DI DAVIDE GIACALONE

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi Vita politica e vicende processuali sono indissolubilmente connesse, e già questo descrive un male profondo della vita italiana. Sia per la politica che per la giustizia. Si può sostenere che questo discende dalle colpe di Silvio Berlusconi, oppure dal tentativo, che si trascina da diciassette anni, di farlo fuori per via giudiziaria, ma quale dei due punti di vista si adotti, il risultato è che ci tocca occuparci di processi penali anziché di processi decisionali. Chi, come noi, ha a cuore sia il diritto che l’autonomia della politica, chi sa che, in una democrazia e in uno Stato di diritto, non si deve mai essere costretti a scegliere fra la legittimità che deriva dal consenso popolare e la regolarità che discende dal rispetto della legge, cerchi, almeno, di non perdere la bussola. Cominciamo dal processo Mills, che ieri s’è avvicinato alla sentenza. Di una cosa sono sicuro: avrà un posto nei libri di diritto. Un giorno si chiederà agli studenti di legge di riferire su come sia stato possibile processare in due sedi e tempi separati i protagonisti di un reato che il codice vuole a “concorso necessario”: non può esserci un corrotto senza un corruttore, e viceversa. Un tempo, quando era reato l’adulterio, anche quello era un reato a concorso necessario, perché non si può tradire da soli. Vi pare pensabile che si condanni uno per avervi preso parte senza sapere con chi giacesse? È quel che è successo: l’avvocato Mills è stato condannato quale corrotto, e ora, dopo anni, si cerca di capire se Silvio Berlusconi era il corruttore. Se dovesse essere assolto (ipotesi che non si può escludere, o no?), Mills resterà da solo. Una specie di adulterio mediante onanismo. Ecco, avendo alle spalle una tale premessa, ieri il collegio giudicante, in quel di Milano, ha ridotto significativamente la lista dei testimoni. Così si arriva prima alla conclusione. Ridurre i testimoni è una facoltà di chi giudica. Non è sbagliato: se un Tizio viene derubato all’Auditorium e l’avvocato di Caio, presunto ladro, pretende di sentire tutti i presenti quali testimoni è ragionevole che gli si dica di no. Bastano quelli in grado di dare dettagli rilevanti. Ma quando un collegio giudicante cancella dei testimoni sa di correre un rischio, perché se la difesa potrà dimostrare, in Cassazione, che i suoi diritti sono stati violati e il proprio lavoro reso impossibile, la sentenza diventerà carta straccia. Quindi si deve fare attenzione. C’è stata, ieri, a Milano? Non lo so, ma so che non sarebbe servita a nulla, perché la sentenza, quale che sarà il contenuto, è già in partenza carta straccia, visto che il procedimento è destinato a sicura estinzione per prescrizione. Allora, perché si corre? Per arrivare a concludere il primo grado, a beneficio esclusivo dei mezzi di comunicazione. Berlusconi non sarà mai condannato in via definitiva, è escluso, e non perché innocente (non lo so, non c’ero), ma perché il processo è già morto. Lo si celebra a solo beneficio del pubblico. Cambiamo città, andiamo a Napoli, inesauribile fonte di sollazzo telefonico e d’intrusione per via giudiziaria. Qui le cose sono più bislacche, anche in omaggio alla tradizione partenopea: non si ha idea del perché quella procura si senta competente. A parte ciò, gli atti di un’inchiesta sono considerati coperti da segreto anche durante l’udienza preliminare, e restano riservati se poi divengono atti di un futuro processo. Questo dice la legge. Un parlamentare non si può intercettare, se non con l’autorizzazione del Parlamento. Questo dice la legge. Ma nessuno la legge, la legge. Così tutte le telefonate possono essere pubblicate, perché dal momento che vengono messe a disposizione delle parti non si sa più chi le abbia passate alla stampa. Voi dite che è stata la difesa del pappone industriale? A me pare difficile. In quanto alle conversazioni di un parlamentare, presidente del Consiglio, non è lui che intercettano, ma quelli con cui parla. E non è una barzelletta, ma la tesi della procura. E non basta, perché i giornali di ieri titolavano: scaduto l’ultimatum della procura. L’ultimatum? Siamo in guerra? Intanto il giudice dell’udienza preliminare manda prosciolti tutti gli imputati del processio “Cassiopea”, più noto per avere ispirato Gomorra. Traffico di rifiuti tossici. Il proscioglimento è un doppio veleno dell’ingiustizia: i colpevoli fanno marameo e gli innocenti resteranno marchiati a vita. Ma chi se ne importa, i riflettori puntano altrove, oramai. Da quella parte c’è una presunta parte lesa che non si sente lesa, essendo, in realtà un potenziale imputato, cui si nega la presenza degli avvocati all’interrogatorio. E c’è chi sostiene, come fa Carlo Federico Grosso, che se la difesa lo vuole «imputato in procedimento connesso» questa è, di fatto, una confessione. Roba che neanche alla santa inquisizione. Tutto questo per dire: sono procedimenti fatti a mezzo stampa e per la stampa. Siamo l’unico Paese al mondo in grado di pubblicare le conversazioni di chi governa, sputtanandolo. Siamo gli unici in grado di demolire da sé soli una propria multinazionale. Può darsi che se lo meritino, ma non ce lo meritiamo noi. A me piace un mondo in cui i colpevoli vanno in galera, mi piace assai meno un Paese prigioniero dei processi.

Davide Giacalone, il Tempo, 20/09/2011