Commento di Mattia Feltri per la Stampa

Mattia Feltri per La Stampa

Una grande domanda: avevano ragione gli undici senatori presenti in aula o i trecentodieci rimasti in spiaggia? Ha dimostrato più senso civico il manipolo di indefessi o più senso pratico l’esercito dei contumaci? Alla fulminea seduta (quattro minuti e trenta secondi arrotondati per eccesso) era giusto partecipare per fare sfoggio di una classe dirigente responsabile e inappetente agli ozi, oppure era giusto stare in panciolle vista l’occasionale e manifesta inutilità di un’aula chiamata a doveri formali e preistorici?

Intanto la notizia: ieri a Palazzo Madama la presidenza (rappresentata da Vannino Chiti del Pd, perché Renato Schifani si ritempra a Porto Cervo) ha informato l’assemblea che il governo ha varato un decreto (la manovra correttiva) il cui testo è stato indirizzato al Senato per la conversione in legge, e di conseguenza sarà affidato alle competenti commissioni (che già da oggi cominciano a spulciare). Fine.

Affari di questo genere, solitamente, si sbrigano in chiusura di sedute più cicciose, come titoli di coda. A memoria, non si ricorda una convocazione di scopo. Comunque stavolta s’è fatto e hanno risposto in undici. Di Chiti si è detto. Poi altri tre del Partito democratico, Mariangela Bastico (di Modena, in viaggio verso la Calabria, ha colto l’occasione e s’è fermata a metà strada e preferiva che tutti i colleghi accorressero), Lionello Cosentino (di Napoli, lì per lì scambiato per Nicola, quello del Pdl, per l’orrore della senatrice Bastico) e Carlo Pegorer (della provincia di Pordenone, da dove è arrivato con mitteleuropeo senso del dovere).

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Poi ce n’erano quattro del Popolo della Libertà, Giacomo Santini (di Trento, già compagno di classe della brigatista Margherita Cagol ma molti lo ricorderanno perché dalla moto del Giro d’Italia si palleggiava la linea con Adriano De Zan, erano gli anni di Francesco Moser, Beppe Saronni e Bernard Hinault), Paolo Barelli (l’unico di Roma insieme col dipietrista Stefano Pedica, e pertanto accolto da travolgenti applausi), Cinzia Bonfrisco (di Riva del Garda, sponda trentina del lago) e Raffaele Fantetti (eletto all’estero, avvocato londinese dal cui ricorso è partita l’indagine che condusse in galera Nicola Di Girolamo).

Due erano dell’Italia dei Valori, Luigi Li Gotti (celebre avvocato di Tommaso Buscetta e Giovanni Brusca) e Pedica (il quale martedì ha girato un indignato video in un Senato deserto, sebbene non si capisca chi dovesse esserci visto che il Senato è chiuso). L’undicesima è Maria Ida Germontani (lecchese e finiana) e corre l’obbligo di segnalare il dodicesimo, che però senatore non è: da sottosegretario all’Economia rappresentava il governo Alberto Giorgetti.

Dunque, ha parlato per due minuti la Bonfrisco, per due e mezzo Chiti, i senatori hanno ascoltato in ossequioso silenzio e stop, per i giornalisti neanche il tempo di affilare le penna (il drappello era invece nutrito: tutti sguinzagliati dietro il medesimo osso, la casta nullafacente). Non farà onore ai parlamentari ma un qualsiasi martedì e un qualsiasi venerdì non raccolgono più presenze di quelle raccolte ieri.

Eppure i presenti non hanno lesinato gli assist fratricidi: Pedica era indignato col latitante Schifani e Santini diceva che la circostanza magari era poco concreta ma il momento meritava solennità (Santini alla buvette ha poi sguainato le competenze: Silvio Berlusconi ha l’intuizione e l’incostanza di Pantani mentre Romano Prodi ha il senso di squadra e la metodicità di Moser).

E alla fine, sbrigata la pratica, è rimasto il tempo per un suggestivo ribaltamento del pregiudizio, destinataria sempre la casta che, dovrebbe averlo capito, di questi tempi come si muove sbaglia: questa bazzecola quanto ci sarà costata di luce? E di aria condizionata? E di mobilitazione commessi? Per non dire degli aerei, andata e ritorno, tutto a carico del contribuente eccetera.

E forse la chiave della giornata era tutta lì: la macchina legislativa a quali norme ottocentesche è vincolata se, per informare col pennacchio un’aula già ipertroficamente informata dell’esistenza di un decreto, il quale decreto dev’essere convertito eccetera, ecco, se per la minuzia bisogna mettere in moto un elefantiaco ramo del Parlamento, non è forse il caso di affacciarsi sul Terzo Millennio e spedirsi un’ufficialissima mail?La Stampa, 18 agosto 2011