomma, si rivolgono all’alleato Cotti perché il messaggio arrivi a Pasini. E in un incontro successivo, questa volta con il solo Vimercati, Cotti si sente precisare ulteriormente il messaggio: «Mi disse: l’area Falck la può comprare solo uno che diciamo noi, perché fa parte di un accordo più vasto. La può comprare Pasini, se vuole, perché noi abbiamo garantito che lui è un imprenditore serio e corretto e noi lo possiamo gestire perché è amico mio. Però se fa questa cosa deve coinvolgere le cooperative». Cotti specifica: «Non si riferiva a quelle locali, che infatti si infuriarono, ma a quelle emiliane, la Ccc, perché rispondevano ad altri meccanismi». Diego Cotti,nell’intervista a Panorama , spiega anche come doveva avvenire il pagamento: «All’inizio si pensò alla costituzione di una società di consulenza che fatturasse il denaro, ma poi l’idea venne scartata. A questo punto mi fu detto da Giordano Vimercati che di questa cosa non mi dovevo più occupare perché l’avrebbe seguita Piero Di Caterina. Di questa estromissione fui ben lieto». Il racconto, insomma, coincide perfettamente con quelli di Pasini e Di Caterina, gli altri testi chiave dell’indagine su Penati. E proprio perché i tre pezzi del domino vengono messi a verbale da persone assai distanti l’una dall’altra, l’ipotesi di un complotto a base di calunnie – cui si sta disperatamente aggrappando la difesa di Penati- appare sempre più difficile da sostenere. Ma non è solo la posizione personale di Penati ad uscire appesantita da questa svolta dell’indagine. C’è il passaggio dell’intervista di Cotti in cui si dice chiaramente che, secondo Vimercati, una parte dei miliardi non doveva fermarsi né a Sesto né a Milano, ma viaggiare verso la Capitale, verso le casse nazionali del partito: «Servono per Roma», avrebbe detto il braccio destro di Penati. Dove,all’epoca, esistevano ancora i Ds, guidati da Walter Veltroni.
…..Si attende la solita bischerata romagnola di Bersani a commento dell’ulteriore sviluppo dell’inchiestra di Sesto San Giovanni che definitivamente distrugge il falso mito della diversità dei comunisti, ex o post che siano. g.