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I SOLDI NON CI SONO? ALLORA NON SPENDETE!

Pubblicato il 15 agosto, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

di Credo che nessun pasto sia gratis e che si debba pagare di tasca propria. Mi secca perciò essere chiamato a fronteggiare sprechi di Stato che non avrei mai voluto e che detesto. La crisi economica come dice il Cav è mondiale, ma il debito pubblico che ci azzoppa è italiano.
Governo e opposizione, hanno le loro ricette sui sacrifici da fare. Nessuno dice però se lo sforzo sia un lenitivo o una vera soluzione. Il Cav anziché ripetere che gli sanguina il cuore per la mazzata che ci dà, dica se vale la pena darcela. Se restituisce un futuro al Paese, ci sottomettiamo. Se è un furtarello i cui effetti si esauriranno in pochi mesi, la politica è in coma. Ciò che impressiona nell’ansimante dibattito, in cui la paura spadroneggia e la razionalità è abbandonata, è che non si pensi ad accompagnare la pretesa di sacrifici con ferme garanzie che il caos non si ripeterà.
Prima di essere spremuto, avrei voluto sentirmi dire dal centrodestra quanto segue. Caro Perna ti stiamo impoverendo per un debito non tuo, contratto da noi politici dimentichi delle regole del buon governo. Non accadrà più. Inseriremo l’obbligo del pareggio del bilancio nell’articolo 81 della Costituzione. Ciò significa che lo Stato spenderà annualmente solo il denaro delle tasse. Non una lira di più. Rinunceremo ai prestiti – cioè Bot e compagnia – buoni solo a espandere l’ingerenza pubblica. Sono 30 anni che il debito è incontrollato. Come sai ha raggiunto la cifra di 1.843 miliardi equivalente al 120 per cento del Pil e ci costa 70 miliardi di interessi l’anno (quasi il doppio dell’attuale dura manovra che, per di più, è diluita in due anni). Senza contare che il 40 per cento è in mano estera e così siamo in balia di altri.
Con l’obbligo del pareggio, i nostri unici introiti saranno le tasse. Ovviamente, stabiliremo nello stesso articolo 81 il limite massimo delle imposte da pagare, così da evitare che per megalomania spendereccia i futuri governi le portino alle stelle. Già adesso siamo largamente sopra il limite, poiché sottraiamo ai cittadini circa il 50 per cento del loro reddito, come dire che lo Stato succhia ogni anno metà del Pil: 750 miliardi sui 1500 di fatturato nazionale. Un’idrovora che soffoca la libertà economica degli individui e delle imprese. Con la conseguenza che il denaro che i privati farebbero fruttare con nuove iniziative, è utilizzato dallo Stato per la spesa corrente, ossia sterile.
Che questa modifica costituzionale dell’articolo 81 sia assolutamente necessaria, è provato non solo dalle regole dell’economia classica liberale – vai a rivedere Perna quanto scriveva Luigi Einaudi, che oggi ci osserverebbe inorridito -, ma anche dalla contrarietà di Bersani, Bindi, Prodi & Co, di inserire l’obbligo del pareggio nella Costituzione. Sono il partito della spesa pubblica, quello dei keynesiani, che vuole dare mano libera allo Stato paventando situazioni eccezionali – una grave recessione, per esempio – in cui il governo potrebbe avere bisogno di indebitarsi per tenere botta. È quello che sostengono anche otto Nobel americani che in una lettera a Obama – evidenziata pour cause dall’Unità – lo sconsigliano di introdurre il pareggio di bilancio nella Carta Usa. Naturalmente, in queste perplessità c’è del vero. Ma noi abbiamo un altro imperativo: stroncare il vizio italiano del debito sistematico. Quindi ben venga il divieto costituzionale. Se poi sarà necessario un indebitamento antirecessivo – una volta ogni trent’anni – la politica farà un’eccezione, come è avvenuto nei giorni scorsi in Usa.
Dimenticavamo, ma è sottinteso: nella spesa statale – quella che ha il suo tetto nelle entrate fiscali – sono inclusi i 70 miliardi annui di interessi del debito pubblico in atto. Perché è vero che, con la regola del pareggio, non andremo più in deficit, ma l’indebitamento precedente resta. E finché non sarà estinto, costa. Dunque – problema ulteriore – bisognerà cominciare a ridurre i 1.800 miliardi di prestiti fino all’azzeramento. Se ogni anno paghiamo, senza rinnovarli, il 3 per cento di titoli pubblici, in 33 anni saldiamo. L’operazione ci costerà ulteriori 48 miliardi annui.
Queste sono le cifre. Un quadro tremendo, ma tiene conto degli italiani che verranno. Non c’è spazio per sprechi, né per furti e resta meno della metà di quanto spendiamo oggi per le solite cose, vitali ma improduttive: stipendi pubblici, previdenza, sanità, ecc. L’unico modo di uscirne è quello finora inutilmente caro al premier: produrre di più. Moltiplicare il Pil, lavorare molto, esportare come tedeschi. Più redditi, più entrate fiscali, più ricco il bilancio pubblico. Dimenticate una cosa, dico io. Togliete ai parlamentari il potere di presentare leggi di spesa (per ingraziarsi il collegio), lasciandone il monopolio al governo. Compito delle Camere è controllarne la correttezza. Se invece maneggiano anche loro, chi controllerà il controllore? Hai ragione Perna, sarà fatto. Questo avrei voluto sentirmi dire. Inserita in questo quadro d’insieme, considererei la mazzata dolorosa ma utile. In mancanza, la vivrò come quella cialtronata del governo Amato che, vent’anni fa, ci lasciò più poveri ed egualmente vulnerabili. Il Giornale, 15 agosto 2011

QUEL PATTO NON RISPETTATO, l’editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 15 agosto, 2011 in Politica | No Comments »

Il ministro Calderoli Il patto tra contribuente e Stato è uno dei pilastri sul quale poggia la democrazia. Deve essere chiaro, netto, duraturo. Così lo Stato può gestire le entrate e le spese necessarie per svolgere i suoi compiti fondamentali, mentre il cittadino può condurre la sua vita da buon padre di famiglia. Questo patto è scritto nei codici. Quando un Parlamento discute e vota una legge in materia fiscale deve sempre avere in mente di non violare questo accordo, di non disporre del suo potere in maniera dispotica e ingiusta. Purtroppo nella manovra approvata l’altro ieri il patto si è rotto. Il governo ha deciso che la platea di contribuenti più onesta, seria e virtuosa, quella che dichiara i redditi e si piega a una pressione fiscale superiore di tre punti alla media europea, deve pagare ancora di più. Lo Stato che oggi detiene il record mondiale di gabelle sulla persona fisica, con un colpo di mano ha cambiato le regole del gioco. Che ora si fa pesantissimo. Provo a spiegare perché. Ogni famiglia misura il suo stile di vita sulla capacità di reddito. I suoi guadagni servono a comprare una casa, pagarne il mutuo, provvedere alla crescita dei figli, curarsi, acquistare beni, vestiti, cibo, cultura, viaggiare, investire sul talento. Il patto tra cittadino e Stato deve essere certo e duraturo, affinché le famiglie possano prendere decisioni di medio-lungo termine, cioè programmare investimenti in beni materiali o immateriali come, per esempio, un’alta educazione per i figli. Ma lo Stato improvvisamente taglia questa certezza. Ha bisogno urgente di risorse. E invece di studiare riforme strutturali sulla spesa, scovare l’evasione e far emergere fiscalmente i patrimoni non tassati a dovere, decide che il contribuente onesto non va premiato ma punito riducendo la sua capacità di spesa.

Cosa succederà? Molte famiglie taglieranno i consumi. Sicuro. Altre però non potranno farlo perché avevano già preso degli impegni commisurati al proprio reddito. Chi ha un mutuo dovrà continuare a pagarlo, chi ha figli che studiano all’estero o in una università privata cercherà di non interrompere la loro formazione. Sono esempi di spese incomprimibili. Risultato: molte famiglie oneste del ceto medio-alto nel 2012 non solo taglieranno i consumi – con effetto recessivo sull’economia – ma al momento di liquidare le supertasse dovranno o intaccare i propri risparmi o perfino indebitarsi. È questo il mondo reale dell’economia, di chi paga le tasse, fa il suo dovere e si vede offeso e umiliato da una politica incapace di mantenere i patti. Mario Sechi, Il Tempo, 15 agosto 2011

……………E’ vero, l’ulteriore stangata sul ceto medio, la spina dorsale del Paese e, sopratutto, la spina dorsale dell’elettorato di centrodestra, davvero non la si può mandare giù. Così come non va giù l’annuncio di tagli alla politica che, pur pochi e insufficienti, decorerranno, comunque, dal prosismo turno elettorale. Sino ad allora c’è tempo, come il passato ci ha insegnato, per annacquare i tagli e se non proprio eliminarli, renderli del tutto inutili, cioè vanificarli. Il presidente del Consiglio ha l’occasione per dimostrare che il suo contratto con gli italiani non era aria fritta e che al “suo” elettorato egli deve la correttezza del rispetto dei patti. In sede parlamentare provveda lì dove le alchimie del consiglio dei ministri non ha potuto: tagli tutte le provincie, inutili e sprecone; elimini sprechi e benefici per la classe dei politici, restituisca alla politica il valore del “servizio”, colpisca gli evasori e i mantenuti di stato, privatizzi la Rai e ponga fine ai contratti milionari per subrette e conduttori che sono offesa violenta al popolo degli elettori. Lo faccia se vuole rimanere nella storia e non solo nella croanca. g.

IL VALORE DELLA PATRIA, di Mario Sechi

Pubblicato il 11 agosto, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Il 13 agosto del 1961 iniziava la costruzione del Muro di Berlino. Quarantatré chilometri di cemento, filo spinato e torrette. Sono trascorsi cinquant’anni, il Muro è crollato, la Germania riunificata, l’Europa in pace e con un benessere insperato in quegli anni di Guerra Fredda. Ma lontano s’ode uno scricchiolìo. L’Unione è senza una linea comune che non sia quella del gettito, del debito e del credito. E la politica? Non pervenuta. Travolti dal crac americano, gli Stati procedono a fari spenti nel buio. La Francia teme di perdere la «tripla A», i listini azionari tedeschi crollano, la Spagna è zavorrata dalla sua finanza creativa, la Grecia è salvata ma fallita. E l’Italia? Ha un debito pubblico abnorme ed è guidata da uno spirito neocorporativo in cui i veti della politica, delle associazioni imprenditoriali e dei sindacati si annullano a vicenda. Fino a confondersi. La Cgil ha già minacciato uno sciopero generale. A prescindere. E la Lega è il suo insolito alleato sul no all’innalzamento dell’età pensionabile. Così non si riforma niente. È la metafora di un immobilismo che non taglia la spesa pubblica improduttiva, non ferma il welfare scaricato sulle spalle delle generazioni future, non liberalizza, non combatte l’evasione e l’elusione, non disegna un Fisco dal volto umano. Il momento è straordinario. Da più parti si invoca un provvedimento per fare subito cassa e allora è giunto il momento di fare chiarezza: il governo dica se vuole istituire una patrimoniale sulla liquidità e gli immobili. Sì o no. Noi siamo contrari all’assalto al risparmio e al capitale. Ma vogliamo un futuro per i nostri figli e crediamo in un valore superiore: siamo patrioti. Post scriptum. Ai partitanti: siamo patrioti, non scemi. Tagliate davvero i costi della politica. Mario Sechi, Il Tempo, 11 agosto 2011

.……………..Siamo d’accordo con Sechi di cui apprezziamo sempre più la chiarezza e la capacità di non essere fazioso oltre i limiti degli interessi generali. Come quelli che oggi sono stati ragione di dibattito alla Camera in occasione della audizione del ministro dell’Economia Tremonti dinanzi alle Commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato in seduta congiunta. Fumose, ha detto delle dichiaraziomi di Tremonti, Bossi che pure di Tremonti è amico e gran protettore. Non solo fumose, aggiungiamo noi, che abbiamo ascoltato l’intervento di Tremonti dinanzi alla TV, ma inutilmente accompagnate da citazioni e  dotti riferimenti del tutto superflui in considerazione della gravità del momento e comunque prive di veri e propri impegni e di punti fermi dell’azione che il govenro deve mettere in atto per bloccare la crisi. Ma non solo Tremonti è stato fumoso, altrettantolo sono stati i suoi interlocutori, da quelli della maggioranza a quelli della opposizione, tutti incartati dalla logica, forse, della ripresa televisiva e timorosi, ciascuno, di dire parole in più del necessario attendendo di fare gioco di rimessa rispetto agli altri. E così chi si aspettava chiarezza e precise indicazioni per l’immediato futuro è rimasto completamente deluso, salvo, forse, ci duole ammetterlo ma è la verità, per l’intervento di Di Pietro che pur usando un linguaggio poco consono al suo e al ruolo delle istituzioni ha tirato il sasso nello stagnante lago delle chiacchiere che anche oggi l’hanno fatta da padrone nel palazzo del potere, senza che nessuno abbia avuto il coraggio di indicare la ricetta e l’amara medicina che servono al Paese per salvare il presente e, sopratutto, il futuro. Post scriptum: ha ragione Sechi, “qua nessuno è fesso”. E chiunque ha seguito il dibattito di oggi alla Camera ha potuto constatare che nessuno, nè della maggioranza nè della minoranza, si è avventurato sul terrerno dei costi della politica, quelli che, per intenderci si possono tagliare subito, senza leggi costituzionali, e che se non possono da soli risanare la situazione debitoria del Paese, almeno, come ha scritto oggi Sole 24 Ore, possono essere d’esempio e di stimolo ad accettare i sacrifici che il partito della casta vuole imporre agli italiani. Imporre sacrifici agli italiani non può essere disgiunto dall’imporre sacrifici ai tanti che mungono la vacca: dai parlamentari ai consiglieri comunali. Senza indugio e scuse di sorta. g.

RIVOGLIAMO L’AMERICA CHE NON SI VERGOGNA DI UN PRESIDENTE COWBOY

Pubblicato il 8 agosto, 2011 in Politica estera | No Comments »

La crisi di leadership c’è, il suo indirizzo è la Casa Bianca di Obama. Dopo la decisione storicamente inaudita di Standard & Poor’s, una A in meno e previsioni negative per le finanze americane, i cinesi hanno letteralmente preso a schiaffi gli americani. Gli hanno detto che sono spendaccioni, e che a Pechino vogliono garanzie serie per i titoli in dollari nelle loro mani, ma glielo hanno detto con un sovrappiù di disprezzo senza precedenti, insomma una rampogna aspra e per loro, concorrenti strategici sempre in crescita, goduriosa. Potevano farlo, visto che avevano appena brindato per i tagli al Pentagono, un ridimensionamento netto della capacità di comando degli Stati Uniti nel mondo, il primo di due colpi micidiali a quel possibile ordine mondiale da sempre imperniato sulla forza imperiale americana.
Alla fine del secondo mandato di George W. Bush, il cui consenso domestico si era progressivamente incrinato, America e mondo occidentale subirono gli effetti di una crisi da crescita fatta di follie della finanza privata legata, anzi impiccata, ai debiti collegati ai farlocchi incrementi esponenziali di valore degli immobili: improvvisamente niente liquidità e recessione, logica dei salvataggi di Stato incentivata dal fallimento sinistro della Lehman Brothers, esplosione del debito privato delle famiglie convertito nel tempo in debito pubblico (causa prima del finale colpo d’artiglio di Standard & Poor’s). Era l’autunno del 2008, l’America era cresciuta per anni a ritmi vertiginosi sul fondamento di un ruolo sempre decrescente dello Stato fiscale, Wall Street aveva divorato con la nota voracità sia il ricordo della bolla tecnologica, la «new economy» che ha fatto più morti e feriti di una guerra persa, sia la memoria dolente dei tremila ammazzati delle Twin Towers. Alla base di quella fase di prosperità, che ovviamente incubava nuove possibilità di crisi, c’era una leadership univoca, forte, neoreaganiana, con le sue scelte di ordine mondiale (Afghanistan, Irak, guerra al terrorismo, unilateralismo strategico). Nel pieno della tempesta l’oracolo di Omaha, il grande finanziere Warren Buffet, investì cinque miliardi di dollari nella Goldman Sachs, e nel giro di tre anni Dio solo sa quanto abbia guadagnato. Perché quella dell’autunno del 2008 era una crisi da eccesso di ricchezza alla Schumpeter, distruzione creativa, mentre quella di questi mesi sembra proprio essere la crisi di un capitalismo impoverito, senza energia, senza una bussola, incapace di far funzionare il meccanismo del fallimento e dunque succubo di tutti i fallimenti da salvare.
Obama non ha fatto cose soltanto negative. È un solido liberal della scuola politica di Chicago. Sa come muoversi a Washington. Su Guantanamo e sulla caccia a Bin Laden è stato di molto superiore alla sua retorica della mano tesa verso l’islam. Ma la sua epica del consenso interno, la sua incapacità di decidere presto e bene, assumendosi rischi seri, sono le concause evidenti del nuovo tremore e terrore che attraversa i mercati, con gli speculatori (ma anche gli investitori e i risparmiatori) sul piede di guerra intorno ai fronti della crescita, insufficiente, e dell’indebitamento euro-americano, a livelli mai visti prima. I risultati sono quelli che sono, e non si dà un declassamento così sorprendente, nonostante la disputa sugli errori di calcolo dell’agenzia di rating e le scelte diverse delle altre agenzie, senza una precisa responsabilità del capo dell’esecutivo.
Il problema che ci angustia, che mette in pericolo risparmi e capitali e lavoro, che ha fatto risalire le quotazioni del partito della patrimoniale, la botta secca che ti fa restare come prima e ti evita le riforme serie, è che le forze di mercato trovano molle, sono fronteggiate anche in Europa da decisioni miopi, lente, da coalizioni di interessi che non hanno un raccordo comune e si scontrano tra loro (il fallimento greco sarebbe stato salvifico se non ci fossero andate di mezzo le banche tedesche e inglesi). D’altra parte il principale difetto di Obama è di essere un leader all’europea, uno che i veri applausi se li è guadagnati con il comizio al Tiergarten di Berlino, gli mancano gli stivaletti da cowboy, il passo ispirato dell’americano che ha fiducia in sé e in nessun altro. Non sottovaluto i pregi di un presidente elegante e cosmopolita, ma ho una nostalgia canaglia di Bush, dei tagli fiscali in profondità e della crescita americana al 4 per cento. C’è crisi e crisi, questa è particolarmente avvilente. Giuliano Ferrara, Il Giornale, 8 agosto 2011

SPECULATORI DELLA POLITICA, di Francesco Damato

Pubblicato il 8 agosto, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

C’è qualcosa di peggio della speculazione finanziaria internazionale, ai cui polsi il nostro Marlowe vorrebbe giustamente mettere le manette. È la speculazione politica che cerca di farne in Italia il principale partito di opposizione, il Pd. Immagino, e mi auguro, con quanto disappunto del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, vista la presenza da quelle parti di molti suoi ex compagni. Gli può essere tuttavia di conforto, per quanto gramo, il fatto che a speculare di più politicamente sugli “speculatori” finanziari – le virgolette sono dell’Unità- sia nel Pd un uomo di provenienza non comunista ma democristiana, il capogruppo dei deputati Dario Franceschini. Che è stato il predecessore più immediato, e temporaneo, di Pier Luigi Bersani alla segreteria. E che, sconfitto dallo stesso Bersani nella corsa congressuale per la successione a Walter Veltroni, è stato singolarmente premiato con il maggiore incarico istituzionale del partito, costituito appunto dalla presidenza del più consistente dei due gruppi parlamentari: quello di Montecitorio. È proprio in questo ruolo che Franceschini è arrivato a sostenere, testualmente, che la formazione di un nuovo governo, cioè una crisi, equivarrebbe da sola a “tre manovre economiche messe insieme”. Gli ha fatta eco ieri il solito Marco Travaglio, in una gioiosa sospensione delle ferie appena annunciate, scrivendo che con una crisi di governo “Piazza Affari, anziché chiudere per eccesso di ribasso, riaprirebbe di domenica per eccesso di tripudio”. Ma torniamo a Franceschini e alla sua strana visione dei mercati e della politica. Di fronte alla quale viene voglia di chiedere al segretario del suo partito se più opportune e urgenti delle dimissioni di Silvio Berlusconi dalla guida del governo, non siano quelle dello stesso Franceschini da capogruppo del Pd. Al quale peraltro l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, già capo dell’Ulivo e dell’Unione, le due alleanze di cosiddetto centrosinistra sperimentate negli ultimi quindici anni, e già presidente della Commissione dell’Unione Europea, sembra ancora più bollito del Cavaliere per avere osato schierarsi nei giorni scorsi contro una crisi. E avvertire che «nella tempesta non si cambia pilota». Ciò varrebbe, secondo Franceschini, in «tempi ordinari». Che non sarebbero naturalmente questi. Ci sono evidentemente tempeste ordinarie, durante le quali è bene tenersi stretto il pilota, e tempeste straordinarie, al cui arrivo l’equipaggio e i passeggeri della nave debbono subito provvedere a buttarlo a mare. È proprio un intelligentone, questo capogruppo, smanioso con il suo predecessore Veltroni di un governo tecnico, o di analoga denominazione, sapete per quale astuto motivo? Perché, non avendo i suoi componenti l’onere di candidarsi alle elezioni, potrebbe fregarsene della impopolarità ed assumere tutte le decisioni drastiche e necessarie a mettere a posto le cose. Emanuele Macaluso, il direttore del giornale il Riformista, al quale Franceschini ha affidato sabato queste sue convinzioni, è stato il primo a sobbalzare sulla sedia a leggerne le stravaganze. Egli ha infatti ricordato onestamente nel suo editoriale che «l’opposizione ha la responsabilità di non sapere proporre al popolo italiano un governo alternativo in grado di fronteggiare meglio l’emergenza». Evidentemente Macaluso, buon amico peraltro del Capo dello Stato, non considera tale il governo dei tecnici sognato da Franceschini, e magari guidato dall’ex commissario europeo Mario Monti. Che da tempo si lascia tranquillamente candidare a questo ruolo discettando della crisi sul Corriere della Sera, come ha fatto anche ieri. Spero senza condividere la presunzione alquanto cervellotica di Franceschini, e compagni, che possano esonerarsi dalla impopolarità dei provvedimenti di un suo o analoghi governi, e dagli effetti elettorali, i partiti necessariamente chiamati ad approvarli. E naturalmente a dare la fiducia parlamentare, ancora imposta dalla Costituzione. A meno che Franceschini, preso dai suoi romanzi, non se lo sia dimenticato. Francesco Damato, Il Tempo, 08/08/2011

……………….Franceschini è la versione aggiornata e al maschile di Rosy Bindi. Dio ci liberi dei fustigatori a senso unico, con gli occhi coperti dal prosciutto. Sono peggiori dei moralisti della domenica. g.


L’EURO FINISCE IN COMA. LA FINE DEL MONDO

Pubblicato il 5 agosto, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Una tempesta perfetta. Così un banchiere ci­nico ma realista ha definito la giornata di ie­ri sui mercati finanziari mondiali. Solo uno sprovveduto può legare la questione ai soli affari di casa nostra (non proprio ben condotti dal punto di vista economico). Anzi, converrebbe chie­dere allo sprovveduto di sottoporsi alla prova del nove.

Una controprova dei propri pregiudizi è a disposizio­ne di chiunque la voglia saggiare. Chi crede che il virus sia italiano si metta a comprare sulle piazze finanziarie a sua scelta di tutto il mondo. E buona fortuna. Parliamo piuttosto di cose serie e cioè di cosa sta ac­cadendo. Peraltro come già abbiamo scritto, solo po­che settimane fa, il grande tema oggi si chiama euro. Un esperimento che alla prova dello stress non sta reg­gendo. Non è possibile immaginare una moneta uni­ca, con politiche fiscali ed economiche divergenti. Non si può immaginare la Germania che cresce al 3 per cento e con tassi a breve dell’1 e a lunga del 2 per cento, competere con l’Italia o la Spagna che crescono meno dell’1%,ma con tassi quattro volte più alti.Con l’aggra­vante di disporre una moneta unica e soprattutto di una politica monetaria che tiene in considerazione so­lo l’economia più virtuosa. Non stiamo bestemmian­do in chiesa, stiamo semplicemente sostenendo che le economie europee sono malate, quasi terminali, tran­ne una.

E, nonostante ciò, al corpaccione europeo inve­ce di prescrivere un antibiotico si somministra una blanda aspirina. Quando gli Stati Uniti si trovarono, tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009,nel panico più totale, furono investiti da una cura da cavallo targata Fed (la loro banca centrale). Quando a marzo del 2009 i merca­ti a stelle e strisce ripresero a girare, fu solo per l’inter­vento massiccio della loro banca centrale che senza tante regole iniziò a comprare titoli di debito a piene mani.

Oggi la situazione, se vogliamo, è ancora più complessa. L’Europa soffre per l’immenso debito pubblico che i suoi Stati hanno accumulato. I virtuosi tedeschi hanno un debito pubblico pari, in termini assoluti, a quello italiano, e hanno poco da brindare. A ciò si aggiunge che le loro banche private hanno in portafogli titoli di Stato di Paesi a rischio in notevole quantità. E se questi Paesi dovessero saltare, si trascinerebbero anche i bilanci delle banche di Berlino. Insomma ce n’è per tutti.

Per un’Europa che piange c’è un’America che non ride. La soluzione del suo problema del 2008, dal punto di vista delle politiche fiscali (non quelle monetarie adottate dalla Fed) è stata suicida. O per essere più semplice è stato come nascondere la polvere sotto al tappeto.

Il gigantesco debito che avevano contratto i privati con i loro mutui, con le loro carte di credito, è passato dai privati appunto al settore pubblico. Il problema non è stato cancellato: è solo stato intestato a qualcun altro. E ora si trovano con la loro economia che vale la mostruosa cifra di un quinto di quella globale, impantanata: non cresce, la disoccupazione è alta.

Come se non bastasse nei Paesi emergenti si rischia di soffocare, per il motivo opposto: troppa crescita. I loro tassi di interesse sono stati alzati a livelli per noi occidentali favolosi.

E il loro contributo alla crescita globale non è detto che continui ai livelli del passato.

Chi ha un euro in banca non sa cosa fare. Difficile puntare su un’America così conciata. Troppo a rischio andare sugli emergenti.L’Europa oggi sembra la Lehman. Insomma, le vendite sui nostri mercati, tutti, hanno gioco facile.

Non è la fine del mondo. Ma la fine di un mondo forse sì. Quello del debito e della moneta unica senza guida politica. Ieri sui mercati c’erano solo venditori: il che è apparentemente privo di senso. Ma il gioco era vendere tutto sapendo che dopo poche ore si poteva ricomprare quel tutto con un buono sconto. Dall’inizio della settimana la Borsa italiana ha perso il 13 per cento: roba da brividi. La natura, diceva quel filosofo greco, fa di tutto per nascondersi. E così abbiamo fatto noi con i nostri debitucci. Oggi si sono finalmente mostrati nella loro dimensione e la via per risolverli è scritta, ma politicamente molto difficile.

Per quanto riguarda noi europei, vi è una strada con due tappe. La prima è quella di tamponare l’emergenza, spegnere il fuoco. Insomma i quattro big dell’euro (Spagna, Italia, Francia e Germania, fanno l’80 per cento del Pil europeo) devono mettersi d’accordo per una politica economica unitaria. Devono, è molto difficile, obbligare la Bce a emulare i cugini americani della Fed: interventi forti sui mercati del debito. Insomma, comprare quei titoli pubblici che oggi la speculazione getta nel cestino. È la prima tappa, ma non basta.
Ci dobbiamo poi mettere in testa che sono finite le generazioni sulle quali possiamo caricare debiti. Basta, stop. Non ci sono più pasti gratis. Abbiamo un sistema di welfare che non regge più. Non possiamo, ad esempio, permetterci pensioni e tutele di un piccolo mondo che era fatto solo da Noi….Il Giornale, 5 agosto 2011

ORA BERSANI TENTA LA SPALLATA: VUOLE ANDARE ALLE ELEZIONI PER SALVARE IL PD DAGLI SCANDALI

Pubblicato il 4 agosto, 2011 in Politica | No Comments »

Al voto, al voto!, dice Pierluigi Bersani nell’aula strapiena di Montecitorio rispondendo picche all’«appello alla coesione» lanciato nei giorni scorsi da Napolitano e appena fatto proprio, almeno a parole, dal presidente del Consiglio. Al voto, al voto!, chiede senza se e senza ma il leader del Pd, ieri insolitamente emozionato, a tratti anche indignato o minaccioso, e leggermente sopra le righe nei panni inusuali del censore severo. Al voto, al voto: prima che la Tangentopoli di Sesto San Giovanni rischi di allargarsi ad altre aree sensibili del Nord, o magari di lambire addirittura Roma. E prima che qualcuno nel Pd cominci a dire a voce alta quello che molti stanno già pensando in silenzio, e che Travaglio ha scritto sul Fatto: Bersani non è più candidabile a Palazzo Chigi, il centrosinistra dopo il caso Penati si scelga un altro condottiero.
Sia chiaro: i democratici hanno ottime ragioni per chiedere le dimissioni del governo e le elezioni anticipate. Le difficoltà in cui si dibattono Berlusconi e l’esecutivo sono evidenti. Nei sondaggi il Pd risulta il primo partito. Con indubbia abilità, ha saputo cavalcare l’onda referendaria senza preoccuparsi di capovolgere le proprie posizioni. E l’alleanza con il Terzo polo, indispensabile per assicurarsi una vittoria certa in entrambe le Camere, è tanto più probabile quanto più vicine sono le elezioni.
Ciò nonostante, il Pd in queste ultime settimane ha sempre evitato di chiedere esplicitamente il voto anticipato: in parte perché c’è chi – come D’Alema e Veltroni, seppur con sfumature e intenzioni diverse – preferisce un governo «tecnico» o «istituzionale» o «di transizione» che affronti l’emergenza economica e finanziaria e riscriva la legge elettorale. In parte perché il principale alleato potenziale del Pd, l’Udc, di elezioni anticipate non vuol proprio sentir parlare (e Casini lo ha ripetuto ieri alla Camera con grande nettezza). E in parte perché il Quirinale, a torto o a ragione, preferirebbe non sciogliere il Parlamento in una situazione di grande instabilità internazionale che rende l’Italia, vaso di coccio, particolarmente vulnerabile.
Ieri Bersani ha rovesciato il ragionamento: «I problemi non si risolvono con un discorso o un monitoraggio con le parti sociali, ma serve un po’ di tempo per una tregua con gli investitori e i mercati, e il tempo si può avere solo con un gesto politico», con una «novità politica» che archivi il governo Berlusconi. Le dimissioni dell’esecutivo e lo scioglimento delle Camere sostituiscono dunque la «coesione nazionale» come gesto risolutore della crisi. Soltanto la «discontinuità», conclude Bersani chiedendo «un passo indietro» al presidente del Consiglio, può salvare l’Italia.
La nettezza di Bersani – comunque se ne giudichino le motivazioni – suona dunque come una novità: «Noi davanti all’emergenza del Paese siamo disposti, a fronte di un passo indietro di chi è responsabile di averci portato fin qui, a fare un passo in avanti». E alle proteste che arrivano dai banchi della maggioranza replica quasi stizzito: «Non intendete avere questa generosità e togliere l’impedimento? Ve ne prendete la responsabilità di fronte al Paese e ai cittadini».
Tanta impazienza induce a pensare che qualcosa sia cambiato nei piani strategici del segretario del Pd, che in questi anni e in questi mesi è stato semmai accusato del contrario, cioè di temporeggiare e di avere idee poco chiare sulla prospettiva da seguire. E se qualcosa è cambiato, dev’esserci un motivo. L’aria che si respira nel Pd, dopo il salvataggio di Tedesco e l’inchiesta su Penati, non è affatto tranquilla. Da un lato cresce l’insofferenza dei «giustizialisti» capitanati da Rosi Bindi e da Franceschini, dall’altro cresce il timore che l’indagine su Penati sia destinata ad ingrossarsi fino ad esplodere.
Perché la questione, in fondo, è molto semplice e attraversa tutte le scuole di pensiero del Pd: che Penati sia colpevole o innocente, che la Procura di Monza lavori in modo impeccabile o sia invece parte di un complotto politico, che lo scandalo resti confinato in Lombardia o lambisca il Pd nazionale – in tutti i casi, resta il fatto che Penati è stato il braccio destro di Bersani. «È come Milanese con Tremonti – sorride amaro un deputato democratico -, mica si può far finta di niente». Al voto, chiede dunque Bersani, al voto: prima che il vulcano esploda.
….Questo commento al discorso per molti versi scialbo  e incolore di Bersani ieri alla Camera è tanto più congruo se si considera che l’autore è quel Fabrizio Rondolino un tempo molto vicino a D’Alema e suo diretto collaboratore ai tempi di D’Alema presidente del Consiglio. Nessuno meglio di Rondolino può fasi interprete dei pensieri che attraversano la mente dei post comunisti che dopo aver visto deragliare la gioisa macchina da guerra di Occhetto, ora sentono che sta per sfumare di nuovo la possibilità di occupare il posto di comando della nave Italia a causa del fattore “T”, T come tangenti. g.

IL PIANO DI BERLUSCONI PDER RIDIMENSIONARE LA CASTA: TAGLIOLA SU STIPENDI E AUTO BLU, RIDUZIONE DELLE PROVINCIE E DI ALTRI ENTI INUTILI

Pubblicato il 4 agosto, 2011 in Politica | No Comments »

Silvio Berlusconi imbraccia le forbici e, nel suo discorso alla Camera, annuncia una raffica di tagli e di decise misure anticasta. Il menu è nutrito e va dal tetto europeo agli stipendi degli elettì e dei vertici della Pubblica Amministrazione fino a una nuova disciplina, ovviamente restrittiva, sull’utilizzo di auto blu. Senza dimenticare l’annuncio di una verifica sull’utilità di società ed enti pubblici con loro eventuale fusione e la promessa di una «razionalizzazione» delle province, tema su cui da mesi è in corso un braccio di ferro con la Lega.
Il premier, dunque, sceglie di tornare a un punto a lui caro e non estraneo al suo curriculum politico, visto che al di là delle tante chiacchiere e promesse firmate a turno dai vari partiti, i due grandi, veri provvedimenti «taglia-politica» vennero firmati dai governi da lui presieduti: il primo fu la riforma del 2006 che ridisegnava l’assetto istituzionale e dimezzava i parlamentari; il secondo la riforma dei servizi pubblici locali del 2008 che abbatteva il giardinetto di sottopotere delle società municipalizzate. Riforme entrambe bocciate attraverso referendum appoggiati da coloro che oggi cercano di indossare il vestito dei paladini anticasta.
«Il governo ha istituito una commissione per contenere gli emolumenti dei titolari di cariche elettive e dei vertici delle amministrazioni italiane riconducendoli ai valori medi europei» annuncia Berlusconi in aula. Un organismo sul quale è il ministro Renato Brunetta a fornire maggiori dettagli. «La Commissione governativa provvederà a raccogliere le informazioni necessarie a livellare – rispetto al livello medio dei sei principali Paesi dell’area euro – le retribuzioni dei titolari di cariche elettive e delle figure apicali dell’amministrazione. La Commissione è presieduta dal presidente dell’Istat Giovannini ed è composta da un rappresentante di Eurostat e da altri 3 esperti di chiara fama. Non prevede alcun compenso per i propri componenti. Entro il 1 luglio di ogni anno (quest’anno entro il 31 dicembre), la Commissione Giovannini provvederà all’individuazione di questa media». Questa operazione di adeguamento coinvolgerà 945 parlamentari e 124.893 tra presidenti delle regioni e province, sindaci e consiglieri regionali, provinciali e comunali. Saranno interessati anche i vertici delle amministrazioni e i componenti di organismi, enti e istituzioni: la Corte costituzionale, gli Organi di autogoverno della magistratura, il Cnel, Civit, Digitpa, l’Aaran, l’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione, le Autorità indipendenti, la Consob e le Agenzie governative (ad esclusione della Banca d’Italia).
Linea dura anche sulle auto blu, con l’obiettivo di arrivare a una pesante riduzione delle circa 72mila vetture circolanti. D’ora in poi nei ministeri avranno diritto alle auto solamente ministri, viceministri, sottosegretari, capi di gabinetto, di dipartimento e del segretariato generale. Grazie a queste misure si prevede una riduzione di circa il 70% degli attuali beneficiari e, nel triennio 2012/2014, un risparmio complessivo di circa 900 milioni di euro. Berlusconi promette poi un intervento sulle province, «attraverso la cui riorganizzazione il governo potrà pervenire a un ulteriore contenimento della pressione fiscale e a una maggiore efficienza». Il premier ricorda anche che il Consiglio dei ministri ha già approvato la riforma costituzionale «che porterà a dimezzare il numero parlamentari e a contenere i costi dell’attività legislativa». E invita a procedere a una «verifica congiunta sulla ragion d’essere di società ed enti pubblici allo scopo di procedere a liquidazioni e fusioni». Un programma ambizioso sul quale è facile prevedere, fin da ora, il fiorire di un ginepraio di feroci quanto inevitabili resistenze.
……..La prova del fuoco l’avremo tra pochi mesi, cioè il 31 dicembre prossimo con la prima verifica  della commissione sugli stipendi di parlamenteri e burocrati. Vedremo se si è trattato solo di annuncio o di qualcosa di serio. Berlusconi con questo impegno si sta giocando il credito del PDL verso gli elettori di centrodestra che non gli rinnoveranno più la fiducia se anche questa volta le promesse non saranno mantenute. g.

STANDING OVATION ALLA CAMERA PER LA 2PRIMA2 DI ANGELINO ALFANO

Pubblicato il 4 agosto, 2011 in Politica | No Comments »

Il ministro Alfano La sua è un’Italia calma. Tranquilla. Democristiana. Angelino Alfano prende la parola perché è il giorno in cui parlano i segretari di partito e non i capigruppo. Ed è il suo esordio al fianco di Fabrizio Cicchitto. L’ex ministro della Giustizia parla di politica, si sofferma poco sui tecnicismi dell’economia. Mette i suoi paletti: «Noi siamo contrari a fantomatici governi tecnici». Chi è stato eletto e governa poi «torna dal popolo e si fa giudicare». Chi invece «presiede un governo tecnico mette le tasse e poi dal popolo a farsi giudicare non ci torna. Noi diciamo che con i governi tecnici si sente l’odore delle tasse», aggiunge Alfano rivolgendosi continuamente alla sinistra.

Spiega il segretario del Pdl: «Le parole di Silvio Berlusconi sono state oneste, serie, affidabili per un Paese che chiede affidabilità e serietà al governo che ha voluto che governasse». «Autorevoli esponenti del Pd – attacca Alfano – hanno detto che il governo deve dimettersi perché i mercati lo chiedono. Siamo sgomenti: ma da quando in qua sono i mercati a scegliere il governo o a stabilire che debbano andare a casa? E il popolo, ciascun cittadino, che ruolo ha nella vostra visione politica e del paese?».

«Per noi – aggiunge – sono espressione della gente, del popolo che rappresentano. Per questo siamo contrari a fantomatici governi tecnici, contrari all’idea di piegare la democrazia alla tecnocrazia». «Un governo fa le sue scelte, poi torna dal popolo e viene giudicato. I governi tecnici no e gli italiani, ogni volta che sentono parlare di governi tecnici devono sentire profumo di tasse». «Il governo Berlusconi è legittimato a governare perchè ha vinto le elezioni – va avanti Alfano interrotto da due standing ovation – Voi nel 2008 avete varcato la soglia di sbarramento e siete la principale forza di opposizione. A ciascuno il suo mestiere».

Lo sforzo comune sulla manovra «ha funzionato e bisogna replicarlo, ma se voi dite di aver dato idee e contributi negli ultimi 3 anni noi non li abbiamo sentiti». «Siamo pronti – dice Alfano – ad accordi qui in Parlamento, non con governi tecnici, e chiediamo alle opposizioni di collaborare con spirito patriottico ad una fase difficile, perché la crisi c’è, nessuno la nega ma noi siamo fiduciosi di uscire dal mare in tempesta non perché velleitari, ma perché fiduciosi negli italiani». Pochi minuti dopo arriva l’ok di Casini. Fabrizio dell’Orefice, Il Tempo, 4 agosto 2011


BERLUSCONI ALLE CAMERE: INFORMATIVA SULLO STATO DELLA ECONOMIA ITALIANA

Pubblicato il 3 agosto, 2011 in Politica | No Comments »

Ieri, prima alla Camera e poi al Senato, il Presidente del Consiglio è intervenuto per rendere a nome del governo una informativa sullo stato della economia italiana. Pubblichiamo di seguito il testo integrale del discorso del presidente Berlusconi.

Silvio Berlusconi in aula durante il suo intervento per l' Informativa del Governo alla Camera Onorevoli Deputati,

sono qui per fare il punto sulla situazione economica italiana, sulle conseguenze della crisi internazionale e sulle decisioni che il Governo ha assunto e intende assumere.

È a tutti chiaro che i problemi e l’emergenza che in queste ultime settimane abbiamo dovuto affrontare sono la diretta conseguenza di una crisi di fiducia che scuote i mercati internazionali e non accenna a placarsi, tanto per l’incertezza sull’euro quanto per la spinta della speculazione finanziaria.

Tale crisi deve essere fronteggiata con fermezza e coerenza, senza inseguire i nervosismi del mercato, finendo così con l’alimentarli.

Onorevoli Deputati,

il nostro Paese ha un sistema politico solido che si è dimostrato capace, con il concorso responsabile dell’opposizione, di approvare in soli tre giorni una manovra di quasi 80 miliardi di euro, raccogliendo l’invito alla coesione nazionale del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Abbiamo fondamentali economici solidi. Le nostre banche sono liquide, solvibili, e hanno superato agevolmente gli “stress test” europei.

Abbiamo registrato segnali significativi di ripresa, pur in una congiuntura altalenante.

Nel mese di luglio si è registrata una decisa diminuzione delle ore complessivamente autorizzate della Cassa Integrazione Guadagni rispetto a quelle dello stesso mese di un anno fa (-28,8%).

Non è venuta meno la voglia di fare impresa, la voglia di investire e di superare le criticità che permangono nel nostro Paese.

Il governo e la maggioranza hanno approvato il 6 luglio una manovra economica diretta ad assicurare attraverso provvedimenti adottati nell’immediato, l’obiettivo del pareggio di bilancio entro il 2014, condizione che determinerà la conseguente stabilizzazione strutturale del debito e la sua progressiva riduzione in rapporto al Pil.

Questa manovra è stata concepita in coerenza con gli obiettivi fissati in sede europea ed è stata giudicata adeguata e sufficiente dall’Europa e da tutti gli osservatori internazionali anche relativamente alla tempistica.

Anche questa mattina il Presidente dell’Eurogruppo Juncker e il Commissario Europeo agli Affari Economici Rehn hanno confermato al ministro Tremonti la piena fiducia nelle misure prese dal Governo italiano. Lo stesso apprezzamento è stato espresso dal presidente del Consiglio Europeo Van Rompuy che mi ha telefonato subito dopo il Consiglio dei Ministri.

Onorevoli colleghi,

desidero approfondire l’analisi della situazione per cui oggi siamo qui, a cominciare dall’andamento dei mercati finanziari. Ovunque, è aumentata l’incertezza sull’intensità della crescita nel mondo, in particolare negli Stati Uniti e in Giappone. Anche la robusta attività produttiva dei paesi emergenti tende a rallentare. Negli Stati Uniti, le difficoltà di raggiungere un accordo sull’innalzamento del limite al debito pubblico, e il conseguente rischio di default, hanno indotto una ricomposizione dei portafogli degli investitori in favore degli investimenti a breve termine. L’accordo bipartisan tra democratici e repubblicani recentemente raggiunto non pare aver ridotto le tensioni internazionali.

Le turbolenze sui mercati finanziari hanno tratto alimento anche dalla percezione di una eccessiva lentezza nella reazione delle autorità europee alla crisi del debito sovrano innescata dalla situazione greca.

Il 21 luglio scorso, il Consiglio Europeo ha approvato un nuovo programma di assistenza per la Grecia, volto ad assicurarne pienamente le esigenze di finanziamento e a migliorarne radicalmente la sostenibilità del debito, con tassi d’interesse più bassi, con scadenze più lunghe e con il coinvolgimento del settore privato.

Il Consiglio ha anche ampliato la capacità del Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria di intervenire nella gestione delle crisi, con maggiore flessibilità e forza economica.

Sono decisioni di grande portata, anche se i mercati non riflettono ancora l’importanza degli interventi che sono stati deliberati.

È quindi essenziale dare certezza ai mercati, definendo con chiarezza tempi, strumenti, risorse degli interventi previsti.

I rischi di contagio influenzano le scelte degli investitori istituzionali europei, orientandole in favore delle attività ritenute meno rischiose, in primo luogo i titoli pubblici tedeschi, a scapito del debito sovrano degli altri Paesi. Le tensioni si sono estese al nostro Paese, ma non solo al nostro Paese. Problemi analoghi sono avvertiti anche in molti altri Paesi dell’area euro. Queste tensioni hanno elevato il differenziale tra il rendimento dei Buoni del Tesoro decennali e quelli del corrispondente titolo tedesco fino ai massimi storici dall’avvio dell’Unione monetaria. In occasione degli ultimi collocamenti di titoli pubblici i rendimenti sono saliti di oltre un punto percentuale.

Come spesso accade nelle crisi di fiducia, i mercati non valutano correttamente il merito di credito.

Le valutazioni degli investitori sui nostri titoli non tengono nel giusto conto la solidità del sistema bancario, la salda posizione patrimoniale delle nostre famiglie e delle nostre imprese, il contenuto indebitamento estero del paese, l’assenza di squilibri nel settore immobiliare, la prudenza seguita nella conduzione della politica di bilancio durante la crisi.

Si tratta di punti di forza che in più di un’occasione hanno spinto le autorità europee a considerare l’Italia in condizione di assoluta sicurezza. Lo ha riconosciuto poco fa il Presidente della Commissione Europea Barroso che ha definito “chiaramente ingiustificate” le pressioni sul nostro mercato.

Le nostre banche hanno superato con le loro sole forze la crisi finanziaria; hanno assorbito le ingenti perdite su crediti provocate dalla profonda recessione dell’economia reale. Nei mesi scorsi hanno fatto ricorso con tempestività al mercato dei capitali, dotandosi delle risorse patrimoniali necessarie a fronteggiare anche eventi particolarmente sfavorevoli; hanno superato brillantemente gli stress test condotti a livello europeo. Anche la raccolta obbligazionaria effettuata sui mercati internazionali nei primi mesi del 2011 è stata cospicua e sufficiente a far fronte ai rimborsi di titoli nell’intero anno.

Le banche italiane si presentano oggi ben capitalizzate, in grado di sostenere la ripresa dell’economia, in grado di soddisfare le esigenze finanziarie di famiglie e imprese. Anche per questo motivo, da noi la crescita del credito al settore privato è attualmente superiore a quella degli altri grandi Paesi.

Il saldo radicamento sul territorio ha consentito di espandere la raccolta presso le famiglie sotto forma sia di depositi sia di obbligazioni.

La redditività, già in miglioramento, beneficerà della espansione dei prestiti, beneficerà del miglioramento della qualità del credito, beneficerà del contenimento dei costi perseguito dalla quasi totalità degli istituti bancari.

I ribassi dei corsi azionari delle nostre banche che si stanno verificando sono eccessivi. Per i maggiori istituti, i valori di mercato sono oggi di gran lunga inferiori ai valori di bilancio.

Anche il settore privato italiano, famiglie e imprese, è caratterizzato da condizioni finanziarie solide. Le famiglie sono contraddistinte dal più basso indebitamento in rapporto al PIL tra i maggiori paesi, con un valore pari a meno della metà di quelli del Regno Unito e degli Stati Uniti e tre quarti di quello della Germania; la loro ricchezza finanziaria è particolarmente elevata nel confronto internazionale.

Anche i debiti delle nostre imprese sono assolutamente contenuti in rapporto al loro fatturato.

Veniamo al nostro debito pubblico. Dopo lo scoppio della crisi l’evoluzione dei nostri conti pubblici è risultata nell’insieme più favorevole di quella della gran parte dei paesi avanzati. Con la recessione anche la situazione del nostro bilancio era peggiorata: nel 2009 il deficit aveva superato il 5 per cento del PIL, un valore però inferiore a quello registrato dagli altri Paesi dell’area.

Con la ripresa dell’attività economica, e grazie alla nostra azione di finanza pubblica, i conti sono migliorati. Nel 2010 l’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche è sceso di quasi un punto percentuale in rapporto al PIL; il disavanzo primario si è sostanzialmente annullato.

Il deficit di bilancio è risultato meno ampio di quanto avevamo prudenzialmente indicato come obiettivo (5,0 per cento); ancora una volta è risultato significativamente più basso di quello degli altri paesi dell’area dell’euro (6,3 per cento).

Il sentiero di riduzione del deficit concordato in sede europea viene percorso, di fatto, più rapidamente.

È quello che ci chiedono, è quello che cercheremo di fare.

Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone hanno registrato disavanzi compresi tra il 9 e l’11 per cento del PIL.

Nel maggio dello scorso anno abbiamo definito la manovra di bilancio per il triennio 2010-12, volta a condurre il disavanzo al 3,9 per cento del PIL quest’anno e al 2,7 per cento l’anno prossimo, in linea con il piano concordato in sede europea per il rientro dalla situazione di disavanzo eccessivo.

I dati relativi al fabbisogno del settore statale per i primi sette mesi di quest’anno sono coerenti con l’obiettivo che ci siamo posti.

Con il decreto legge manovra il Consiglio dei Ministri ha approvato un percorso di finanza pubblica che porterà al pareggio di bilancio entro il 2014. Le misure del decreto legge sono state ulteriormente rafforzate nel corso dell’iter parlamentare di conversione in legge. Questi interventi ci consentiranno di avviare una rapida riduzione del peso del debito pubblico, in rapporto al PIL sotto il 113 per cento nel 2014, sette punti in meno di quanto registrato nel 2010.

Con il collegamento fin dal 2013 dell’età di pensionamento all’andamento delle aspettative di vita e con gli altri interventi in materia di previdenza, abbiamo ulteriormente rafforzato la solidità dei conti pubblici nei prossimi decenni. Le riforme introdotte negli ultimi anni pongono l’Italia tra i Paesi europei in cui la pressione esercitata dai regimi previdenziali sui conti pubblici sarà la più contenuta.

Non abbiamo fatto poco, ma sappiamo certo che c’è ancora molto da fare.

Lo sforzo di contenimento della spesa deve fondarsi sempre più su efficaci procedure di spending review, che rendano strutturali i risparmi di spesa.

Occorre anche un piano di azione immediata che risponda agli sviluppi dei mercati.

Dobbiamo considerare interventi che sostanzialmente azzerino il fabbisogno finanziario nell’ultima parte dell’anno.

Questo sforzo dovrà integrarsi con il crescente decentramento delle decisioni previsto dal federalismo fiscale.

Dobbiamo migliorare la qualità dei servizi pubblici e della regolamentazione, che sempre più incidono sulla nostra capacità competitiva e sulle nostre prospettive di crescita. Dobbiamo infine liberare maggiori risorse per gli investimenti chiamando alla collaborazione anche gli investitori privati.

È quindi essenziale che Governo e Parlamento attuino in tempi brevi la delega fiscale e assistenziale, definendo un regime di tassazione che modernizzi l’Italia e sia più favorevole alla famiglia, al lavoro e all’impresa.

Ma certamente è la crescita l’obiettivo essenziale.

In questa ottica il Comitato interministeriale della Programmazione Economica ha questa mattina dato concretezza al Piano per il Sud con la destinazione immediata di 7,4 miliardi di euro per la realizzazione di circa 130 interventi che rilanceranno l’economia del Mezzogiorno. Oggi ho inoltre firmato due decreti. Il primo che istituisce la Commissione governativa, affidata all’autorevole guida del Presidente dell’Istat, che fornirà le informazioni necessarie per procedere al livellamento retributivo dei titolari di cariche elettive e dei vertici delle amministrazioni italiane rispetto agli standard europei. Il secondo che definisce modalità e limiti di utilizzo delle auto di servizio, le cosiddette auto blu, al fine di ridurne numero e costo.

Per raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati, nell’incontro che avremo domani con le forze sociali, il Governo proporrà una collaborazione per la stabilità, per la crescita e per la coesione sociale, che dovrà accompagnare il Programma di Stabilità e il Piano Nazionale di Riforme presentati a Bruxelles nel maggio scorso.

La crescita dell’economia e dell’occupazione è la conseguenza soprattutto della positiva convergenza dei comportamenti responsabili degli attori istituzionali, economici e sociali. Per questo ci adopereremo per un’intesa tra Governo e organizzazioni rappresentative dell’impresa e del lavoro sui modi con i quali realizzare un’efficace unità di intenti.

Questo confronto dovrebbe riguardare in particolare quattro punti: la gestione della manovra e dei provvedimenti per lo sviluppo; gli investimenti nelle infrastrutture; il ruolo delle banche e dei finanziamenti alle imprese e le relazioni industriali tanto nel settore privato quanto nel pubblico.

L’emergenza della situazione finanziaria ed economica descritta ci impone – come ho già detto – di dare una risposta ancora più forte, immediata e visibile sul piano dell’impegno per la crescita, che renderà credibile e sostenibile il piano di stabilizzazione finanziaria.

Nel merito desidero anticipare al Parlamento i temi del confronto con le parti sociali.

La gestione della manovra riguarda tanto le misure approvate, che quelle da approvare, attraverso il disegno di legge delega di riforma del sistema fiscale e assistenziale.

Il monitoraggio congiunto degli investimenti infrastrutturali consentirà di verificare tempi e modi dell’effettivo trasferimento di risorse pubbliche, consentirà di controllare la spesa effettiva dei concessionari e licenziatari di servizi nazionali di pubblica utilità, a partire dalle nuove reti di telecomunicazione, consentirà di verificare l’efficacia delle misure rivolte ad accelerare i procedimenti di esecuzione, consentirà di rimuovere insieme le strozzature che rallentano l’esecuzione delle opere.

Il ruolo delle banche e della finanza d’impresa è ancor più necessario in un contesto di prolungata difficoltà per molte attività produttive. Oltre alle intese tra banche e associazioni d’impresa per garantire la necessaria liquidità, governo e parti sociali verificheranno tempi e modi di operatività dei nuovi strumenti di sostegno finanziario alle imprese.

Le relazioni industriali, soprattutto in un Paese che ha conosciuto elevati livelli di conflittualità sociale, costituiscono uno strumento fondamentale per attrarre investimenti quando garantiscono un’adeguata produttività attraverso la piena utilizzazione degli impianti e la tregua sociale.

Il Governo ha da tempo proposto alla valutazione delle parti sociali una bozza di riforma dello Statuto dei Lavoratori denominata Statuto dei Lavori. E’ giunto il momento di verificarne il grado di consenso per procedere all’esame parlamentare. Lo sviluppo della contrattazione territoriale o aziendale è altresì sostenuto dalla proroga della detassazione e della decontribuzione degli incrementi retributivi che genera. Al tempo stesso, il Governo garantisce anche per il prossimo anno un’adeguata dotazione di risorse per gli ammortizzatori sociali, che dovremo ancor più collegare con le attività di ricollocamento dei lavoratori.

Le nuove norme in materia di pubblico impiego incentivano interventi di razionalizzazione e riqualificazione delle amministrazioni pubbliche garantendo incrementi retributivi legati alla produttività individuale e collettiva attraverso la contrattazione.

Non intendo sorvolare sui costi della politica, di cui si fa un gran parlare. Ma voglio farlo senza demagogia.

Sulla base di quanto previsto dal decreto legge manovra il Governo agirà per contenere tutti gli emolumenti delle alte professionalità pubbliche, elettive e non, riconducendoli ai valori medi europei. Inoltre il Governo attraverso la riorganizzazione delle Province, connessa con la diffusa aggregazione delle funzioni fondamentali dei Comuni, già prevista dal decreto sul federalismo municipale, potrà pervenire a un ulteriore contenimento della pressione fiscale e ad una ben maggiore efficienza nella gestione dei servizi locali.

Sapete tutti del resto che il Consiglio dei Ministri ha già approvato la riforma costituzionale che porterà a dimezzare il numero dei parlamentari e a contenere i tempi e i costi dell’attività legislativa.

Sarà possibile anche compiere una verifica congiunta sulla ragion d’essere di società ed enti dello Stato – chiedendo la stessa riflessione in ciascuna dimensione regionale – con lo scopo di procedere a liquidazioni o fusioni.

Onorevoli colleghi,

prima di concludere, vorrei ricordare che la crisi finanziaria ha colto il nostro apparato produttivo nel corso di un processo di adattamento alle nuove tecnologie e alla globalizzazione. Ne ha risentito la crescita, da tempo meno intensa di quella degli altri Paesi dell’area dell’euro, per effetto delle eredità del passato e dei nodi strutturali che frenano il nostro sviluppo.

Prima con il decreto Sviluppo e poi con la Manovra di Bilancio triennale, il Governo coerentemente con quanto fatto fin dal 2008, ha introdotto 27 misure concrete per sostenere la crescita economica del Paese: quattro relative alla fiscalità di vantaggio per imprese e cittadini, cinque in materia di semplificazione e liberalizzazioni, quattro per aumentare l’efficienza della giustizia, ben undici di incentivazione al sistema produttivo, tre di valorizzazione del capitale umano. A questo riguardo mi preme sottolineare le misure che riconoscono un credito d’imposta in favore delle imprese che investono in ricerca scientifica e una tassazione secca del 5%, l’aliquota più bassa d’Europa, a favore delle imprese guidate da giovani sotto i 35 anni.

Il Governo si è fortemente impegnato anche per la soluzione delle crisi aziendali. Solo negli ultimi 8 mesi, sono state risolte ben 30 vertenze. Grazie all’azione del governo, alla voglia e alla capacità di reagire del tessuto imprenditoriale italiano, alla stretta collaborazione con i sindacati, siamo riusciti a garantire un futuro stabile e produttivo a tante aziende e a tante famiglie.

Restare al fianco di chi lavora e produce è uno dei modi più efficaci che abbiamo per contrastare la crisi. Continueremo a lavorare su questo fronte difficile, consapevoli che la difesa e l’innovazione del nostro apparato produttivo sono fondamentali per la ripresa economica del Paese.

La nostra economia è vitale, forte della capacità innovativa degli imprenditori e del senso di responsabilità delle parti sociali che si è riflesso anche nel loro recente appello sulla necessità di accelerare l’azione di rilancio della crescita.

Ricordiamolo, a noi stessi e a tutti: il Paese è economicamente e finanziariamente solido; nei momenti difficili sa essere coeso e sa affrontare le difficoltà.

Il Governo e il Parlamento agiranno, mi auguro con un ampio consenso politico e sociale, per affrontare ogni minaccia alla nostra stabilità finanziaria.

Oggi più che mai dobbiamo agire tutti insieme. Raccolgo con convinzione l’invito alla coesione nazionale che il Presidente Napolitano ha sollecitato più volte. Un monito saggio, che faccio mio: nelle difficoltà tutti hanno il dovere di rimboccarsi le maniche. Il nostro dovere, quale che sia la nostra collocazione politica, è di operare per il bene dell’Italia e per costruire la ripresa dell’economia, facendo ciascuno la propria parte, ricordando che la stabilità politica è da sempre l’arma vincente contro la speculazione.

Onorevoli colleghi,

in conclusione, nessuno nega la crisi, tutti dobbiamo lavorare per superarla. Ciascuno facendo la propria parte. Non chiedo alle opposizioni di condividere il nostro programma, ma auspico vivamente che possano contribuire con le loro idee e con le loro proposte a fare emergere sempre di più ciò che serve al Paese.

Auspico cioè che le opposizioni facciano ciò che sono state chiamate a fare, ma lo facciano senza mai perdere di vista il comune obiettivo, perché comune sono certo che sia l’obiettivo di portare l’Italia fuori da questa crisi che non è italiana ma planetaria.

Assicuro che il governo non resterà sordo alle vostre proposte ed alle vostre idee quando esse saranno animate da questo spirito patriottico.

Al governo spetterà di fare per intero il proprio compito, di completare il proprio lavoro. Un lavoro cui gli italiani ci hanno chiamato nel 2008 e che completeremo nel 2013 quando ci sottoporremo nuovamente al loro giudizio con la serena coscienza di chi ha fatto tutto il possibile per il proprio Paese in anni così difficili.

Nei venti mesi che ci separano da quell’appuntamento, il governo farà il governo: completerà il percorso delle riforme già all’attenzione del Parlamento, rafforzerà sempre di più il rapporto con le parti sociali e proporrà un’agenda di interventi per sostenere la crescita e lo sviluppo economico dell’Italia.

Agli italiani diciamo che il governo è pronto a fare, fino in fondo, la sua parte. Abbiamo la maggioranza parlamentare, una forte determinazione, la piena consapevolezza delle responsabilità e dell’impegno che ci attendono e il desiderio profondo e sincero di consegnare agli italiani, tra due anni, un Paese più forte e sicuro di sé.

È una sfida difficile, ma gli italiani meritano che venga giocata fino in fondo e con tutte le nostre forze e siamo convinti che sapremo essere, tutti insieme, all’altezza di questa sfida.

Vi ringrazio.

…Alla informativa del presidente del Consiglio sullo stato della economia italiana è seguito alla Camera e al Senato il dibattito con l’intervento dei rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari. Alla Camera per il PDL è intervenuto l’on. Angelino Alfano nella sua prima volta nella veste di segretario politico del PDL. E’ stato un intervento lucido, di alto livello e di profondo spessore politico. E’ un buon inizio, salutato dalle ovazioni del gruppo parlamentare del PDL a cui si sono aggiunti i parlamentari della Lega e dei Responsabili.