PRIGIONE E LIBERTA’, di Davide Giacalone
Pubblicato il 15 settembre, 2011 in Giustizia, Il territorio | Nessun commento »
Se il parlamentare Marco Milanese deve restare libero perché il parlamentare Alfonso Papa è carcerato? E se Papa si trova in galera, perché il parlamentare Alberto Tedesco siede al suo posto in Senato? Il tentativo di mascherarsi dietro la “libertà di coscienza” è ridicolo. Le forze politiche che vi ricorrono mostrano di mancare di responsabilità, oltre che di vergogna. I singoli parlamentari che se ne fanno scudo dovrebbero ricordare che una coscienza si dovrebbe averla, per volerla libera. Quando fu concesso l’arresto di Papa, con il determinante voto leghista e l’entusiasmo della sinistra, descrissi la scena come orrida. Non intendevo certo difendere Papa. Lui, come Milanese e Tedesco, mi paiono politicamente indifendibili. Una responsabilità per chi li ha candidati. Ma in gioco era ed è l’istituzione Parlamento, sicché l’arresto di un suo componente può essere concesso solo davanti a fatti gravissimi e conclamati. L’autorizzazione parlamentare non è una specie di primo processo, non concederla non significa considerare innocente il soggetto, ma un istituto a difesa dell’autonomia e sicurezza del Parlamento. Votandosi sulla sorte di una persona è chiaro che il voto è segreto, ma deve essere pubblica la motivazione, deve essere noto il ragionamento svolto da ciascuna forza politica, altrimenti si scade nella complicità e nel killeraggio. Su che votano, i colleghi parlamentari? Su casa sarebbero libere, le loro coscienze? Rispondono: sull’esistenza o meno del fumus persecutionis. Vale a dire sull’ipotesi che ci sia in atto un disegno persecutorio, da parte della procura. E Milanese sarebbe un perseguitato, mentre Papa no? Sarebbe un perseguitato Tedesco, che i suoi compagni di sinistra non ebbero il coraggio di difendere e che, con immensa ipocrisia e falsità, chiese lui stesso d’essere arrestato? Non scherziamo. La verità è che su Papa la sinistra mostrò d’essere forcaiola con gli avversari e garantista con sé stessa (cosa che capita anche ai parlamentari e alla pubblicistica di destra, perché se c’è una cosa poco diffusa, dalle nostre parti, è la cultura del diritto), e la Lega si prese una bella vacanza giustizialista, in modo da tornare nelle piazze e nei bar di casa e cercare di riprendere il posto e il tono di un tempo. Peccato che quella vacanza, ora, produce l’impossibilità di spiegare perché un altro parlamentare, per giunta amico di un loro amico (Giulio Tremonti), debba essere salvato. Il prossimo 22 settembre ci sarà il voto in Aula. Correggano il tiro e provino a dire qualche cosa di decente: no, non concediamo l’arresto di Milanese perché non si sottrae un membro al Parlamento senza che vi sia alcuna reale esigenza cautelare e senza che ricorra neanche uno dei motivi per cui un cittadino può essere privato della libertà, ma aggiungiamo anche che la custodia cautelare non deve mai essere uno strumento d’indagine, vale a dire di ricatto, e che il nostro voto a difesa di Milanese prelude ad una seria riforma, che la finisca con la sistematica violazione dell’articolo 275 del codice di procedura penale, talché nelle carceri italiane soggiornano troppi cittadini che la Costituzione c’impone di considerare innocenti. Un gesto tardivo, che giungerebbe nella fase terminale di una legislatura ulteriormente fallimentare nell’assicurare giustizia agli italiani, ma pur sempre il segno che, almeno, si è in grado di capire qual è la posta in gioco. Non lo faranno, sicché saranno libere le loro coscienze, ma anche il nostro giudizio. Pessimo. Il Giornale, 15 settembre 2011
.………….Come non essere d’accordo con quanto scrive Giacalone che sull’argomento è tornato più volte? Come non rimanere stupefatti dinanzi a decisioni che vengono prese volta a volta senza che nessuno nel Parlamento abbia titolo per condannare chicchessia al carcere senza processo? Anche a noi dell’on. Papa poco ci importa, ma siamo d’accordo con Giacalone quando afferma che la questione è di principio e, peraltro, in sintonia con i Padri Costituenti che vollero garantire ai deputati una sorta di difesa dalla possibile ingerenza della Magistratura e che se vengono invocati come Santi un giorno si e l’altro pure per la Carta Costituzionale che si vorrebbe “intoccabile” non si capisce perchè solo per l’art. 68 della Costituzione avrebbero sbagliato. E lo stupore è rinvigorito dalla notizia che un gip milanese, il cui nome da oggi diventerà un altro totem per la difesa della “legalità repubblicana”, ha chiesto il rinvio a giudizio di Berlusconi per il reato di “concorso nella rivelazione di segreto d’ufficio”. Nulla di nuovo sotto il sole si dirà, visto che questo processo, se rinvio ci sarà, non farà altro che allungare il numero dei processi a carico di Berlusconi. Ma questo ha una particolarità, anzi due. La prima è che il pm titolare dell’inchiesta aveva chiesto l’archiviazione non avendo riscontrato alcun reato nel fatto che Berlusconi avesse ascoltato il nastro della intercettazione dell’ex n. 1 della Unipol, Consorte, nel corso della quale Consorte informa Fassino della scalata dell’Unipol al sistema bancario italiano. Nonostante ciò, il gip non ha accolto la richiesta e ha ordinato al pm il rinvio coatto a giudizio di Berlusconi perchè “è storicamente provato che avesse sentito il nastro della conversazione che glie era stato regalato”. La seconda particolarità è costituita, oltre che dal fatto che diviene reato l’aver ricevuto in regalo la registrazione di una intercettazione telefonica, dalla rivelazione in se di una intercettazione telefonica che tra l’altro non è direttamente imputabile a Berlusconi, in un Paese nel quale le intercettazioni telefoniche, benchè coperte da segreto istruttorio, vengono divulgate a vagonate su tutti i giornali senza che a nessuno degli autori venga mai contestato alcunchè. Da ultimo le rivelazioni dell’Espresso sul caso Lavitola-Tarantini. E questo basta a dimsotrare che ha ragione Giacalone quando afferma che la riforma della Giustizia è atto doveroso e necessario, per assicurare agli italiani non solo i doveri ma anche i diritti. Come deve essere in tutti gli stati a ordinamento democratico. g