Il Pd sta perdendo la battaglia di Stalingrado. Se continua così, finirà che gli iscritti dovranno fare una class action contro Filippo Penati. Il danno che la vicenda di Sesto San Giovanni sta infatti arrecando al partito di Bersani è molto serio, e ogni mossa dell’indagato tende ad aggravarlo.
Alla notizia che il gip aveva confermato «l’esistenza di numerosi e gravissimi fatti di corruzione», ma non li aveva considerati «concussione» evitandogli così l’arresto, Penati ha infatti festeggiato con una dichiarazione surreale, come se fosse stato assolto. Poi ieri qualcuno deve averglielo fatto notare, ed è arrivata l’autosospensione dal partito e dal gruppo consiliare alla Regione Lombardia, la procedura standard che si usa nel Pd per evitare l’espulsione. Con essa, la carriera politica dell’uomo che era stato incaricato da Bersani di strappare il Nord a Berlusconi si può considerare praticamente finita.
Stavolta infatti non si può neanche dire «aspettiamo il processo», perché il processo non ci sarà per avvenuta prescrizione. Penati potrebbe certo rinunciare alla decorrenza dei termini, per ottenere un proscioglimento nel merito o la sentenza di assoluzione. Ma ieri, pur dichiarandosi innocente, non ha anticipato niente del genere. È suo diritto, ovviamente, e il garantismo consiste anche nel difendersi dal processo, oltre che nel processo. Però Bersani deve sapere che d’ora in poi l’argomento contro il ricorso alla prescrizione, tante volte rinfacciato a Berlusconi e agli indagati dell’altra parte politica, non potrà mai più essere usato dal Pd. Per un partito che ha obbligato i suoi parlamentari a votare per l’arresto di Tedesco, accusato di fatti meno gravi di quelli contestati a Penati, è un brutto contrappasso.
Ma non è questo l’unico danno che la vicenda arreca al Pd. Il punto cruciale, infatti, è che Penati non può essere trattato come una «mela marcia». Non c’è niente di «marcio» in quest’uomo politico che si è fatto le ossa nella gavetta comunista, prima da sindaco e poi da presidente di Provincia, salendo un po’ alla volta fino a diventare il braccio destro di Bersani, alle cui truppe aveva portato la bandiera dei riformisti lombardi. Penati non commerciava in Rolex falsi e non girava in Ferrari. Se ha preso le mazzette che gli vengono contestate, le ha prese per finanziare la sua ascesa politica e quella dei suoi compagni. Ed è sgradevole che il gip, seguendo una moda ormai invalsa tra i magistrati, infili nella sua sentenza gratuiti commenti da corsivista, scrivendo che si è comportato come un «delinquente matricolato».
Ma è proprio perché Penati non è delinquente matricolato che il Pd è nei guai. Quello emerso a Sesto San Giovanni è infatti un «sistema», anzi un «sistemone» di finanziamento della politica. Non c’è solo Penati. C’è il suo capo di gabinetto, c’è l’assessore della giunta seguente, e per una vicenda minore è indagato anche l’attuale sindaco. Il pm parla di un «direttorio finanziario democratico» in opera da almeno 15 anni, di un vero e proprio «peccato originale». È di quel peccato originale che il vertice del Pd sta ostinatamente evitando di parlare, assumendo un atteggiamento da vergine offesa che le circostanze davvero non giustificano. Se infatti le cose funzionavano così a Sesto San Giovanni, che era un po’ la boutique del governo della sinistra nel Nord, se coinvolgevano le Coop, se proseguivano nell’inquinamento probatorio fino ai giorni nostri, se perfino il successo elettorale a Milano poteva diventare occasione per reiterare il reato tacitando l’imprenditore amico, titolare per altro di una società il cui nome, «Caronte», diceva già tutto; beh, allora vuol dire che si trattava di una pratica radicata, antica ed evidentemente tollerata. Il punto è: quanto è estesa? Troppe fondazioni, troppe correnti, troppi feudi locali nel Pd cercano risorse per vivere, affermarsi e contare a Roma un po’ come ha fatto Penati in questi anni.

Non so se nel Pd ci sono ancora i probiviri come c’erano una volta nel Pci. Ma, se ci sono, Bersani dovrebbe sguinzagliarli in giro per l’Italia, dovrebbe essere lui a promuovere un’inchiesta, a scrutare dentro e dietro i potentati piccoli e grandi che esistono nel suo partito, alcuni dei quali – Penati e le Coop di sicuro – fanno parte integrante della sua constituency personale. Il Pd ha proposto nella «contromanovra» un drastico taglio dei costi della politica. Ma non c’è nessun aspetto della politica italiana che costi più della corruzione. La credibilità di un partito che vuole curare il Paese sta anche nella capacità di curare innanzitutto se stesso. Antonio Polito, Il Correre della Sera, 27 agosto 2011

…….Penati non è l’unico che festeggia una prescrizione come una assoluzione. Fece altrettanto il geom. Giorgio Gaetano detto Nino all’indomani della sentenza della Corte di Cassazione per le lottizzazioni abusive di via Fleming e di via Vinci. Giorgio,  dipinto  dalla Cassazione  come partecipe della “concreta attuazione del disegno criminoso diretto a condizonare la riserva pubblica della programmazione territoriale”, ha beneficiato della prescrizione, proprio come Penati, ma ciò non toglie l’accertata responsabilità per la quale però non deve rispondere,  diversamente da quelli che si erano fidati delle sue rassicurazioni e che ora trepidano, a causa sua e delle macchinazioni poste in essere grazie alla sua carica politica,  per il bene casa per il momento confiscato.  Giorgio si è guasrdato bene  dal  rinunciare alla prescrizione  e con la faccia tosta che è tipica di chi se ne infischia delle regole si atteggia a martire.  Proprio come farà Penati di qui a qualche mese, o anche meno. g.