L’”ORACOLO” TARANTINI E’ CREDIBILE CONTRO BERLUSCONI, INATTENDIBILE CONTRO MURDOCHMURDOCH
Pubblicato il 19 settembre, 2011 in Costume, Giustizia | Nessun commento »
Le intercettazioni non sono tutte uguali, non tutti i verbali hanno lo stesso peso e lo stesso valore. Ci sono carte che non vengono neppure protocollate, altre che rimangono sepolte per anni nell’armadio di qualche procura, altre che escono e non vengono pubblicate, e altre ancora che conquistano all’istante l’onore della prima pagina e la patente della verità. Nella fattoria degli animali giustizialisti, queste carte sono più uguali delle altre, perché contengono il nome di Silvio Berlusconi (come un tempo quello di Bettino Craxi).
Attenzione, però: queste carte da prima pagina non documentano mai un reato. Sono particolarmente odiose perché non ci aiutano affatto a capire come stanno veramente le cose, ma, al contrario, spostano l’attenzione sul carattere, sugli stili di vita, sulle scelte private della persona, trasformando l’inchiesta in una pubblica e irrevocabile sentenza morale molto prima che un’eventuale sentenza giudiziaria stabilisca la verità dei fatti. In questo modo, tuttavia, il diritto di cronaca e il diritto all’informazione sono asserviti alla propaganda e alla battaglia politica, di cui diventano pedine più o meno consapevoli, mentre la giustizia sempre più frequentemente è considerata dalle parti in lotta l’opposto di ciò che dev’essere: un’espressione di partigianeria.
Eppure le intercettazioni e i verbali fanno bene alle copie e allo share, e sebbene personalmente continui a non capire come sia possibile un tale scempio del primo diritto naturale dell’uomo, quello alla privatezza, c’è da aspettarsi che il fiume di carte non diminuirà né oggi né mai. Lette con voce grave da uno speaker o sceneggiate come una telenovela, protagoniste di sit-com e ricostruzioni più o meno brillanti, le carte delle inchieste dopo i giornali hanno ormai stabilmente conquistato anche l’etere, e ancor più il satellite.
Non si può certo incolpare Sky di spettacolarizzare le intercettazioni ad uso dei propri telespettatori, visto che, chi più chi meno, tutti hanno una bella trave negli occhi. Però si potrebbe chiedere a Sky (come ad ogni altro editore) qual è il criterio di verità che decide se un verbale sia credibile oppure no. Se si sceglie di pubblicare tutte le carte, attribuendo loro implicitamente il crisma della verità, non possono poi esserci eccezioni. Viceversa, se si dichiara formalmente che una carta dice il falso, buon senso vuole che ci si interroghi anche sulla verità delle altre.
Come sanno i lettori del Giornale, che ne ha pubblicati ieri alcuni estratti, un verbale di Gianpaolo Tarantini (interrogatorio del 6 novembre 2009) contiene fra le altre questa affermazione: «Dopo che era esploso lo scandalo D’Addario, ero stato contattato anche da Murdoch che mi aveva proposto un contratto miliardario che avevo rifiutato (…)».
Sky ha subito smentito seccamente di «aver mai offerto compensi in qualsiasi forma, tantomeno improbabili “contratti milionari”, allo stesso Tarantini così come a chiunque altro, allo scopo di ottenere notizie, interviste e informazioni su alcuno».
Ciascuno è libero di credere a «Gianpi» o a Sky: il primo è oggetto di varie inchieste, e prudenza suggerisce di prendere con le molle ogni sua affermazione (e non soltanto quelle su Murdoch); Sky produce uno dei migliori telegiornali d’Italia, ma è pur sempre parte dello stesso impero mediatico di News of the World, costretto alla chiusura proprio per un uso spregiudicato e illecito delle intercettazioni. Ad ogni modo, la smentita è valida fino a prova contraria.
Ma il punto non è affatto questo. Nei tanti interrogatori e nelle tantissime intercettazioni può esserci qualsiasi cosa: la notizia di un reato o un depistaggio, una battuta innocente o un’esagerazione, una menzogna intenzionale o una verità soltanto soggettiva. I verbali non sono fotografie di fatti, ma regesti di opinioni: quello che io dico al telefono o al pm che mi interroga non è un fatto, ma il racconto di un fatto – che potrebbe essere reale o inventato, uguale o diverso dal mio racconto. I processi, del resto, servono proprio a questo: a trovare le prove di colpevolezza (e non, come qualcuno vorrebbe farci credere, quelle di innocenza). Senza le prove, una frase è una frase: flatus vocis. Quando si parla di Murdoch, e quando si parla di Berlusconi. Il Giornale, 19 settembre 2011