E adesso chi paga? Il duo Woodcock-Lepore non aveva titolo per indagare sul trio Berlusconi-Tarantini-Lavi­tola, caso che peraltro non esiste mancando la parte le­sa. La marea di telefonate spiate, sbobinate e consegnate ai giornali sono frutto di una illegalità, e non ci voleva la sentenza emessa ieri dal Gip per capirlo. Noi che non abbiamo studiato legge lo avevamo scritto il primo giorno: se i fatti sono avvenuti tra Bari, Roma e Milano, che c’entra la Procura di Napoli? Nul­la, appunto. Altro che accompagnamento coatto di Berlusco­ni.

Ma agli zelanti Pm che importa, l’obiettivo politico e media­tico, complici stampa e tv, è raggiunto. Sul campo restano le devastazioni all’uomo Berlusconi,violentato nel suo privato, e qualche milione di euro bruciato per via del trambusto pro­­vocato sui mercati dall’ipotesi di un premier in manette, sacri­ficato sull’altare dell’arroganza di magistrati arrivisti, e di com­mentatori faziosi e in malafede. Questa, in ordine di tempo, è soltanto l’ultima di una lunga serie di bravate e furbate della magistratura di parte. Perché neppure il più sprovveduto di noi poteva non sapere come sarebbe andata a finire l’inchie­sta di Napoli, nata sull’imbroglio del premier intercettato ille­galmente, cioè senza l’autorizzazione del Parlamento. Mancava il reato, mancava la competenza.

Solo chiacchie­re al telefono che se ascoltate casualmente ( non si capisce co­me) avrebbero dovuto incanalarsi in ben altri percorsi giudi­ziari, nei quali sarebbero state trattate con diversa cautela. Co­me quella, per esempio,adottata dal procuratore di Bari sul ca­so D’Addario e che ora, proprio per avere usato le pinze, si tro­va indagato. Già, perché chi non chiede l’arresto del premier al primo squillo di escort, chi non spiattella intercettazioni an­cora calde di telefono alla stampa, deve per forza essere com­plice del presidente del Consiglio e della sua banda di malfat­tori.

Eppure non sempre i Pm cauti finiscono sotto inchiesta. Per esempio, non una escort o un faccendiere ma l’allora sin­daco di Milano, Gabriele Alber­tini (oltre a questo Giornale ), sei anni fa segnalarono con forza alla Procura di Milano che l’acquisto delle quote Serravalle da parte di Pe­nati, leader della sini­stra, era molto ma mol­to sospetto. Bene, che fece la Procura? Nulla, che è molto meno di es­sere cauti. Semplice­mente girò lo sguardo dall’altra parte. Oggi, sei anni dopo, sappiamo che quella vicenda era uno scandalo enorme: tan­genti all’area Pd, sper­pero di soldi pubblici.

Quei procuratori e i lo­ro vice sono stati forse puniti, indagati per ma­nifesta complicità o in­capacità? Macché, so­no al loro posto, come se nulla fosse. Nel frat­tempo però la stessa Procura ha prodotto ol­tre centoventimila in­tercettazioni sul caso Ruby e sugli ospiti priva­t­i di Berlusconi ad Arco­re. Prenderanno pure una medaglia. Quella giusta sarebbe di tolla, come la loro faccia. Il Giornale, 21 settembre 2011