Il cancelliere tedesco Angela Merkel Noi non li vogliamo. Angela Merkel ha liquidato così l’idea di lanciare gli eurobond, i prestiti garantiti dall’Europa. La cancelliera tedesca chiude la porta e la Francia gira la chiave. Se questa è l’Europa unita, cari lettori, stiamo freschi, e cantiamo il De Profundis per un sogno che si sta trasformando in un incubo. L’Italia, Paese fondatore dell’Europa, dovrebbe cominciare a organizzarsi per una dissoluzione dell’Euro che giorno dopo giorno appare sempre più all’orizzonte non come un’ipotesi scolastica, ma come un’opzione. E quando le cose diventano possibili, è bene pensarci prima. L’ingresso nell’Eurozona all’Italia è costato lacrime e sangue (ricordate le manovre di Prodi e Ciampi?), la permanenza in questo club continua ad essere fonte di sacrifici enormi e frustrazioni economico-sociali. Anche gli spiriti più ingenui oggi hanno realizzato che il nostro rapporto di cambio è svantaggioso e ha determinato una diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie che tutti toccano con mano ogni giorno. La moneta unica per evitare distorsioni e funzionare bene aveva bisogno di tre condizioni base: 1. Assenza di shock e virus che contagiano gli altri Stati; 2. Mobilità e flessibilità del lavoro; 3. Armonizzazione fiscale nei Paesi che adottano la moneta unica. Nessuna di queste tre condizioni si è realizzata e la situazione invece di viaggiare verso la «normalità» sta diventando sempre più «subnormale». Il caso della Grecia manda a carte quarantotto la condizione numero uno e dimostra come il contagio del virus da una nazione all’altra oggi sia una realtà che si tramuta in moneta sonante. I tedeschi e i francesi hanno detto sì al salvataggio di Atene per mettere al sicuro i bilanci delle loro banche che detenevano il debito del Peloponneso, ma si oppongono all’estensione di meccanismi di solidarietà continentale e dulcis in fundo all’unico strumento che potrebbe davvero salvare l’Eurozona dalla rottura del patto fondato sulla moneta unica. Il professor Alberto Quadrio Curzio da anni spiega come questa idea può essere realizzata: costituire un Fondo Comunitario Europeo, garantito dalle riserve auree, il quale poi emette obbligazioni pari al 5 per cento del Pil di Eurolandia. Si ricaverebbe una «dotazione» del Fondo pari a circa mille miliardi di euro, ipergarantita dall’oro che oggi viaggia alla cifra record di 1800 dollari l’oncia, ma secondo alcuni analisti in grado di toccare quota 2000 dollari entro la fine dell’anno. Problemino: i tedeschi dicono no. E i francesi si accodano. A questo punto, paradossalmente, proprio per salvare l’Euro e quel che resta dell’Europa, riemergerà il disegno messo nero su bianco nel 2010 da Michael Arghyrou e John Tsoukalas, due studiosi della Cardiff Business School e della Nottingham University, lanciato da Nouriel Roubini, l’economista che aveva previsto il crac del 2008. La base di partenza è questa: i Paesi periferici dell’area Euro invece di adeguare le proprie politiche economiche e fiscali agli standard previsti dall’Unione, fin dal 1999 hanno proseguito la loro marcia in rosso. Anno dopo anno, siamo arrivati ai giorni nostri con debiti sovrani troppo alti per esser onorati senza avviare riforme strutturali, cioè quelle che andavano fatte fin dall’inizio dell’avventura dell’Euro e nessun Paese in crisi (Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, ma ormai la stessa Francia) vuol fare per ragioni politiche, di mero consenso elettorale. Non avendo fatto in passato le riforme, non c’è più tempo per passaggi graduali, ma i governi non hanno il coraggio di sottoporre i propri Paesi a cure shock. Si può condurre una vita a debito, ma prima o poi si paga. E nessuno vuol staccare l’assegno, ma continuare a scaricare in avanti il fardello. La conclusione dei teorici del doppio conio è la seguente: la Banca Centrale Europea dovrebbe gestire due monete. Un euro forte e un euro debole. Il primo in circolazione nei Paesi più solidi (Germania, Francia, etc.), il secondo nei Paesi più fragili (Portogallo, Grecia, Spagna, Italia, etc.). Il debito dei Paesi da curare, continua ad essere contabilizzato con l’Euro forte, mentre l’Euro debole al momento del varo, viene svalutato di una percentuale sufficiente a consentire un recupero di competitività dei Paesi con problemi di crescita (sì, ricorda le nostre svalutazioni competitive della Lira). La Bce continuerà ad avere il monopolio della politica monetaria e avrà due tassi di riferimento per le due monete. I Paesi che oggi hanno il problema di gestire il debito sovrano avranno più tempo (quello che ora manca, insieme al coraggio) per gestire il rientro nell’Euro forte, dopo aver fatto le riforme strutturali, mentre gli Stati orientali che oggi non possono entrare nell’Eurozona potranno cominciare la loro marcia di avvicinamento verso l’Euro debole e poi puntare al top dell’Euro forte. É un sistema tutt’altro che sballato, dal punto di vista teorico, ha un suo grande fascino, inutile nasconderlo. Un Euro troppo forte – come quello attuale – è fonte di squilibri enormi, non favorisce Paesi che tradizionalmente esportano (vedi il caso Italia) e la bassa inflazione da sola non compensa la perdita di potere d’acquisto (ancora una volta, il caso Italia). Domanda: si può fare? La risposta dei signori della Bce è una sola, no. Non esistono meccanismi di uscita dalla moneta unica. Entri, chiudi la porta, ma non la riapri. Il problema è che la Storia non aspetta i trattati, si fa, a prescindere da quello che pensano gli uomini. Se gli spread restano a questi livelli, le Borse giocano al toso tutto quello che si muove sopra l’erba e l’economia mondiale entra in una drammatica recessione (Jp Morgan ieri ha tagliato seccamente le stime di crescita del Pil americano per i prossimi due trimestri), la faccenda diventa come alla roulette: i giochi sono fatti e chi ci ha rimesso la puntata non può chiedere indietro il piatto. I tedeschi si credono – e in parte certamente sono – il giocatore vincente. La Merkel non è ancora riuscita a far digerire il pagamento del conto degli allegri prepensionati greci, figurarsi garantire il portafogli della carovana di spendaccioni del Club Med. Il pasticciaccio brutto è tutto qui. Siamo di fronte a un Paese forte con l’opinione pubblica che ha il mal di tasca (la Germania) e a un’altra nazione (la Francia) che sta a Berlino come il vagone alla locomotiva. Mezza Europa di traverso. É un modo ottuso di ragionare e procedere, condurrà al patatrac del Vecchio Continente, ma la cronaca ci consegna tutti i giorni storie di ordinaria follia. Povera Europa. Mario Sechi, Il Tempo 20 agosto 2011